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Epistole all’amata

                                                                                                                                                                                 Ducato di Napoli
                                                                                                                                                                                 A.D. X.III.MMXX

Mia diletta oltre frontiera, ti scrivo questa lettera poiché terribili ombre incombono sui nostri cuori in queste dannate ore. La nostra Illustrissima Signoria ha proclamato il suo editto, il mortifero morbo che da Oriente, sulla via della seta, si è insinuato nei nostri regni sta mettendo a dura prova i villaggi del nord e sta insediando le campagne del sud. Alcuni sono sgomenti e combattono il terrore di queste ore battendosi il petto e affidando l’anima al Padre Celeste, altri, incauti e sciagurati, per lo più progenie novella, girano pei borghi inebriandosi di vino e perdendosi nella lussuria e nel vizio. I più saggi e avveduti hanno scelto di confinarsi nelle proprie magioni e lì di attendere il passare di queste funeste ore dedicandosi alla lettura di antichi volumi o meditando a fondo. In queste ore disperate e di solitudine solo tu mia diletta mi sovvieni nel pensiero e ricordo quando io e te si andava per gli antichi borghi inebriandoci dei nostri baci e del nostro amore giammai perduto o dimentico. Ora quei baci sono svaniti e resta lo sbiadito ricordo delle tue labbra rosse come bacche di agrifoglio. Un invisibile muro separa le nostre contee nelle quali tutti sembrano subire anche l’altro morbo, quello della pazzia. E’ notizia recente che nottetempo alcuni villici del luogo muniti di torce hanno assaltato le botteghe della zona per depredarle dei generi alimentari. La paura della carestia, oltre che della presente pestilenza, si fa strada nelle loro piccole menti avvizzite e così sottraggono pane, farina, frutti e bestiame da macellare nelle loro capanne. Sono omuncoli che non sono consci del periglio che corrono spostandosi in spregio dell’editto proclamato e li vedi vagare come in preda alla confusione, dimentichi di se stessi, chiedere se botteghe sono aperte, se possono vagare di podere in podere, se possono spostarsi di contea in contea o se possono recarsi presso i luoghi in cui si amministra giustizia e altri mestieri. Scimmie, selvaggi, perdiana! Colpa di queste genti se il morbo si diffonde senza sosta e impegna dottori e stregoni fino allo stremo delle loro forze. Ma noi, mia dilettissima, dobbiamo affrancarci da questa bassa e stolta umanità, dobbiamo coltivare il nostro spirito più che mai. Non potremo vederci chissà per quanto ancora ma potremo nutrire il nostro sentimento attraverso le epistole, confortarci, tenderci una mano e confidarci in queste lunghe giornate avvolte nella nebbia. Non più intime passeggiate pei boschi e per botteghe, ma i libri saranno i nostri generi di conforto; cammineremo attraverso la Sennaja dandoci il braccio, giaceremo al caldo del camino in una rustica magione di Hemso, godremo dello spettacolo dei tetti di Parigi che si estendono dinanzi a noi a perdita d’occhio o passeggeremo sotto il fresco fogliame di un selvatico bosco sotto i raggi caldi di un bel sole primaverile, inebriati dai profumi dei fiori e ascoltando la musica delle api sciamanti.
Ci coccoleremo nel caldo abbraccio delle sinfonie che innalzeranno il nostro spirito e ci conforteranno nei momenti più disperati. Vivremo dei frutti dolci della nostra fantasia stimolata dall’arte, giacchè in questi tempi funesti l’unica cosa che possiamo fare è cercare la bellezza in ogni sua forma per non cadere negli oscuri abissi della disperazione; la bellezza fortificherà il nostro fisico e il nostro spirito, sarà l’ambrosia di cui ci nutriremo nel tempo a venire. Dobbiamo farci tanto coraggio mia amata e attendere che questo periodo di incertezze e di timori cessi per riportarci ad una nuova rinascita. Pensa quando tutto questo sarà passato e sarà solo un lontano e cupo ricordo, che immensa gioia. Saremo come affamati dinanzi ad una tavola imbandita, pensiamo a quel momento e priviamoci oggi per mangiare con più voluttà domani.
Potremo riabbracciarci ancora, scambiarci le più dolci effusioni amorose senza timore di morbi; le genti usciranno di casa con il cuore sollevato e non gravido di tenebra, sorrideranno, si recheranno ai loro affari con più spirito e tenacia di prima. Le locande si riempiranno e scorrerà vino in quantità e gli avventori si ubriacheranno felici e canteranno stornelli e melodie. Ci sarà fratellanza tra le genti, nuove amicizie nasceranno e quelle vecchie si consolideranno; le famiglie si riuniranno sotto lo stesso tetto e trionferà ovunque l’amore. Ah mia amatissima, immagino già le grandi feste che si celebreranno quando tutto sarà finito e la paura sarà svanita. Quelli che avranno scampato la pestilenza saranno grati di essere vivi e si sentiranno fortunati e innalzeranno lodi al cielo e non danneranno la propria esistenza o quella dei lor’ congiunti.
Dobbiamo riempire il cuore di queste visioni dolci e tener viva dentro di noi la fiammella flebile della speranza e pazientare ancora. Siamo messi alla prova in una epoca oscura di decadimento morale. Ora è il tempo del sacrificio ma ritorneremo a brillare e a ricostruire sulle macerie di un passato oramai vecchio, consunto e superato. Saremo l’alba di una nuova epoca.
Ti bacio le mani con ardore mia amata.
Tuo servo fedelissimo.

