Perchè portare e con quali supporti

Partiamo dalla fisiologia e biologia del portare e dei suoi benefici.

In natura, parlando di mammiferi, ci sono diversi tipi di cuccioli (direttamente da http://www.portareipiccoli.it/bio_concetto.html) :

I cuccioli nidiacei, per esempio i gatti, topi, nascono dopo un breve periodo di gestazione e spesso in grande numero fortemente immaturi. Nudi, sordi e con gli occhi chiusi assomigliano alla nascita poco ai propri genitori. Inoltre sono molto immaturi dal punto di vista motorio; infatti la madre li nasconde in un nido dove rimangono finche’ sono pronti a lasciarlo. Dopo pochi giorni, mentre la madre è in cerca di cibo, rimangono per molte ore soli e tranquilli.

Dopo una lunga gestazione, i cuccioli nidifughi, come per esempio il cavallo, la pecora, invece, dopo poche ore dalla nascita sono fisicamente maturi, sanno camminare e seguire la madre e la gregge dappertutto.

Dal punto di vista evolutivo i nidifughi trascorrono il periodo da nidiaceo in utero, dove hanno gli occhi chiusi e sono senza pelliccia. Ma ancora prima della nascita maturano completamente.

Ma queste due tipologie non bastano per definire tutti i mammiferi. I koala e certe scimmie per esempio non possono muoversi da soli alla loro nascita, ma non sono neanche immaturi come i nidiacei: alla nascita assomigliano già molto ai loro genitori e tengono gli occhi aperti. Questi cuccioli vengono portati dalla loro madre per la maggior parte del tempo che non sanno ancora muoversi in modo autonomo.

Così nel 1970, fu introdotto dal biologo comportamentale Bernhard Hassenstein la definizione del PORTATO, per definire i cuccioli mammiferi che vengono portati dai loro genitori vicino al proprio corpo. Si distinguono oggi il portato passivo e il portato attivo.

Il portato passivo si lascia portare dalla madre senza dare un suo contributo. I marsupiali, come il canguro, sono portati passivi. I loro piedi e mani non sono predisposti per tenersi aggrappati al corpo della madre; infatti sono portati dentro una tasca.

I portati attivi invece si tengono attivamente sul corpo della madre. I loro piedi e mani sono fatti per aggrapparsi alla pelliccia della madre anche per molte ore al giorno. Di questa categoria fanno parte molti primati, i koala, gli opossum e altri grandi scalatori d’alberi.

E il cucciolo dell’uomo?

Il cucciolo umano si inserisce, secondo B.Hassenstein, E.Kirkilionis und W.Schiefenhoevel nella categoria dei PORTATI (Traglinge) .

Questa definizione può sorprendere, ma la serie di riflessi “primordiali” di cui il neonato umano dispone alla nascita e che si perdono di solito nei primi mesi di vita, rende quest’affermazione non solo comprensibile a tutti, ma addirittura logica. I riflessi per aggrapparsi, si presume, erano importanti nei tempi antichi, dove perdere il contatto con il corpo della madre significava pericolo imminente di morte. Il neonato umano era soltanto fisicamente sicuro vicino al corpo di sua madre. Ancora oggi il cucciolo dell’uomo, quando si sente abbandonato, si fa notare con tutte le sue energie piangendo per richiamare l’attenzione della madre. Il contatto corporeo con il genitore è di fondamentale importanza perchè garantisce, dal punto di vista biologico comportamentale, la sopravvivenza del piccolo.

In conclusione i biologi affermano, che le specifiche caratteristiche del portato, i riflessi innati per aggrapparsi, le particolarità anatomiche e il grande bisogno dei neonati e lattanti di contatto corporeo siano indizi univoci che l’essere umano, dal punto di vista biologico e storico evolutivo, deve essere un portato attivo. Il fatto, che neonati senza contatto corporeo non si sviluppano bene e che cercano continuamente di stabilire questo contatto, piangendo se necessario, sono altri indici che il contatto corporeo è di prima necessità per lo sviluppo del cucciolo dell’uomo.

Dal punto di vista scientifico portare significa tenere un piccolo in contatto con il corpo dell’adulto, che a sua volta è predisposto a portarlo.

