COME HO INIZIATO A PORTARE…

Arrivavo da una bambina poco esigente fin dalla nascita, Sophia, pertanto ero quasi convinta che la sorella dovesse somigliarle abbastanza… grave errore!

Appena nata Elettra, chiesi di non separarmi mai da lei per avviare bene l’allattamento e non credo avrei potuto fare diversamente! Voleva sempre stare attaccata e in braccio, sin dalle prime ore in ospedale.

Mia cugina, che lavorava proprio in quel policlinico, si era raccomandata con me di non partorire il 16 maggio perché lei sarebbe stata ad un corso e le sarebbe dispiaciuto non essere presente e non visitare personalmente la piccola, ma quest’ultima ci aveva subito fatto capire chi comandava ed era nata proprio quella notte.

La chiamai e ridemmo insieme per l’annuncio del lieto evento avvenuto con “tempismo perfetto” e lei mi disse che appena possibile mi avrebbe portato la fascia che mi aveva promesso in regalo; io risposi di fare con comodo perché dentro di me non credevo che sarei riuscita ad usarla con naturalezza e disinvoltura.

La prima legatura me la mostrò subito quella sera, arrivata di corsa per me e mentre io cercavo di mangiare qualcosa, mia cugina si mise la piccola Elettra urlante in fascia, calmandola facendole succhiare il suo mignolo… lo ricordo come se fosse adesso.

Poco dopo, goffamente, provai a portarla io… mi sentii strana, dubbiosa, con la paura di non riuscirci più senza l’aiuto di qualcuno, ma in realtà nel profondo fu subito amore.

Fu così che nelle ore successive, sempre con la piccola avvinghiata al mio seno, sfogliai il libretto di istruzioni allegato alla fascia e ripassai più volte le posizioni più semplici: il giorno dopo mi avrebbero già dimessa e io uscii dall’ospedale con Elettra in fascia.

Le mie amiche, una ad una, iniziarono a chiamarmi per avere il racconto del mio tanto desiderato VBAC e con serenità raccontai loro ogni dettaglio, gongolando per l’amore puro che ci aveva legate fin da subito e per la fascia che rendeva tutto ancora più forte e profondo.

Da lì il binomio fascia-tetta diventarono soluzione insostituibile per accudire la bambina.

Lottai per i commenti sui vizi, sulle cattive abitudini, mi tappai le orecchie quando sentivo dire che non si sarebbe mai staccata, che non avrebbe camminato, che soffocava, che sarebbe caduta, che era scomoda, che dovevo posarla e lasciarla piangere.

Ma lei cuore a cuore con me non piangeva mai, quindi non era certamente scomoda! Era felice, serena, io potevo annusarla, sapevo che sarebbe cresciuta e avrebbe preso il volo, perché non ascoltare i suoi bisogni e il suo istinto in quel momento?

Certo, non fu semplice tante volte, dover fare tutto con lei sempre addosso, ma appena riuscii a metterla sulla schiena divenne davvero molto più comodo e semplice per me, oltre che sempre soddisfacente per lei.

Anche mio marito scoprì l’utilità della fascia ed i suoi benefici, quindi spesso mi aiutò a riposare un po’ mettendo lui la pupa in fascia e dondolando guardandosi un film, oppure sonnecchiavano insieme mentre io mi facevo una doccia, oppure passeggiavano in vacanza mentre io facevo qualche foto e stavo con la sorella grande.

E poi… Elettra è cresciuta, ha cominciato a camminare, ha cominciato a non voler più stare in fascia per esplorare il mondo, è diventata socievole, sorridente, ama la vita, le persone e non è affatto la bambina “viziata” che la gente si aspettava.

Portare in fascia è un gesto d’amore, può fare tutto, ma non male, né alla mamma né al bambino, non posso che consigliarlo vivamente.

Partiamo dall’inizio… siamo semplicemente mammiferi

A scuola, fin dalle elementari, la maestra ci ha spiegato la classificazione degli animali, divisi tra mammiferi, ovipari, ovovivipari ecc, ma forse non abbiamo mai veramente collegato e realizzato come si comporta un mammifero e come dovrebbe comportarsi quindi anche l’uomo. Ricordo bene che la prima cosa che viene detta per insegnare a distinguere i mammiferi dagli altri animali è che il mammifero allatta i piccoli… ma le differenze sono molte e purtroppo la società di oggi tende a non considerarle più valide come metodo di accudimento per i cuccioli d’uomo.

