Cosa l'anima vuole - J. Hillman 1 (Scrivere all'anima) Ogni analisi psicoterapeutica racchiude una domanda; e questa può venire tanto dal paziente, quanto da me che su di lui mi concentro. Io mi chiedo cos'altro egli vuole, oltre ciò che abbiamo cercato di formulare, così come il paziente cerca di scoprire il motivo vero per cui è venuto. E questa domanda non si presenta il primo giorno soltanto, ma si ripete, talvolta riproposta con intenzione, al fine di una consapevolezza maggiore riguardo all'analisi. Tuttavia le risposte ad essa non sono mai semplici come quelle che si leggono nei libri, dove è detto che il paziente chiede di essere amato, o guarito da un sintomo, o che vuole trovare, salvare o migliorare una relazione, sviluppare tutte le sue potenzialità, oppure essere preparato alla professione di analista. Né la domanda può essere soddisfatta semplicemente enumerando le esigenze del terapeuta: aiutare qualcuno, stabilire profondi rapporti con la gente, guadagnarsi da vivere standosene in poltrona, indagare la psiche, risolvere i propri complessi. Infatti, ciò che io voglio e ciò che vuole il paziente sembra complicato da un altro fattore, quasi un filo che tira indietro, un'esitazione riflessiva che impedisce all'affermazione di ciò che realmente si vuole di trovare un'espressione diretta; tanto che, anche quando si arriva a toccare le proprie intenzioni, subito esse negano se stesse: Non è questo, assolutamente. Non è affatto quel che intendevo. Mi sono ormai convinto che l'incertezza riguardo al vero motivo per cui il paziente e io ci troviamo lì è appunto il motivo per cui siamo lì: questo terzo fattore, che sembra mantenere intenzionalmente mutevoli ed enigmatici i nostri scopi, e che ci incalza con la sua domanda anche mentre rifiuta le nostre risposte. Questo momento di intervento riflessivo, questo terzo fattore nell'esperienza terapeutica, lo attribuisco all'anima."
Cosa l'anima vuole - J. Hillman 1 (Scrivere all'anima) Ogni analisi psicoterapeutica racchiude una domanda; e questa può venire tanto dal paziente, quanto da me che su di lui mi concentro. Io mi chiedo cos'altro egli vuole, oltre ciò che abbiamo cercato di formulare, così come il paziente cerca di scoprire il motivo vero per cui è venuto. E questa domanda non si presenta il primo giorno soltanto, ma si ripete, talvolta riproposta con intenzione, al fine di una consapevolezza maggiore riguardo all'analisi. Tuttavia le risposte ad essa non sono mai semplici come quelle che si leggono nei libri, dove è detto che il paziente chiede di essere amato, o guarito da un sintomo, o che vuole trovare, salvare o migliorare una relazione, sviluppare tutte le sue potenzialità, oppure essere preparato alla professione di analista. Né la domanda può essere soddisfatta semplicemente enumerando le esigenze del terapeuta: aiutare qualcuno, stabilire profondi rapporti con la gente, guadagnarsi da vivere standosene in poltrona, indagare la psiche, risolvere i propri complessi. Infatti, ciò che io voglio e ciò che vuole il paziente sembra complicato da un altro fattore, quasi un filo che tira indietro, un'esitazione riflessiva che impedisce all'affermazione di ciò che realmente si vuole di trovare un'espressione diretta; tanto che, anche quando si arriva a toccare le proprie intenzioni, subito esse negano se stesse: Non è questo, assolutamente. Non è affatto quel che intendevo. Mi sono ormai convinto che l'incertezza riguardo al vero motivo per cui il paziente e io ci troviamo lì è appunto il motivo per cui siamo lì: questo terzo fattore, che sembra mantenere intenzionalmente mutevoli ed enigmatici i nostri scopi, e che ci incalza con la sua domanda anche mentre rifiuta le nostre risposte. Questo momento di intervento riflessivo, questo terzo fattore nell'esperienza terapeutica, lo attribuisco all'anima."