Dunque, visto che i nostri cuccioli non hanno più la capacità di tenersi aggrappati alla mamma da soli, come fanno invece i primati più vicini a noi, le scimmie, vediamo cosa è possibile utilizzare per portare un bambino, per la precisione cosa ho provato personalmente, per darvi un’idea della comodità.

Premesso che per il bambino essere portato dà :

  • un sostegno ottimale alla colonna vertebrale
  • un sostegno ottimale della testa
  • una posizione divaricata-seduta delle gambe idonea alle anche

ed aggiungerei:

  • non respira gas di scarico (come a livello di un passeggino), non da poco ai giorni nostri
  • non si bagna perché sta sotto l’ombrello con la mamma
  • ha il seno a portata di bocca

e che all’adulto permette di :

  • portare “alto” (a livello e al di sopra del proprio ombelico)
  • portare “vicino” (nessun spazio vuoto tra i due corpi – non ci passa la mano)
  • lascia libertà di movimento (braccia/mani non devono sostenere il bambino)
  • regolare la modalità/posizione in base al peso crescente, quindi nessun problema a livello di postura della schiena

ecco i metodi più usati:

IL MARSUPIO

I marsupi sono molto venduti in quasi tutti i negozi che hanno articoli per neonati, ma bisogna valutarne bene la struttura. Purtroppo la maggior parte dei marsupi non prevede una postura corretta per il bambino e gravano molto anche sulla schiena dell’adulto che porta: prima di tutto non fasciano la schiena del genitore, che quindi si ritrova con il peso sbilanciato completamente in avanti e poi non permettono una posizione delle gambe del bambino a ranocchia (cioè gambe divaricate e sollevate, con ginocchia leggermente sopra al livello del bacino e con la traversa dove è seduto il bimbo che vada da rotula a rotula).

Inoltre non sono regolabili per portare fin dalla nascita e spesso tendono a staccarsi dal corpo di chi porta, creando l’effetto “ballonzolamento” che nuoce alla schiena del bambino.

LA FASCIA LUNGA

Non posso che spezzare una lancia a favore di questo supporto: mi fu regalato alla nascita della secondogenita e senza questa fantastica striscia di stoffa, sarei stata perduta.

Esistono fasce lunghe ELASTICHE e RIGIDE:

  • La fascia elastica è molto adatta a portare il bambino nei primi mesi di vita, proprio per la particolarità di essere cedevole e contenitiva, ma ha lo svantaggio di non reggere il peso oltre i 7/9 kg circa (gravando sulla schiena di chi porta) e di scaldare per via della fibra sintetica, quindi non è particolarmente idonea nei mesi estivi.
  • La fascia rigida in realtà non è rigida come lo possiamo intendere letteralmente, ma solo senza filo sintetico ed elastico nella tessitura, restando comunque confortevole ed avvolgente in virtù della trama particolare con cui viene ordita.

Fortunatamente a me fu regalata la fascia rigida, di una taglia molto grande per permettere anche a mio marito di usarla e la utilizzai dal primo giorno in ospedale (e ovviamente anche subito dopo il parto in casa) e fino a 3 anni della bambina, perché permette di portare fino a 13 kg abbondanti ed in svariate posizioni.

Per l’acquisto ci sono svariati negozi on-line, mentre solitamente nei rivenditori di articoli per bambini è più semplice trovare fasce corte (quindi non adattabili a tutte le posizioni), elastiche e con meno opportunità sui colori.

In ogni caso, solitamente, con l’acquisto di una fascia, si trova nella confezione anche un libretto illustrativo sulle modalità di indosso e, nel caso ci fossero ancora dubbi, si trovano molti video su you-tube e si possono frequentare i corsi tenuti dalle consulenti, per imparare al meglio come gestire fascia e bambino.

Io ho utilizzato ed utilizzo tuttora con la terza bimba i seguenti modi di portare:

  • Davanti, con legatura a ranocchia, fin dai primi giorni, per vedere la bambina, allattarla, dondolarla per dormire, tenerle la testolina ferma e poterla indossare prima di uscire e poi infilare la bimba senza dover rifare il nodo ogni volta;
  • Sul fianco, soprattutto la sera, per offrire il seno e intanto cucinare anche dopo i primi mesi;
  • Sulla schiena (circa dai 4 mesi di età delle bimbe, quando hanno un buon controllo della testa), per sentirmi più libera, soprattutto in casa nei lavori più pericolosi, come stirare e cucinare, o fuori per lunghe passeggiate.