Station

Il treno

“Treno in transito, allontanarsi dalla linea gialla”, il vento inizia ad soffiare e comincia a sentirsi il ruggito metallico delle carrozze che stanno per sopraggiungere. Ascolto quella voce inumana, fredda e robotica che scandisce quell’avviso e prudentemente arretro di qualche passo mentre il treno mi scorre velocemente davanti rallentando la sua corsa e offrendomi lo spettacolo delle sagome sfocate che fanno capolino dalle finestre opache per il sudiciume. Il clangore di una sirena e lo sbuffo delle porte che si aprono vomitando gente che come una colonia di ratti si espande velocemente in ogni direzione. Tra spintoni e pressioni riesco a ritagliarmi un varco e sono dentro; mi manca il respiro per l’afa e il lezzo che albergano in quella scatola di latta troppo stretta e infarcita. Mi guardo intorno, sento il ciarlare misto di mille voci che si accavallano, discorsi spezzettati che si mischiano con altri, un minestrone di argomenti di cui non riesco a seguire il filo logico. Ci rinuncio. Ficco la mano nella tasca destra del cappotto e ne traggo un libriccino, provo a leggere qualche riga, cerco di estraniarmi da quel mondo che mi opprime ma faccio una immane fatica a restare concentrato su quelle righe; il chiasso delle voci e lo stridore metallico delle ruote sui binari mi riportano continuamente alla realtà. Ad ogni stazione si recita sempre lo stesso copione: voce robotica, segnale acustico, sbuffo delle porte e gente vomitata e fagocitata. Poco a poco, mentre il treno prosegue la sua corsa lungo il serpentone metallico che passa da una galleria ad un’altra le persone al suo interno iniziano a diminuire, l’aria si fa più respirabile e fresca, ti scompiglia i capelli, ti colpisce in pieno viso e ti risveglia; il chiacchiericcio si fa più sommesso, gli agglomerati di persone iniziano ad apparire come piccole isolette di un arcipelago più che ad una distesa continentale. Ora riesco a rilassarmi, il mio corpo che prima era rigido ed in tensione ora comincia a sciogliersi; scorgo un posto lasciato vuoto, mi avvicino, mi seggo e riprendo in mano il mio libriccino fiducioso di riuscire finalmente ad immergermi nella lettura, abbozzo un mezzo sorriso di vittorioso compiacimento. Non faccio in tempo a posare lo sguardo sulla pagina che i miei occhi vengono distratti da altro. Dinanzi a me siede una ragazza, anch’essa con un libro poggiato sulle gambe strette e con una espressione sognante di beatitudine. Sembra non essere lì, sicuramente con lo spirito è altrove, vaga libera e leggera tra le pagine del suo libro giocando con le parole, rincorrendo costrutti e descrizioni fiabesche. E’ un raggio di luce che squarcia la tetra quotidianità, è bellezza nella sua accezione più pura e semplice ed è proprio la sua semplicità in un mondo così complicato che la rende così bella. Continuo ad osservarla mentre lei è tutta presa dalla lettura. Ha dei capelli color miele raccolti in una lunga treccia poggiata sulla spalla, un basco rosso che le pende sul lato sinistro, lo sguardo basso e curioso che sembra diffondere luce sotto le lunghe ciglia brune. Le sue labbra carnose e rosa si muovono di tanto in tanto come se bisbigliassero qualcosa di segreto che solo noi due possiamo intendere, sorridono a tratti per poi ritornare serie. Le sue mani sono poggiate delicatamente sulle pagine del libro, mani con dita affusolate dalle unghie rosee e lucide che sembrano accarezzare amorevolmente quello scrigno di parole. Sono completamente rapito da quella figura tanto da rimanere lì a fissarla, imbambolato e con il mio libro aperto ma orfano del suo lettore. Sembra essere sparita ogni persona in quel treno, sembra regnare il completo silenzio, non esiste più il tempo né lo spazio e fluttuiamo morbidamente come in una navicella spaziale. Non esiste che lei, il pallido astro venuto ad illuminare questa che era una sera come tante nella mia vita da triste pendolare.
