Il “Made in Italy” globalizzato.

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Quante aziende italiane hanno delocalizzato la produzione all’estero in nome della globalizzazione e continuano a vendere con il marchio “Made in Italy”?
Il “Made in Italy” non è di proprietà delle aziende, ma del nostro Paese.
Chi lo usa deve produrre in Italia.
Se emigra utilizzi per i vestiti, le auto, i caschi per le moto, le caffettiere, i marchi “Made in China” o “Made in Romania” e vediamo chi comprerà i suoi prodotti.
La delocalizzazione ha regalato profitti giganteschi alla Confindustria e la disoccupazione agli italiani.
In alcuni casi questo è avvenuto, come per la Romania, attraverso incentivi alle aziende provenienti dai contributi versati dall’Italia alla UE, i famosi “fondi europei”.
Ci siamo pagati la delocalizzazione con le nostre tasse…
Aziende create da generazioni di tecnici, operai, ingegneri, designer italiani non si possono spostare come un pacco postale in un qualunque luogo della Terra perché “costa meno”. In posti dove spesso non esistono controlli, garanzie, leggi, norme di tutela ambientale.
E’ necessaria subito, per bloccare l’emorragia, una legge che tolga il diritto dell’uso del “Made in Italy” alle aziende che non ne hanno diritto. Oltre al danno della disoccupazione non possiamo subire anche la beffa del marchio abusivo.

Buio Erotico.

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Buio.
Buio completo.
La benda che ho sugli occhi mi impedisce di vedere cosa sta accadendo.
Lo posso solo immaginare, dai rumori, dagli odori, da quella sensazione
di vicinanza di un’altra persona che si ha solo quando si hanno gli occhi tappati. Sono sdraiato sul letto
un volere di lei.
Sono a sua completa disposizione.
E mi piace.
La sento che si avvicina, al mio viso, la sento respirare.
Inizia una fellatio bellissima, passionale, non violenta,
sia per lei che per me.
L’unica mia sofferenza quella di non poter usare le mani, il tatto.
Sento che mi scioglie i polsi.
Ma mi ordina di non toccare la benda, che oltre a non farmi vedere, mi fa sudare tantissimo.
Ma sono pronto a questo disagio.
Mi fa alzare anche me, mi fa mettere in ginocchio sul letto, quindi mi dice di aspettare.
Dopo poco la sento davanti a me.
Le mani, ora libere possono esplorare la scena.
lei si alza,
la sento che si allontana,
va in bagno a rimettersi in sesto.
Quando torna mi toglie la benda.
Mi butta addosso i miei vestiti e mi dice:
Adesso vattene.

Non dovresti mai andare in bagno dopo la prima birra

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Mai andare in bagno dopo la prima birra. Chi è un bevitore abituale conosce bene questa regola e si astiene dal correre al wc non appena sente lo stimolo.
Il motivo?
Se vai al bagno dopo aver bevuto la primissima birra della serata, ti ritroverai ad andarci diverse altre volte senza riuscire più a fermarti. Fantascienza? Assolutamente no! La spiegazione di questo fenomeno (e la sua veridicità) è scientifica.
Detto questo torniamo al quesito iniziale: come mai è meglio non andare alla toilet dopo la prima birra?
Per rispondere a questa domanda è necessario conoscere bene il funzionamento del corpo umano e in particolare della vescica.
Quest’ultima infatti è elastica e quanto più spesso viene svuotata tanto più si abitua.
Ciò significa che, se all’inizio della serata ci rechiamo immediatamente al bagno appena sentiamo lo stimolo, la nostra vescica si abituerà e ogni volta che la birra causerà la diuresi, dovremo correre subito al wc per svuotarla.
In sostanza quando non facciamo pipì per diverso tempo il nostro organismo si abitua a questa sensazione e il fatto non ci provoca nessun fastidio.
Questo spiega perché riusciamo a resistere diverse ore senza andare mai in bagno.
Se invece rispondiamo subito a questo stimolo, svuotando la vescica non appena ne sentiamo il bisogno, il cervello si abituerà di nuovo e ogni volta che l’organo si riempirà ci spingerà ad andare in bagno.