IL MEI TAI

Esistono diversi siti online ove acquistare MEITAI davvero bellissimi, ma con un tutorial è anche possibile cucirne uno abbastanza facilmente, se siete già delle brave sarte.

Io me ne feci fare uno intorno all’anno di Elettra, credendo di poter portare più facilmente, ma con la mia vita frenetica lo trovo tuttora un po’ scomodo per via dell’impossibilità di poterlo indossare da subito (prima di uscire di casa e con giacca sopra per intenderci) ed infilarci dentro la bambina dopo il viaggio in macchina, anche se in realtà è senz’altro molto pratico e veloce da indossare, soprattutto per chi è alle prime armi con le legature.

http://www.meitaimundo.it/it/perche-il-mei-tai

La fascia ed il meitai sono senza dubbio supporti che permettono di eliminare quasi totalmente l’acquisto di altre attrezzature di trasporto per bambini, risparmiando quindi denaro e spazio, ma alcuni modelli hanno dei costi abbastanza elevati se si tratta di tessuti di alta qualità (come la Didymos ad esempio) e di notevole lunghezza (questo per le fasce), pertanto io consiglio anche di cercare la fascioteca più vicina per provare e poi scegliere la tipologia di supporto più congeniale alle vostre esigenze.

Dopo di che potete buttarvi nell’acquisto del modello di supporto porta-bebè che preferite e che si addice alla vostra quotidianità.

Buon viaggio a voi ed ai vostri cuccioli!

I miei allattamenti

Tutto comincia nel lontano 2001.
La mia prima bimba, Sophia, nasce con taglio cesareo perché podalica e tralascio i dettagli su quanto mi sono sentita presa in giro sull’argomento parto.

Ricordo perfettamente però che all’inizio non la sentivo davvero mia, la allattavo, la tenevo in braccio per un po’, ma poi la posavo abbastanza in fretta, come se fosse una bambola e in tutto ciò, anche se vagamente, ricordo che applicavo i consigli ricevuti in ospedale e da molta altra gente (mia madre compresa, perché la reputavo abbastanza esperta, avendo lavorato al reparto nido dell’ospedale per diversi anni e solo tempo dopo mi sono resa conto di quanto fossero assurde le sue affermazioni, visto che non aveva allattato né me, né mia sorella), su orari, tempi, ciucci, latte che va via, produzione aumentata bevendo birra, doppia pesata, bimbi che si viziano, bimbi che piangono solo per fame, e potrei continuare.

Dopo un mese però comincio a sentirmi davvero “mamma” e a provare piacere nell’allattare mia figlia, ma lei pare avere reazioni strane al seno: si agita, piange, la sera non ne vuol sapere di staccarsi… si calma solo col ciuccio, così comincio a pensare di non avere abbastanza latte e, come si può immaginare, in virtù dei consigli ricevuti, con mio enorme rammarico dopo circa 40 gg passo all’aggiunta di latte artificiale.

Prima di rinunciare del tutto all’allattamento al seno mi informo e gioco la carta della consulente IBCLC che c’è in zona, che mi consiglia di dare a Sophia l’aggiunta con il bicchiere e di attaccare la bimba il più possibile al seno; nel tentativo di farmi sostenere da mia madre (almeno fisicamente per qualche giorno, per potermi dedicare solo alla piccola) mi sento dire che sono pazza a dare da mangiare alla bimba con una tazzina invece di un biberon, che la faccio solo soffrire.

Sono abbandonata a me stessa, troppo insicura, troppo spaventata dalle circostanze, non ho nemmeno il supporto di mio marito perché disinformato più di me, non me la sento di risentire la consulente, e così, dopo qualche altro giorno di seno e biberon alternati, passo definitivamente al latte artificiale, piangendo… e delegando il più possibile il pasto col biberon a chiunque sia presente in quel momento, perchè mi sento fallita e incredula, dato che all’inizio avevo latte da vendere ed era partito tutto così bene (non una ragade, bimba che cresceva…).