Ad un tratto, come se avesse sentito il mio richiamo telepatico o come se avesse letto semplicemente i miei pensieri, distoglie lo sguardo dalle pagine bianche e lancia una occhiata nella mia direzione, proprio davanti a sé. Quella frazione di secondo sembra durare una eternità, mi sembra di vedere al rallentatore i suoi occhi che puntano verso di me e le sue ciglia che si distendono come le piume della coda di un pavone. Colgo la scintilla di luce nei suoi occhi verdi, per un breve attimo i suoi occhi si tuffano nei miei e gli sguardi si mescolano; accenna un sorriso di cortesia, quasi imbarazzato, come se tra i tanti avventori di quella carrozza avesse riconosciuto in me un’anima affine. La sua bellezza mi mette in soggezione e restituisco il sorriso senza emettere una sillaba; cosa potrei dirle, ogni frase sarebbe banale e rischierebbe di rompere quell’incantesimo. Il treno prosegue la sua veloce corsa, troppo veloce per me, perché non rallenta e mi lascia assaporare con delizia e beatitudine questi momenti? La mia musa ripone il libro in una piccola borsa di tessuto nero, con le mani si risistema la gonna sulle ginocchia e si alza in piedi. Capisco subito che sta per accadere, la prossima fermata è vicina e tra poco tutto sarà finito e ripiomberò nella grigia realtà di ogni sera. Vorrei alzarmi di scatto e prenderla per la mano, vorrei invitarla a restare ancora un po’ e poi ancora un altro po’, anche senza parlare, solo stare così come in questi minuti di viaggio trascorsi. Vorrei dirle tutto d’un fiato quello che ho pensato fino ad ora guardandola, le riverserei addosso un mare di chiacchiere, le chiederei un recapito o se prende spesso questo treno o se le andrebbe di bere un caffè un giorno di questi, tutto pur di non perdere una tale rarità.
Voce robotica, segnale acustico, sbuffo delle porte e lei che si incammina verso l’uscita. Per un secondo si volta verso la mia direzione e mi sorride ancora, come se avesse di nuovo letto tutti i miei pensieri, come se con quell’espressione mi dicesse “so cosa pensi, ho capito tutto”, come se mi dicesse addio. Sorrido amaramente per la seconda volta, poi le porte si chiudono, ritorno nel grigiore della mia carrozza, seguo la sua sagoma sfocata dal vetro lercio e opaco che si allontana per sparire dalla mia vista per sempre. Avrei potuto dire, avrei potuto fare, ma forse è stato giusto così. Come una cometa è apparsa nel firmamento della mia vita e come una cometa è andata via in un attimo lasciando una lieve scia luminosa che si dissolve nel cielo ed è subito di nuovo oscurità. Si può amare anche solo il tempo di un battito di ciglia.

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Sui Valori assoluti e la loro fallace applicazione empirica.

Nella vita di tutti i giorni spesso usiamo con facilità dei termini diventati di uso comune che proprio per il fatto di essere diventati tali si sono svuotati un po’ del loro intrinseco valore; tanto che oramai non ci chiediamo più cosa significano in concreto.
Mi spiego meglio. Quante volte sentiamo dire: “Io amo Tizio (o un’altra determinata cosa o persona)” oppure “non trovo giusto che…” o ancora “non è giusto”. Queste preposizioni implicano alcuni concetti fondamentali come l’AMORE e la GIUSTIZIA, due tra i più grandi valori della vita. Ma in sé, cosa sono Amore e Giustizia? che significato e che valore hanno?

