“Andare” e “Amor Puro”: si apre con un parlato in italiano il viaggio nelle viscere più profonde del disco del compositore texano Alejandro Escovedo composto da 17 tracce e prodotto da Brian Deck (famoso per Modest Mouse, Gomez, Iron & Wine): un albero genealogico di musica immarcescibile, romanticismo e tragicità… che ha le proprie radici nella riflessività tipica degli italiani. Da una parte il segreto mutismo di “Silver City” e “Something Blue”; dall’altra il rock tex-mex in “Rio Navidad”, “la voce scarnificata in “Waiting For Me” di Peter Perrett (The Only Ones) e la ballatona che si fa epopea nella conclusiva titletrack “The Crossing”. Se il folk dovesse sembrarvi troppa roba, e la strada difficile da prendere, 50enni o figli di immigrati giù di lì, sappiate che la parola è fatta di improvvisi arresti, riverberi… e poi ripartenze. E che questo è uno dei dischi più maturi dell’anno che ci ha appena lasciato.
Mese: gennaio 2019
Un Quarto/ Live Session
Kelela – “Take Me Apart” (Warp Records, 2017).
“Take Me Apart” è il disco di debutto di Kelela, pubblicato da Warp Records lo scorso 6 ottobre e prodotto da Jam City, Bok Bok, Kingdom e Arca tra gli altri. Debutto solo sulla carta perché l’artista è già conosciutissima agli appassionati di elettronica dai tempi di Enemy, pezzo incredibile prodotto da Nguzunguzu che bucava per l’attitudine new trap e i vocal di cristallo. “Take Me Apart“ è un album che complessivamente scorre via senza lasciare un’impronta memorabile. Emotivamente maturo, corporeo e sensuale – anche se non vuole strafare, suona come un disco ancorato a un futurismo che sembra già vecchio.
Beatrice Antolini – “Iamthepilot”
Federico Mecozzi – “Awakening” (Warner Music, 2019).
Il 2019 tarda a farsi sentire: le novità in fatto di produzione interessanti (per giunta italiane) si contano sulle dita di una mano. Federico Mecozzi, per anni polistrumentista alla corte del più grande autore di musica classic-pop italiana Ludovico Einaudi, si autoproduce per la prima volta in un disco completamente indipendente dove a “parlare”… ops cantare, ci pensa il suo violino. Il “risveglio” è uno stato di passaggio: una transizione e una evoluzione. Pop, etnica, gipsy o elettronica poco importa. I suoi brani sono storie, ritmi incalzanti. Il disco, prodotto da Cristian Bonato, è un viaggio sonoro che racchiude e sintetizza le esperienze, i gusti e le contaminazioni sperimentate dell’autore in diversi anni di attività musicale, collaborazioni e viaggi. E a Sanremo lo vedremo, tra i più giovani direttori d’orchestra.
Joe Jackson – “Fool” (EarMusic, 2019).
Backstreet Boys – “DNA” (Sony Music, 2019).
Cosmo – “Cosmotronic” (42 Records, 2018).
KEN Mode – “Loved” (Season Of Mist, 2018).
KEN mode unleash the caustic ‘Loved’. The new album sees the Juno-winning power-trio (in the most literal sense of the term) return to their noise-rock roots in the most thunderous of ways. KEN (Kill Everyone Now) Mode, led by the brothers Matthewson (guitarist/vocalist Jesse & drummer Shane), deploy waves of unnerving atonal riffage, churning bass propulsion, pummeling drums and vocals that positively drip with venom. Like some of the genre’s finest albums, everything about ‘Loved’ is on overdrive, and delivered with a morose cynicism to ensure uneasy listening. For two decades, crafting forward-thinking heavy rock has been KEN mode’s raison d’etre, and ‘Loved’ is yet another outstanding addition to their vital catalog.
The Paper Kites – “States” (Nettwerk Music Group, 2013).
Viaggio alla scoperta dell’emisfero boreale e dell’inversione degli inverni: siamo a sud del mondo e qua non c’è ghiaccio sui vetri, pioggia o temperature da gelare. Soltanto cani e gatti che attraversano comunque tangenziali zeppe di traffico, luci soffuse, imbottigliamento da stress conurbano e cinismo a volontà. Si cammina per tratti, con difficoltà: il mob è lento, artefatto, pittoresco. I più fortunati sono sulle montagne rosse degli Uluru a guardar cambiare i colori delle nove inesplose. Carichi di meraviglia e di curiosità si va alla scoperta dell’album di debutto dei The Paper Kites, una giovane formazione indie composta da Sam Bentley, Christina Lacy, Dave Powys, Josh Bentley e Sam Rasmussen. Fanno art-rock, folk e tanto tanto local color: strumenti a corda, armoniche, pipean flowers e gaelicismi vari, sono alla base di una irish dance tutta colorata e struggente – inedita forse anche a loro. I The Paper Kites vengono da Melbourne e sembrano tanti piccoli Mumford & Sons alle prese con la scoperta dell’umano essere e della fragilità degli stati del vivere, diversi. Sogno e malinconia la fanno da padrone, anche nella più gettonata “Young”.