Mi arrendo, ma resto con l’amaro in bocca… non mi basta vedere la bimba che cresce serena… nel mio profondo resta un dolore sordo e in attesa di essere rivendicato in qualche modo.

Passano 6 anni e finalmente, dopo una perdita precoce, arriva la gravidanza di Elettra, che desideravo da tempo.
Per prima cosa comincio ad informarVi sul vbac perché anelo con tutta me stessa a non ripetere l’esperienza del cesareo, per me e soprattutto per la bambina. Quale mondo nuovo mi si apre sul parto naturale!

Dopo tanti colloqui e conoscenze acquisite, mi faccio accompagnare da un’ostetrica (e naturalmente da mio marito, che mi ha supportata in tutto il percorso e creduto in me) e la mia bimba nasce in un ospedale a 40 km da casa, con tutta la naturalità possibile, senza interferenze, quasi senza essere toccata da mani sconosciute, in perfetta serenità.

Come per il parto, durante la gravidanza mi preoccupo di venire a conoscenza di tutto quello che è importante sapere circa l’allattamento al seno, perché sono decisa ad allattare ad ogni costo e così vado a qualche incontro tra mamme e consulenti e leggo “tutte le mamme hanno il latte” di Paola Negri e “l’arte dell’allattamento materno” della LLL.

Anche per quel che riguarda l’allattamento scopro che tutto quel che sapevo fino a quel giorno era…. sbagliato! E così fin dalla nascita della piccola Elettra non ascolto nessun consiglio, ma applico pedestremente quel che viene detto nei succitati libri, tengo la bimba attaccata al seno giorno e notte (e nemmeno all’ospedale osano allontanarla da me), non le do il ciuccio, appena piange la allatto, controllo solo pannolini bagnati e peso una volta a settimana (e cresce bel oltre i 125 grammi che dovrebbe prendere secondo gli standard).

Purtroppo appena torno a casa dall’ospedale, anche un po’ debole per via di una emorragia avuta dopo il parto, mi viene un tremendo ingorgo con febbre, ma lascio perdere tutto il resto e con il supporto telefonico di mia cugina (pediatra dell’ospedale dove ho partorito, molto competente in allattamento e ad oggi anche consulente IBCLC), attacco la bambina alla lupa, faccio impacchi caldi sul seno e sto a letto più che posso, perché IO VOGLIO ALLATTARE e nel giro di qualche giorno il seno si libera e attaccarla non fa più male, che sollievo!

La bimba in generale si sveglia molto di notte, di giorno è sempre in braccio (infatti inizio subito ad usare una fascia), ma non ho mai voglia di posarla, la sento mia da subito, siamo legatissime, è tutto diverso dalla prima volta, sono una persona nuova, so che la mia stanchezza è ripagata da quanto cresce bene e felice la mia bambina.

Intorno ai suoi 40 gg, forse reduce dalla brutta esperienza precedente, ho un momento di panico: alla pesata della settimana la bimba pare aver preso solo 80 grammi, ed io ho un crollo emotivo, temo che per qualche ragione il latte mi stia di nuovo andando via… è il mio destino? Eppure la piccola la allatto a richiesta, dorme beata, non piange…

Mi “salva” di nuovo mia cugina, la pediatra più in gamba della terra. Mi dice di non guardare il peso, ma solo i pannolini, che forse è stata una pesata sbagliata, che in un mese ha preso 1600 grammi e quindi forse ha rallentato un po’, insomma ci sentiamo ogni giorno e ogni giorno racconto come va e vengo supportata e rassicurata e così supero la crisi, la bimba sta bene, continua a crescere.

Il nostro allattamento continua alla grande, non offro mai acqua o un biberon di LA o tisane, la consolo poppando per ogni cosa, coliche, sonno, stress della giornata, le notti sono piene di risvegli… tanti risvegli, anche 10/12 per notte… la piccola vuole solo poppare e dormire poppando… poppare dormendo… io sono esausta per interi giorni consecutivi, ma non mollo, so che sto facendo la cosa giusta, so che la sua felicità sarà la mia, so che il nostro legame è insostituibile.

