L\abitudine

Qualcosa dei miei 12 anni


Eccomi qui anche stasera a casa, l'abitudine di passare tutte le mie sere a casa, non esco di sera da più di cinque anni, triste vero? Però è così, e di solito le conoscenze più interessanti si fanno proprio al calar del sole, perciò voi, del mondo virtuale siete e sarete anche stasera la mia "conoscenza" migliore. Anche se non possiamo guardarci negli occhi, potete leggermi dentro, direttamente nell'anima, sono stata oltremodo sincera a farvi l'iniziale confessione e lo sarò ancora nel dirvi che mi voglio mettere a nudo sempre di più, proprio qui, in questo blog, vi concedo il consenso di leggermi dentro, se lo vorrete, e se intendete leggermi. Quello di cui vorrei trattare stasera è la perdita dell'ingenuità o della leggerezza dell'anima. La mia è avvenuta all'età di 12 anni, ricordo la sera precisa. Era la fine dell'estate, avevo finito la prima media e attendevo in quel settembre di iniziare a frequentare la seconda. Mia nonna era morta a Luglio e prima della sua morte io avevo assistito alla sua "lunga" agonia, ma non sapevo che quel suo dolore fisico che le leggevo sul volto sarebbe finito con la sua morte, ero troppo giovane, troppo ingenua per conoscere la morte. L'ho conosciuta attraverso mia nonna, in quel frangente. Purtroppo si era ammalata di un tumore maligno al seno, due anni e mezzo ha combattuto contro quel cancro fino al termine della sua vita. Vivevo con questa mia cara nonna da quando ho emesso il mio primo respiro di vita, era come una seconda madre. Ricordo che aveva sempre delle caramelle di menta dentro le tasche del vestito che indossava e che adorava il suo giardino, che curava con devozione e amore, esattamente come faceva con me. Ma tornando al succo del discorso, al vero motivo per il quale sto scrivendo, ovvero quella sera di fine estate, qualche tempo dopo la morte della mia cara nonna, quella sera stessa in cui ho fatto una grave scoperta: ho capito la morte. Ho compreso, dopo una lenta elaborazione di quel lutto, che nessuno poteva darmi una risposta, e che alla fine si scompariva agli occhi delle persone più care, più amate, e che con loro, una volta avvenuto il passaggio dalla-vita-alla morte, non ci si poteva avere più nulla a che vedere, se non in sogno, forse, qualche volta. Quel momento, è stato il più duro della mia adolescenza, dei miei dodici anni, avere una piena comprensione della morte, una comprensione da adulta e doverla accettare, come l'ignoto che ci circonda e ci inghiotte senza scampo.