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Un sabato pomeriggio come tanti.Di quelli dedicati allo shopping (che poi magari non compri nulla), e alle chiacchiere tra amiche.
Il centro era pieno di gente.
Qualche coppia mano nella mano, famiglie con passeggini e bambini capricciosi, gruppi di amici.
Quel giorno eravamo solo io e Ilenia. Lei parlava del nuovo arrivato in ufficio.
“È carino sai? Ma è troppo impostato.”
“Forse è timido e sta cercando di ambientarsi. Perché non lo inviti fuori per un aperitivo? Magari lo aiuti spiegandogli le dinamiche dell’azienda.”
Ilenia mi aveva guardato stranita.
“Sei seria?”
“Certo. Pensaci. D’altronde tu non ti sei mai fatta problemi con nessuno. Lui non dovrebbe far eccezione”.
Lei rise poi mi trascinò dentro ad un caffè.
C’era poca gente all’interno e ci sedemmo al tavolo all’angolo.
Scrutai la sala per vedere se ci fosse qualcuno di nostra conoscenza, quando la mia attenzione fu calamitata da un uomo seduto insieme ad una donna poco vestita, molto truccata e che parlava di continuo.
Di primo impatto mi inquietò. Era tutto tatuato, compreso la faccia.
Lui sembrò accorgersi del mio sguardo e si girò verso la mia direzione.
Io feci finta di guardare altrove. Ma sentivo i suoi occhi fissi su di me.
Anche Ilenia se ne accorse.
“Quel tipo ti sta fissando.”
“Lo so. Me ne sono accorta.”
Ordinammo i caffè e chiacchierammo, ma lo sguardo di lui era sempre fisso su di me.  Stava iniziando ad essere imbarazzante.
Quando ad un tratto la donna che era con lui si alzò e si diresse verso la toilette.
Lui si protese sulla sedia per un attimo, poi si alzò e si diresse verso la cassa.
E si girò nella nostra direzione. Fu in quel preciso momento che decisi di sostenere il suo sguardo. Se era un gioco, era meglio giocare in due.
Lui parve capire il mio pensiero, fece un mezzo sorriso e scosse la testa.
Ma durò poco perché torno la sua tipa.
“Fine dei giochi” sussurrò Ilenia.
“Io direi di fare ancora qualche giro per negozi e poi tornare a casa. Che dici?”
“Concordo”.
E ci alzammo per andare a pagare, mentre i 2 uscivano dal locale.
La mano di lui sulla schiena di lei, la sua testa girata verso di me.
Poi sparirono.
Riprendemmo il nostro giro tra le vie del centro, fermandoci ogni tanto ad osservare le vetrine.
Fu quando ci stavamo dirigendo verso l’auto, che lo scorsi in mezzo alla folla.
Lui si dirigeva verso di me, io verso di lui.
Occhi negli occhi. Ci sfiorammo e girammo la testa per guardarci.
La tizia con lui pareva non essersi accorta di nulla.
Invece io mi accorsi della scossa che mi pervase dalla testa ai piedi.
Ma cercai di non pensarci più. E non fu semplice. Quegli occhi e quello sguardo me li portai per tutta la settimana.
Il sabato successivo tornai in centro da sola.
Stesso percorso. Stesso caffè.
Di lui nemmeno l’ombra. Rimasi delusa. Forse era solo di passaggio.
Entrai in un negozio e guardai distrattamente qualche vestito. Quando uscii me lo trovai di fronte. Era vestito nello stesso modo e aveva lo stesso sguardo. Ma senza la donna appariscente.
Allungò la mano nella mia direzione.
“Piacere Andrea”.
Ricambiai la stretta.
“Elena”.
Sorrise. “Piacere mio. Oggi sola?”
“Eh si.”
Volevo chiedere se lo fosse anche lui, ma mi trattenni. E come se mi avesse letto nel pensiero mi disse “anch’io”.
Poi rimanemmo a guardarci. La gente ci scansava e fluiva attorno a noi. Qualcuno ci guardava senza capire. Sembrava di stare in uno di quei film, in cui tutti si muovevano al rallenty.
Poi il tempo parve fermarsi.
Quando ad un tratto si avvicinò.
“Vorrei baciarti. È da quando ti ho visto che ho voglia di farlo.”
“Fallo” è l’unica cosa che riuscii a dire.
Poi sentii la sua mano dietro la nuca e la sua bocca sulla mia.
E il tempo si fermò di nuovo.

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