E così passano i mesi: quando Elettra ne ha 8 torno a lavorare e la porto dalla nonna, 8 ore al giorno quasi da subito. Mia madre è preoccupatissima: crede di doverle dare un biberon di latte in mia assenza, crede che la bimba piangerà senza un ciuccio, crede tante cose…

In realtà, nonostante lo svezzamento quasi inesistente, poichè la piccola si nutre ben poco di cibi solidi (i nostri, perché ho iniziato a darle le pappe come tradizione vuole, ma lei ci ha messo poco a farmi capire che voleva quello che avevamo noi nel piatto!), prediligendo sempre il seno, si adatta presto alla nuova routine: mangia a spizzichi durante il giorno con la nonna, assaggiando comunque di tutto (poi la sera e la notte fa il pieno di latte di mamma) si addormenta senza seno, beve dal bicchiere, non ha bisogno di altri sostituti del latte né tantomeno di biscotti ipercalorici e la nonna resta stupefatta e si convince di quanto le avevo prospettato e di tutto il mio lavoro fatto fino ad allora, affinchè la bimba venga allattata esclusivamente con latte materno e senza altre forzature.

Unica nota leggermente dolente: avevo iniziato intorno ai 5 mesi della bambina a tirarmi il latte, affinchè mia madre potesse averne un po’ di scorta in freezer per le emergenze, ma Elettra non ne ha voluta una goccia, né col bicchiere, né col beccuccio, né caldo, né freddo… voleva il latte di mamma, direttamente dalla fonte!

L’esperienza però mi ha insegnato che, nonostante la mia enorme difficoltà a tirarmi il latte, non poteva assolutamente essere che il latte non ci fosse perché la bimba invece poppava felice e cresceva e che quindi le 2 cose non sono collegate.

Il nostro allattamento procede: Elettra resta una bimba molto esigente ed ad alto contatto fino a 2 anni inoltrati, finchè comincia l’asilo (2 anni e 4 mesi) e, forse per problemi di dentizione o di adenoidi (da lì infatti comincia a respirare male, ad ammalarsi di continuo e ad avere problemi di orecchie), forse per mera casualità, inizia a poppare male, sento dolore quando si attacca, mi pare che non succhi il latte ma resti solo appesa al seno e pertanto le chiedo costantemente di ciucciare bene o di staccarsi e riprovare.

Inoltre la notte si sveglia di nuovo moltissimo, almeno ogni 2 ore, se non ogni 45 minuti e quel continuo ciucciare male mi dà molto fastidio ai capezzoli e non mi lascia riposare.

La cosa continua così per altri 4/5 mesi: io a volte sono sofferente, altre sono paziente, ma non ci sono variazioni o miglioramenti, io non sento più la calata del latte che avevo sempre sentito sino ad allora, mi innervosisco perché Elettra si attacca spesso e male ed un fatidico giorno, nel sonno, mi morde molto forte, fino a far sanguinare il capezzolo.

La sera successiva, con mio enorme dispiacere ed andando un po’ contro la mia volontà, decido di dire alla bimba che ho molto male e che quindi non può più poppare. I primi minuti serali sono stati difficili, ma alla fine abbiamo risolto l’addormentamento con una storia, un po’ di tv e come sempre tante coccole e nanna insieme, riscoprendo un nuovo modo di amarci da lì in poi.

Avrei preferito che fosse lei a lasciare il seno, e magari oltre i 31 mesi, ma nonostante l’interruzione brusca non ho avuto alcun ingorgo e perciò a posteriori ho pensato che la piccola non prendesse più il latte da diverso tempo e che quindi un nuovo modo di amarci non doveva farmi sentire in colpa.

Elettra cresce, resta una bimba esigente e ad alto contatto, ad altissima richiesta, (infatti la notte si sveglia ancora, per cui ho conferma che i risvegli non sono dovuti alla tetta!) tanto che da quando è nata penso di chiudere definitivamente con le gravidanze, ma poi, un giorno, forse per via di un altro aborto (quando Elettra non aveva nemmeno 2 anni, una gravidanza inaspettata, ma poi accolta con gioia), rinasce dentro di me la voglia di un neonato, di un esserino da accudire ed allattare.

E’ così che nell’estate 2013 cerchiamo un altro gioiello da amare… e con enorme gioia di tutti scopriamo che si tratta proprio di un’altra femminuccia e, indecisi sul nome ed in virtù di alcune coincidenze, nasce Diamante Adele e stavolta con parto in casa.

