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Il cristianesimo anticristiano di Fedor

Dostoevskij è da sempre considerato un acuto osservatore e un grande indagatore della complessità dell’ animo umano. Con un approccio analitico in ogni romanzo ha sempre messo al centro della sua indagine l’Uomo, con i suoi vizi, le sue virtù, le proprie psicosi e i propri drammi interiori. L’aspetto spirituale non poteva essere certo tralasciato, ciò che muove l’animo umano, il grande mistero e il grande problema irrisolto della fede che ha ispirato la creazione di alcuni personaggi che sono gli alter-ego dello stesso Dostoevskij, spesso consunti dal dubbio e pieni di interrogativi inevasi, divisi tra profondo scetticismo e fede in Cristo.

Ciò che emerge a più riprese è la critica fatta nei confronti del cristianesimo “occidentale”, una critica che potremmo definire attualissima sulla crisi dei valori che ha sempre interessato la Chiesa e che ha portato ad una graduale “impopolarità” della religione specie nelle più recenti generazioni. Una delle più feroci critiche viene mossa in un monologo che Dostoevskij fa pronunciare al Principe Myskin dinanzi al consesso dell’alta borghesia e nobiltà russa che assiste con sommo stupore e malcelato sdegno alle parole dell’ idiota:

«Come sarebbe a dire che il cattolicesimo è una fede non cristiana?» Ivan Petroviè si girò dalla sua posizione, «e allora cos’è?» «Per prima cosa è una fede non cristiana!» rispose il principe in preda a forte agitazione e con un’asprezza fuori luogo, «questo per prima cosa, per seconda cosa, il cattolicesimo romano è peggio dell’ateismo stesso! Questa è la mia opinione! Sì! La mia opinione! L’ateismo predica il nulla, mentre il cattolicesimo va oltre: predica un Cristo travisato, un Cristo calunniato e oltraggiato, un Cristo contrario alla verità! Predica l’anticristo, ve lo giuro, ve lo garantisco! È una mia convinzione personale da lungo tempo, mi ha tormentato molto… Il cattolicesimo di Roma crede che senza il potere statale universale la Chiesa non possa stare al mondo, e grida: Non possumus! Secondo me il cattolicesimo non si può neanche considerare una fede, ma la perpetuazione dell’Impero Romano d’Occidente, e in esso tutto è subordinato a questa idea, a partire dalla fede. Il papa ha conquistato la terra, un trono terrestre e ha imbracciato la spada, e da allora tutto procede così, solo che alla spada hanno aggiunto la menzogna, la scaltrezza, l’inganno, il fanatismo, la superstizione, la malvagità, hanno giocato con i più sacri, giusti, semplici e ardenti sentimenti del popolo, hanno barattato tutto per denaro, per il meschino potere terreno. E questa non è la dottrina dell’anticristo?! Come avrebbe potuto da essa non derivare l’ateismo? L’ateismo deriva dai cattolici, dallo stesso cattolicesimo romano! L’ateismo ha preso le mosse da loro prima di tutto: potevano credere loro stessi in quello che facevano? Esso si consolidò in seguito al rigetto che provocarono, esso è il frutto della loro menzogna e della loro fiacchezza spirituale! L’ateismo! Da noi è diffuso solo negli strati privilegiati, come ha detto magistralmente Evgenij Pavloviè qualche giorno fa, negli strati cioè che hanno perduto le loro radici. Mentre in Europa miriadi di appartenenti al popolo incominciano a non credere. Prima il fenomeno era dovuto all’ignoranza e alla menzogna, mentre ora è determinato dal fanatismo, dall’odio verso la chiesa e la cristianità!» (Dostoevskij: “L’Idiota”)

Il Principe Myskin dinanzi ai vari consociati parla di un “Cristo travisato”, parla altresì di un potere temporale, terreno, conquistato con la spada (la “spada di Cesare”), di una Chiesa corrotta e votata più al materialismo che alla cura delle anime. Leggendo questo brano non possiamo che ricollegarci ad un altro fondamentale passo estratto dall’ultima delle sue monumentali opere: “I Fratelli Karamazov”, dove il Grande Inquisitore, un uomo che in quel momento rappresenta la Chiesa, pare riprendere le argomentazioni del Principe per affermarle con vigore e “violenza”, proponendosi di mettere a rogo il Cristo e tutto ciò che egli porta con se, in primis la libertà piena, per votarsi totalmente a lui, all’Anticristo, perpetrando il grande inganno della Chiesa Romana. Questo è l’unico modo per liberare gli uomini dal “peso” della libertà che gli fu donata con il sommo sacrificio e per soggiogarli in quanto non ritenuti capaci di gestire un tale dono. Il cristianesimo diventa in questi termini il guinzaglio con il quale la Chiesa tiene a bada il suo popolo.

«Abbiamo corretto l’opera Tua e l’abbiamo fondata sul miracolo, sul mistero e sull’autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere nuovamente condotti come un gregge e di vedersi infine tolto dal cuore un dono così terribile, che aveva loro procurato tanti tormenti. Avevamo noi ragione d’insegnare e di agire così? Parla! Forse che non amavamo l’umanità, riconoscendone così umilmente l’impotenza, alleggerendo con amore il suo fardello e concedendo alla sua debole natura magari anche di peccare, ma però col nostro consenso? […] E dovrei io nasconderti il nostro segreto? Forse Tu vuoi proprio udirlo dalle mie labbra, ascolta dunque: noi non siamo con Te, ma con lui, ecco il nostro segreto! Da lungo tempo non siamo più con Te, ma con lui, sono ormai otto secoli. Sono esattamente otto secoli che accettammo da lui ciò che Tu avevi rifiutato con sdegno, quell’ultimo dono ch’egli Ti offriva, mostrandoti tutti i regni della terra: noi accettammo da lui Roma e la spada di Cesare e ci proclamammo re della terra, gli unici re, sebbene non abbiamo ancora avuto il tempo di compiere interamente l’opera nostra. Ma di chi la colpa? Oh, quest’opera è finora soltanto agli inizi, ma è cominciata! Ancora a lungo si dovrà attenderne il compimento e molto ancora soffrirà la terra, ma noi raggiungeremo la mèta, saremo Cesari, e allora penseremo all’universale felicità degli uomini. Tu però già allora avresti potuto accettare la spada di Cesare. Perché ricusasti quest’ultimo dono? Accogliendo questo terzo consiglio dello spirito possente, Tu avresti compiuto tutto ciò che l’uomo cerca sulla terra, e cioè: a chi inchinarsi, a chi affidare la propria coscienza e in qual modo, infine, unirsi tutti in un formicaio indiscutibilmente comune e concorde, giacché il bisogno di unione universale è il terzo e l’ultimo tormento degli uomini.» (Dostoevskij: “I Fratelli Karamazov”)

Una corrispondenza, un interessante ed ideale dialogo intervenuto tra due personaggi di due romanzi diversi a oltre 10 anni l’uno dall’altro.