Intanto partiamo dalla grande scoperta che feci dopo il primo allattamento fallito, leggendo “Tutte le mamme hanno il latte” di Paola Negri, che già dal titolo la dice lunga e poi molto altro con “Abbracciamolo subito” di Michel Odent e “Besame mucho” di Carlos Gonzales, per citare alcuni esempi.

Facciamo un esempio pratico: mamma gatta per partorire si isola, cerca un posto sicuro e non lascia avvicinare nessuno. Poi lascia che i cuccioli appena nati cerchino da soli i capezzoli e non interferisce nel loro istinto di succhiare finchè hanno voglia e quante volte desiderano, li lascia da soli solo per cercare cibo, ma poi torna sempre a soddisfare il loro bisogno di latte, di coccole, di presenza rassicurante.
Invece noi? Solitamente il nostro parto avviene in ospedale, circondate da estranei, da gente che tocca il nostro piccolo, che interferisce con l’imprinting, che ci dice di non viziarlo tenendolo troppo al seno o in braccio, proponendo surrogati che non esistono in natura, come ciucci, biberon, passeggini, culle dondolanti, di cui in realtà il cucciolo d’uomo non ha assolutamente bisogno.

Il cucciolo d’uomo, nonostante il progresso, la tecnologia, la medicina e quant’altro, è sempre stato e resta un piccolo mammifero, ancora più indifeso e in cerca di protezione di un qualsiasi altro! Infatti il suo DNA prevede tuttora che pianga se lasciato solo, o addirittura anche solo posato per un istante, perché il suo istinto crede ancora che la sua sopravvivenza sia possibile solo se accanto alla mamma, per succhiare al seno (nutrimento) e per stare tra le sue braccia (coccole e salvezza dalle belve feroci… esattamente come milioni di anni fa).

Ho scoperto sulla mia pelle che il bambino non ha bisogno d’altro. La mamma che accudisce il suo piccolo tenendolo nel lettone di notte, in braccio di giorno, al seno quando e quanto vuole, non sta facendo altro che accudire, non viziare.
Ed esattamente come accade ancora tutt’oggi in diverse comunità del mondo e per molti mammiferi animali, la mamma i primi tempi avrebbe bisogno del supporto pratico (ed emotivo) delle altre donne di famiglia, perché nessuno nega che crescere un bambino non sia faticoso! Spesso e volentieri c’è anche un altro bambino da accudire, a cui serve un pranzo e dei vestiti puliti, per cui la mano costante di un altro adulto è preziosa, proprio per far sì che invece il nuovo nato possa avere tutte le attenzioni della madre.

La società che invece spinge le madri a lasciare al più presto il bambino ad altri, lo fa solo per interessi commerciali, per vendere biberon, per vendere culle, per far sì che le madri tornino al lavoro al più presto e collaborino all’aumento del PIL, perché possano andare in palestra e dal parrucchiere… sempre per far girare l’economia a mio dire: tutte cose che ad un bimbo appena nato (e anche più cresciuto!) non servono, ad un bimbo non interessa che la madre sia all’ultima moda, ma che sia semplicemente presente.

Quello che ho imparato a ricordare, ogni volta che mia figlia di 2 anni piange, è che non è lei a sbagliare, a fare i capricci, ad essere terribile, ma che sono io a dover imparare a rispettare i suoi bisogni, le sue richieste di attenzione, perché la natura non sbaglia, la natura SA cosa sia meglio per lei.
Certi giorni, nel mio caso da sola e da subito, è davvero dura fare la mamma mammifera… ma è anche vero che allattare di notte e avere un bimbo nel lettone è meno faticoso di alzarsi 10 volte per 10 biberon, o per 10 ninne nanne e che fare la spesa o passeggiare con un bimbo nella fascia è più facile e più sicuro anche per lui, perché non respira i gas delle auto, non tocca carrelli pieni di microbi, se piove se ne sta sotto l’ombrello con la mamma.

Fare la mamma ad alto contatto, non è una scelta di vita new age, è solo agire secondo natura…