Che dire… dopo 36 ore arriva già la montata lattea, io sono serena, al settimo cielo per questa nascita naturalissima e ormai non ho più alcun dubbio! La piccola è una ciucciona nata, cresce a vista d’occhio, è esigente ma non troppo, un po’ un mix delle 2 sorelle. A volte dorme beata nella sdraietta, a volte nella fascia, senza tanti problemi so che tetta e contatto sono il meglio per lei (e per me).

L’attacco spesso a rugby per drenare il seno all’interno e lei si lascia posizionare come preferisco pur di ciucciare.
Scopro anche che ha bisogno di meno latte zuccherino e quindi per 2 giorni le offro per 4 ore sempre lo stesso seno e questo mi aiuta a diminuire la produzione e a far sì che la notte la piccola riposi meglio, senza lamenti per la digestione.

E poi la sera, mi accorgo per caso che non riesce ad addormentarsi se mi sdraio o mi siedo per darle il seno, ma che si rilassa solo se la tengo in fascia in verticale con seno a portata di bocca: nel giro di pochi minuti si addormenta e riesco anche a posarla per un poco senza che si svegli.

Il nostro allattamento prosegue senza intoppi, anche se intorno ai 6 mesi una mattina mi sveglio con un ingorgo. E’ molto doloroso e mi abbatte fisicamente, ma attacco la bimba più spesso da quella parte e nel giro di 24 ore tutto torna come prima e alla mia Diamante viene dato presto il nomignolo di “bella balena” da quanto cresce bene!

Quando ha 9 mesi torno al lavoro e lei, come le sorelle, viene accudita tutto il giorno dalla nonna, che è ormai reduce dall’esperienza precedente e non si fa più tanti problemi: mi tiro un po’ di latte, giusto per tamponare i primi giorni in cui la lascio solo al mattino, ma anche con lei scopro che devo buttarlo via, perché non ne vuole sapere di berlo in alcun modo. La nonna le prepara le pappe in modo classico, invece a casa io applico da subito “l’autosvezzamento”, in cui offro solo il nostro cibo, sano e ben cucinato e lei assaggia qualche boccone, prediligendo sempre e comunque la tetta. Anche a lei non offro mai biberon e sa bere sin da subito dal bicchiere.

Diamante, per quanto amante del latte di mamma, al contrario si dimostra non troppo interessata al cibo solido, assaggia di tutto, ma proprio in quantità minime ed infatti intorno all’anno rallenta decisamente la sua crescita.

Oggi la piccola ha 2 anni e 4 mesi e naturalmente ciuccia ancora e per fortuna bene, senza darmi fastidio o dolore; non ha mai un grande appetito quando è a tavola, ma esattamente come con la tetta, che resta la base della sua alimentazione (anche se ci vediamo solo mattino e sera) stuzzica diverse volte al giorno (un grissino, 2 fette di un frutto…) ed io so che si auto-regola benissimo da sola.

Le notti con lei, al contrario di quanto accadeva alla stessa età con Elettra, sono molto più facili e gestibili; nonostante ricerchi il seno per addormentarsi ogni volta che si sveglia, adesso si accontenta anche delle coccole del papà quando vede che mi alzo al mattino, pur di restare a dormire ancora un po’.

Sono felice perchè lei è felice. Il seno è diventato anche punto di sfogo e rassicurazione quando torna dall’asilo, quindi non glielo nego mai. Al contrario quando siamo a spasso è così distratta che nemmeno si ricorda!
Spero di allattarla ancora a lungo, così a lungo da far sì che un giorno si ricordi quello che invece Elettra e naturalmente Sophia hanno già dimenticato di questi momenti solo nostri, unici, magici, di mamma e figlia che con così poco creano senza accorgersene un rapporto speciale.

Allattare non è solo nutrimento.

Partiamo dall’inizio… siamo semplicemente mammiferi

A scuola, fin dalle elementari, la maestra ci ha spiegato la classificazione degli animali, divisi tra mammiferi, ovipari, ovovivipari ecc, ma forse non abbiamo mai veramente collegato e realizzato come si comporta un mammifero e come dovrebbe comportarsi quindi anche l’uomo. Ricordo bene che la prima cosa che viene detta per insegnare a distinguere i mammiferi dagli altri animali è che il mammifero allatta i piccoli… ma le differenze sono molte e purtroppo la società di oggi tende a non considerarle più valide come metodo di accudimento per i cuccioli d’uomo.