Passiamo una vita a dire di amare qualcuno o qualcosa e passiamo la stessa vita a cambiare idea a riguardo, questo dovrebbe portarci a pensare che l’Amore lo interpretiamo come un qualcosa di soggettivo, mutevole nel tempo e nello spazio. Anche per ciò che concerne la Giustizia, la frase “non trovo giusto”, che spesso viene pronunciata, implica che qualcosa non appare “giusto” PER NOI, ciò implica a sua volta che abbiamo un concetto di Giustizia molto soggettivo, capace di mutar forma nel tempo e nello spazio. Anche se consideriamo l’idea di Giustizia “istituzionale”, questa non è mai assoluta, ma cambia nel tempo, al mutare della società e cambia nello spazio. Ciò che era considerato “giusto” dall’apparato statale nel 1800 non è considerato parimenti “giusto” nel 2020 e ciò che nel 2020 è considerato “giusto” in Italia, può non essere considerato tale in Indonesia.

Tali grandi valori menzionati sono poi veicolati da noi esseri umani che in quanto tali non abbiamo il dono della perfezione, pertanto, questi concetti metafisici e “ideali” si incarnano nella forma fisica umana e si traducono in realtà empirica, in esperienza.
Ma questo passaggio dal mondo delle idee al mondo fisico e concreto non è poco traumatizzante. Questo parto ha un suo travaglio e genera il suo figlio imperfetto. Diventando carne il concetto perde la sua purezza e diviene imperfetto come l’uomo.
L’Amore in sé è un concetto metafisico perfetto, il vero Amore può appartenere solo a qualcosa di assoluto e perfetto. Non a caso la teologia attribuisce questo valore a Dio (1^ lettera di Giovanni cap. 4), questi è l’unico essere perfetto in grado di provare il concetto puro e perfetto di Amore. Ma se “Dio è Amore”, l’uomo come può, nella sua imperfezione, essere Amore? “Aut – Aut”; o l’uomo è Dio o l’uomo non può sperimentare il concetto puro di Amore. Escludendo che l’uomo sia Dio (se consideriamo Dio come un parametro di perfezione, al di là della fede e del concetto religioso di divinità), dobbiamo giungere alla conclusione che l’uomo non prova Amore ma è un mero interprete di un concetto assoluto di cui non potrà mai essere portatore. Parimenti il discorso può farsi riguardo la Giustizia. Se questa è un valore assoluto che può appartenere solo ad un essere perfetto, ed anche qui la teologia lo attribuisce a Dio quale simbolo della “perfetta giustizia” (Giobbe, 37:23), noi non siamo che meri e fallaci interpreti che non possono conoscere la vera Giustizia, ma solo una sua soggettiva e parziale teorizzazione e applicazione.
Per queste ragioni l’uomo non può sperare in una esperienza totalizzante che gli sarà sempre preclusa malgrado i suoi vani sforzi. I valori assoluti non ci potranno mai appartenere e le uniche armi da affinare per combattere questo dissidio e questa nebbia che ci avvolge sono la consapevolezza e l’accettazione.

Red Christmas Ornaments on Wood Background and defocused lights. Spruce Tree branch on the left and right.

Non vi fidanzate…quantomeno non a Natale!

Dicembre, il mese più magico dell’anno e come dice la celebre melodia natalizia, eccoci catapultati nel “most wonderful time of the year”. Il freddo diviene più pungente, l’aria inizia a profumare di cannella ed essenza di pino e tutto intorno è un tripudio di lucine colorate, folla e buoni sentimenti a buon mercato. Le famiglie si riuniscono, il vario “parentame” finge di volersi un gran bene almeno una volta l’anno che sono tenuti a sopportarsi, i più piccoli attendono trepidanti i doni mentre i più grandi si dividono tra quelli che escono allegri indossando un copricapo di babbo natale e quelli che invece vorrebbero sbronzarsi soli sotto l’abete natalizio per poi utilizzare quei fili luminescenti per farne una corda e porre fine alle proprie sofferenze.
Una cosa è certa, che lo vogliate oppure no, in questo mese più che negli altri il romanticismo sbanca al botteghino. Lo vediamo da sempre commercializzato sotto forma di commedie natalizie. Quelle simpatiche americanate dal lieto fine nelle quali lui incontra lei qualche giorno prima di Natale e in un paio di giorni scoprono che si amano alla follia e staranno insieme per sempre. Voi ovviamente pensate che stiano insieme per sempre perchè di queste commedie non è mai stato girato un sequel…
In ogni caso, come detto, sarà l’aria frizzante, saranno i buoni sentimenti, sarà l’aver visto troppe commedie natalizie o sarà semplicemente il tasso alcolico più alto, si è portati a farsi questo grandissimo regalo di natale…regalarsi un essere umano come partner. Bene, resistete a tutto ciò, lo dico perchè vi sono una serie di ragioni che dovreste esaminare e che vi faranno capire che no, non dovete fidanzarvi a dicembre!

