Sta per cominciare la notte più lunga (e più attesa) dell’anno, e se la notte di San Silvestro cominciasse con la danza di un folletto-donna che mantiene tra le mani una lanterna? Vorrà dire di fare attenzione! Molta attenzione. E’ solo scaramanzia… ma io ci credo. Chi balla col folletto a Capodanno, ci ballerà tutto l’anno. O almeno cosi si diceva fino dalle origini dell’uomo… dall’età della pietra o dall’età del metallo. Non so. Comunque so che… Sono dolcezze infinitesimali ma anche complicazioni verso le quali doversi impegnare. Cosi cita il titolo del secondo disco degli Youth Code di Los Angeles, gli statunitensi Ryan George e Sara Taylor che illuminano il buio di una stanza vuota con musica ebm, electro-industrial e cyberpunk (a metà strada tra i Ministry, i Fear Factory e i Nine Inch Nails). Se vi siete fatti “gabbare” dalle retromanie sophomore accertate dal primo e dall’ultimo pezzo della tracklist ((armed) e Lost at Sea), sappiate che il succo è tutto rock. 10 tracce inarrestabili come noi, che pietra o metallo, ci spezziamo ma non ci pieghiamo (o era vero il contrario?). Vabbè, sono transizioni. Dirompenza espressiva e rimedio contro lo stress. Una notte tutta metallara è quello che non si era ancora visto, dalla notte dei tempi.
Mese: dicembre 2018
The Decemberists – “Traveling On” (Capitol Records, 2018).
Following up their 8th studio recording ‘I’ll Be Your Girl’, praised by NPR as “vibrant and alive”, The Decemberists release their EP ‘Traveling On.’ The collection consists of 4 additional tracks from the ‘I’ll Be Your Girl’ recording sessions (previously featured on the ‘Exploded Edition’ box set) along with a full band version of “Tripping Along”. This release continues a tradition of post-album EPs, joining ‘Picaresqueties’ (2005), ‘Long Live The King’ (2011) and ‘Florasongs ‘(2015).
Toto Cutugno – “Insieme”
Benji & Fede – “Sempre”
The Verve – “Bitter Sweet Symphony”
Gomez – “Bring It On” (Virgin Records, 1998).
Se dici Anni 90 dici sicuro Gran Bretagna e brit-pop: sono gli anni di maturazione, di crescita, di paura; gli anni delle lamentele (vere o presunte) dei fratelli Gallagher, della scena fervente di Manchester che diventa per l’occasione “Madchester”, la pazza albione! E ancora, le menate di Damon Albarn e dei Blur di Graham Coxon, ma anche la resa resofonica del dobro degli Elbow, dei Doves e dei Pulp… la camminata che-fa-tanto-figo di Richard Ashcroft lungo Hoxton Street (a Nord di Londra) e la tradizione lasciata dagli Stone Roses di Ian Brown nelle scheggie impazzite di musica stereofonico-altisonante di Paul Weller e Johnny Marr. La musica sembra aver raggiunto un grado di saturazione anthem-stadium facilmente prevedibile, e gente come Ben Ottewell, Tom Gray e Ian Ball inventa un nuovo brit-pop alternativo che nel 1998 si aggiudica il Mercury Prize per il miglior album sperimentale. Nasce cosi il mito dei Gomez che, uno sguardo al jazz e al trasporto musicale d’Oltre-Oceano, mette giù 54 minuti di psichedelia pura (e strappi) nel disco sapientemente illustrato da Reggie Pedro. Quello creato dai Gomez è un equilibrio brillante tra gioventù bruciata e semplicità che commuove e fa sorridere anche a distanza di anni. Soprattutto quando parte il fruscio vinilico che anticipa le note funky di “78 Stone Wobble” (“I was always told that you had to have the balls to break down; Now I’m older, I’m not too sure”) che sfumano in quelle gentili di “Tijuana Lady” (“I’m gonna find my way back to San Diego / Baby, where’d you hide?”) prima che si alzi il vento di “Here Comes the Breeze” (“Come on blow me up”). Questo disco è per voi,… ma non toglietemi il piacere di ascoltare (da solo!) gli oltre 8 minuti di “Rie’s Wagon”: un comeback sporco di tutto quel brit-pop (di cui sopra) che abbiamo tanto criticato.
Andrea Biagioni – “Alba Piena”
Zucchero – “E’ Un Peccato Morir”
Sabato 29 Dicembre h.21:30 – speciale “Io & Lucio: Dalla-Morandi, solo 30 anni fa”
Tom Petty – “Wildflowers” (Warner Music, 1994).
Tom Petty (1950-2017) lascia un grande vuoto dietro di sé: il racconto spassionato di una vita sempre tirata al massimo, giacca corta e frange come la tradizione folk/country vuole da sempre, con canzoni calde, intense, appassionate e allo stesso tempo senza pretese, come quelle di questo piccolo grande capolavoro testamentario prodotto da Rick Rubin e Mike Campbell. Canzoni in fiore, fiori selvatici e succulenti; un raccolto campestre dettato dal grande amore del compositore anni 80-90 per “la vita giovane” degli Heartbreakers e dei Mudcrutch, di cui è stato il fondatore e il libero pensatore. L’arpeggiare alla chitarra è un mestiere facile per il cantautore statunitense che in questo album si fa accompagnare dalla Yard Dog Orchestra Ensamble per le parti “più complicate” al pianoforte e agli archi. “You don’t know how it feels“, “You wreck me“, “Honey Bee“, “Cabin down below” (in posizione strategica) sono i pezzi più rock’n’roll dell’album; “To find a friend“, “House in the woods” i pezzi in stile Simon & Garfunkel e forse, quelli meno riusciti: basta conoscere un po’ di inglese elementare, avere arguzia per l’ascolto complessivo (di un album che forse non merita una semplice recensione) per esplorare i territori della lontana frontiera west americana. “Wake Up Time” amici!, è tempo di risveglio finale: gli anni 90 sono anni di tribolazione, di grunge culture e vesti sdrucite: i versi declamati da Tom Petty nel brano conclusivo di questi 62 minuti di vision e “division”, ammoniscono dalla trance di sogni quotidiani che si sono fatti, ormai, abitudine. Ed è subito poesia.