Recensione di “Nella mia selva sgomenta la tigre” di Moka

"Nella mia selva sgomenta la tigre" di Moka

“Nella mia selva sgomenta la tigre” di Moka

Immagini, suoni ricordi e sentimenti imprigionati dentro le parole. Un antico gioco dove il poeta erige città di versi non per nascondersi al mondo ma per rivelarsi a esso. Non è facile carpire i segreti dietro all’inchiostro: le poesie vanno lette più e più volte per carpine l’essenza e anche allora si intravede solo uno squarcio del mondo che il poeta voleva trasmettere.
Non può, dunque, bastare una sola lettura per “Nella mia selva sgomenta la tigre” di Moka, edito presso Le Mezzelane Casa Editrice: qui molti mondi e altrettanti sentimenti si mostrano al lettore attraverso la poesia che

«[…] scandisce la fioritura di un mondo imperfetto»
(Poesia romantica).

Si parte già dalla suggestiva copertina e dal titolo di questa raccolta di poesie che veste i panni della tigre, superbo felino che è forza e bellezza allo stesso tempo.

«In fondo alla radice dei tuoi sogni,
dove si nasconde la tigre,
là, nei tuoi occhi ti vedo»
(In fondo alla radice dei tuoi occhi)

Difficile scegliere dei versi su cui soffermarsi, perché in tutte le poesie c’è qualcosa, un richiamo ancestrale che richiede attenzione e vuol parlare di te, in un certo modo. A tratti questa raccolta appare come la ricerca di sé nel tentativo di spiegarsi a gli altri, cercando di distendere la stessa anima e sperando di andare oltre a ciò che la gente vede. Come nei versi di “Le ho raccontato di quanto acrobata fossi”:

«Un giorno le ho raccontato di quanto acrobata fossi
sul filo e tagliente del mio baratr

oppure in quelle di “Stagioni”:

«[…] l’uomo è l’ombra di versi inspiegabili.»

Una ricerca che spesso appare intensa, fotografia vera degli uomini in cerca di qualcosa nei posti sbagliati, agognando una vita in cui:

«[…] non ci strappiamo i sogni in solitudine»
(Dentro il corpo c’è un dolore).

Il mondo descritto da Moka ha, a tratti, il “sorriso amaro” di chi si adegua a una società che ci vuole perfetti, senza cercare di capirci (Schiava dal sorriso amaro); una realtà che lotta contro l’impetuosità dei sentimenti, ma è poi sempre più impigliata negli affetti che si palesano attraverso la violenza:

«[…] le pareti piangono anche quelle del cuore- anzi lo rivela»
(Violenza domestica).

Bisogna andare oltre, sembra volerci dire Moka, come in “Napoli”, quest’istantanea del capoluogo partenopeo:

«[…] ogni nota è apparenza di vita sconosciuta, matriosca di appartenenza».

Un concetto che riprende altrove e che spinge il lettore a vedere nei tanti “io” di cui siamo fatti. Non basta togliere lo stato esterno, perché le persone sono simili a tanti contenitori colmi di diversità che poi ci completano o che si lasciano influenzare dalle vite altrui:

«[…] parti di me lasciate ovunque
impressionate dall’esistere altrui»
(Matriosca di sentimenti)

Questa mia prima lettura mi dato l’impressione di un percorso, di una ricerca ed esplorazione dell’anima che può riguardare tutti anche se non sappiamo bene come leggere queste cose dentro di noi. Moka intravede questo nostro esserci persi senza aver mai intrapreso il viaggio:

«Forse,
non saremo mai ciò che vorremmo
Essere
eppure
non sappiamo ancora ciò
a cui vogliamo somigliare»
(La musa dell’incertezza)

Una raccolta che merita tempo e riflessioni. Buona lettura.

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