Tanto per iniziare, se vi fidanzate a dicembre il primo problema da affrontare è quello che sarà SEMPRE un problema che si presenterà con cadenza annuale come l’anticipo IRPEF: il REGALO DI NATALE; in questo caso con un handicap in più, state uscendo da poco quindi vi conoscete poco. La classica cosa che si dice in questi casi è: “mi raccomando eh, niente regali di Natale, usciamo da poco”. Bene, tu pensi che una volta che lo hai detto ti sei ripulito la coscienza e stai bene, pensi di aver risolto ma non hai considerato che lei è una donna. Così prima di ingozzarti come un maiale e far salire di colpo e tutti insieme i tuoi valori ematici alle stelle o dopo averlo fatto e con un accenno di coma diabetico e rischio di infarto del miocardio (a seconda dei casi e delle usanze) lei si presenterà dinanzi a te con un bel sorriso e ti dirà quella frase…“lo so che non dovevamo farci regali, ma ho visto questa cosina e ho pensato a te”. Morale della favola, tu apri il suo pacchetto con un imbarazzo tale che non si capisce dove finisce il tuo viso e dove inizia il maglione rosso alla babbo natale (o è l’infarto che sta per sopraggiungere) e ovviamente incappi nella figura di merda di non aver preso nulla per ricambiare…nemmeno qualcosa a caso che non ti ha fatto pensare a lei. Comunque vada, il risultato sarà che uno dei due ha fatto un regalo e l’altro non ha contraccambiato. Sì lo so, state facendo i fighi ora e pensate che entrambi potrebbero farsi un regalo. Bene, fate poco i fighi perchè se vi conoscete poco magari correte il rischio di farvi regali pessimi e quindi sarete tenuti anche a fingere stupore e felicità: “era proprio quello che volevo”.
Seconda difficoltà: “cosa facciamo a Natale ci vediamo?” A meno che non siate due orfanelli cresciuti in collegio e scappati dalla guerra, avrete delle famiglie (anche e soprattutto sfasciate) e conseguentemente dei parenti (soprattutto insopportabili). Ecco, in questi casi è difficilissimo non trovarsi immersi nel parentame del tuo/a partner con tutto ciò che ne consegue. C’è lo zio che ti vuole offrire il grappino per forza e tu che cerchi di rifiutare gentilmente perchè ti fa schifo l’alcol, c’è il padre che ti vuole trascinare a tavola ad assaggiare qualcosa e ci possono essere sguardi e domande indiscrete o ancor peggio, i GIOCHI DI NATALE…La situazione non migliora se la porti nel tuo di parentame eh: “Mamma lei è Ermenegilda…è una…una…cioè, una AMICA” e partono gli sguardi sornioni e ammiccanti di chi vorrebbe dirti “ma che cazzo stai a di’, ma quale amica, ma quali amiche hai mai avuto tu?”. Momento imbarazzante parte due…dopo il regalo non corrisposto.

E questa cosa va avanti almeno per tre giorni tra la vigilia e Santo Stefano. Tutto un recarti a casa di qualcuno e gozzovigliare, tra uno struffolo e una fetta di pandoro. Ma vabbè dai, poi passati sti tre giorni è finito tutto, c’è gente che ha fatto i tre giorni al militare o chi, peggio, ha fatto i tre giorni per l’esame di avvocato…Eh no!
Dopo che sei sopravvissuto quei tre giorni arriva la batosta peggiore di tutte: “SENTI MA PER L’ULTIMO DELL’ANNO CHE FAI?”. Tu fino a quel momento avevi fatto grossi piani per l’ultimo dell’anno. Ti vedevi già con il cellulare messo in modalità aerea alle 21.00 e progettavi la tua maratona di film notturni stravaccato sul divano con il plaid, mezzo addormentato davanti all’albero illuminato con un filo di bavetta che sgorga dall’angolo della bocca. Tutto in fumo, ora non sei solo, ora sei TENUTO a fare qualcosa per l’ultimo dell’anno. Così cerchi di smarcarti fino alla fine, ti inventi qualche scusa, arrivi perfino a dire che in realtà sei ebreo e che quindi il capodanno lo festeggi a settembre…tutto inutile.
Dovrai scendere di casa nel freddo della prima notte del nuovo anno, dovrai scansare mortaretti e bengala manco guidassi la tua utilitaria lungo la striscia di Gaza per andare a finire in uno squallido locale o peggio…a casa di qualche comitiva di amici…SUOI…che non conosci…con una voglia di far festa pari a quella di Cristo nel Getsemani.
Poi il mattino seguente è il 1 gennaio, il giorno peggiore dell’anno e in genere piove, il cielo è plumbeo, hai dormito poco e di merda e già tanto basta per passare al prossimo punto.