Intanto partiamo dalla grande scoperta che feci dopo il primo allattamento fallito, leggendo “Tutte le mamme hanno il latte” di Paola Negri, che già dal titolo la dice lunga e poi molto altro con “Abbracciamolo subito” di Michel Odent e “Besame mucho” di Carlos Gonzales, per citare alcuni esempi.

Facciamo un esempio pratico: mamma gatta per partorire si isola, cerca un posto sicuro e non lascia avvicinare nessuno. Poi lascia che i cuccioli appena nati cerchino da soli i capezzoli e non interferisce nel loro istinto di succhiare finchè hanno voglia e quante volte desiderano, li lascia da soli solo per cercare cibo, ma poi torna sempre a soddisfare il loro bisogno di latte, di coccole, di presenza rassicurante.
Invece noi? Solitamente il nostro parto avviene in ospedale, circondate da estranei, da gente che tocca il nostro piccolo, che interferisce con l’imprinting, che ci dice di non viziarlo tenendolo troppo al seno o in braccio, proponendo surrogati che non esistono in natura, come ciucci, biberon, passeggini, culle dondolanti, di cui in realtà il cucciolo d’uomo non ha assolutamente bisogno.

Il cucciolo d’uomo, nonostante il progresso, la tecnologia, la medicina e quant’altro, è sempre stato e resta un piccolo mammifero, ancora più indifeso e in cerca di protezione di un qualsiasi altro! Infatti il suo DNA prevede tuttora che pianga se lasciato solo, o addirittura anche solo posato per un istante, perché il suo istinto crede ancora che la sua sopravvivenza sia possibile solo se accanto alla mamma, per succhiare al seno (nutrimento) e per stare tra le sue braccia (coccole e salvezza dalle belve feroci… esattamente come milioni di anni fa).

Ho scoperto sulla mia pelle che il bambino non ha bisogno d’altro. La mamma che accudisce il suo piccolo tenendolo nel lettone di notte, in braccio di giorno, al seno quando e quanto vuole, non sta facendo altro che accudire, non viziare.
Ed esattamente come accade ancora tutt’oggi in diverse comunità del mondo e per molti mammiferi animali, la mamma i primi tempi avrebbe bisogno del supporto pratico (ed emotivo) delle altre donne di famiglia, perché nessuno nega che crescere un bambino non sia faticoso! Spesso e volentieri c’è anche un altro bambino da accudire, a cui serve un pranzo e dei vestiti puliti, per cui la mano costante di un altro adulto è preziosa, proprio per far sì che invece il nuovo nato possa avere tutte le attenzioni della madre.

La società che invece spinge le madri a lasciare al più presto il bambino ad altri, lo fa solo per interessi commerciali, per vendere biberon, per vendere culle, per far sì che le madri tornino al lavoro al più presto e collaborino all’aumento del PIL, perché possano andare in palestra e dal parrucchiere… sempre per far girare l’economia a mio dire: tutte cose che ad un bimbo appena nato (e anche più cresciuto!) non servono, ad un bimbo non interessa che la madre sia all’ultima moda, ma che sia semplicemente presente.

Quello che ho imparato a ricordare, ogni volta che mia figlia di 2 anni piange, è che non è lei a sbagliare, a fare i capricci, ad essere terribile, ma che sono io a dover imparare a rispettare i suoi bisogni, le sue richieste di attenzione, perché la natura non sbaglia, la natura SA cosa sia meglio per lei.
Certi giorni, nel mio caso da sola e da subito, è davvero dura fare la mamma mammifera… ma è anche vero che allattare di notte e avere un bimbo nel lettone è meno faticoso di alzarsi 10 volte per 10 biberon, o per 10 ninne nanne e che fare la spesa o passeggiare con un bimbo nella fascia è più facile e più sicuro anche per lui, perché non respira i gas delle auto, non tocca carrelli pieni di microbi, se piove se ne sta sotto l’ombrello con la mamma.

Fare la mamma ad alto contatto, non è una scelta di vita new age, è solo agire secondo natura…