Quando pensi che tutto è passato e francamente è stato un periodo faticoso ed estenuante, arriva l’epifania “che le feste si porta via” per gettarti in quel deserto dei Tartari che sono i mesi di gennaio, febbraio e marzo, mesi che non si è ancora capito a che cazzo servono, sono dei filler per il calendario. Ecco, altro giro altra corsa, per la befana non vuoi farle un pensiero? magari per compensare la tua figura di merda natalizia? Qui o le fai un regalo, ma si pone il problema atavico di dicembre che non sai che cazzo farle o ti butti sul classico con dei cioccolatini e dolciumi, sperando di ingarrare quelli giusti e che non sia a dieta ecc. ecc.
Ecco, dopo il sei gennaio è veramente finita, ora c’è da capire se hai ancora la forza e la voglia di proseguire nel rapporto. Se hai superato tutto ciò senza subire scalfitture di sorta, allora sei pronto per lei, in caso contrario fatti due domande.

Il mio consiglio resta uno: “ci tengo tanto a te ma…RIPARLIAMONE DOPO LE FESTE.”

Station

Pensieri…ESPRESSI: storie di treni e stazioni.

Vi siete mai trovati a passeggiare all’interno di una stazione ferroviaria e pensare che non vi è luogo più sentimentale e traboccante di umanità di quello? una specie di tempio spirituale laico dove si suggellano promesse e si confidano sentimenti a cuore aperto, un melting pot di energie e sensazioni che si fondono insieme e generano una atmosfera così densa che ti ci senti invischiato ad attraversarla.

Le stazioni ferroviarie sono un mondo a parte, microcosmi multietnici, nuclei brulicanti di vita con i loro riti e ritmi scanditi dagli orari luminosi sui tabelloni a led. Luogo in cui mille lingue si confondono tra loro in musiche dai molteplici accenti, i profumi locali si fondono con gli afrori etnici e le sfumature del colore della pelle abbracciano le più svariate tonalità dall’eburneo al bruno. Tutti sono impegnati e assorti nella loro febbrile attesa; c’è chi freme eccitato per il viaggio che sta per intraprendere e che lo porterà a scoprire posti nuovi, chi con soddisfazione e un pizzico di malinconia si appresta a ritornare al suo paese dopo aver fatto incetta di nuove esperienze in una terra prima sconosciuta, chi attende con impazienza di ricongiungersi ad un proprio caro o ad un amore che lo attende alla fine di quel lungo binario che separa i due cuori. Il tumulto degli animi che si agitano senza sosta tra un annuncio rimbombante e una scritta luminosa che balena veloce su uno schermo.

C’è chi siede a terra sfatto e circondato da bagagli come un naufrago, chi sonnecchia placidamente su uno zaino, chi approfitta dell’attesa per permettersi un fugace spuntino mentre prosegue il balletto dei led luminosi che alternano nomi di città, orari e numeri che si offrono come uno spettacolo pirotecnico agli occhi  contemplanti ed attenti degli astanti rivolti con il naso all’insù. Qualcuno si affretta a passo rapido con l’espressione smarrita, qualcun altro inganna il tempo procedendo lentamente e perdendosi in chiacchiere; dal bambino tenuto per mano, scosso e ridestato dal genitore che lo distoglie dai suoi stupori puerili, all’anziano che procede fiacco trascinando il peso dei suoi anni.

Passeggiare in stazione ed essere abbracciati da questo tumulto di energie è sempre una rinfrancante sensazione. Si rivivono le emozioni di vacanze trascorse, di viaggi intrapresi con entusiasmo di esperienze fatte e di zaini zeppi di ricordi. Per quei pochi minuti che consentono l’attraversamento della stazione fino all’uscita ti senti parte di un popolo senza patria, il popolo dei viaggiatori.