“FRATELLO D’ALBA’NIA” QUINTO CAPITOLO…notare l’accento sulla A di Alba’nia

 

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BUONGIORNO! Una foto di un paio di anni fa del porto di Durazzo; non è che sia cambiato molto dal 1998! Proseguiamo nella pubblicazione del racconto con il quinto capitolo. Come al solito, in fondo video inedito degli “Ad Gloriam”  un bel pezzo  nel ricordo di Emerson Lake and Palmer

“affairs of the heart”

                                                                                                                                                                                                                     Buona lettura, buona visione e buon ascolto…                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          Capitolo V

 

16 settembre da… tre ore e quaranta

 

Mi sono avviato da pochi minuti, quando per una impellente necessità (devo fare la pipì) effettuo una sosta. Io la faccio. Come tutti! Sono gli altri che stanno cinquecento pagine senza!… Riprendo la marcia (per il paesaggio, fate voi. Io dico solo che è buio pesto!).

Dopo qualche chilometro, trovo un posto di blocco. Esibisco il mio lasciapassare e vado oltre. E’ dopo una curva, (a destra per la precisione) che lo vedo! Un paio di mezzi militari lo illuminano con i fari. Il <Benz> è in un fosso. (Osman l’aveva detto…). Solo che c’è anche un albero, e la macchina vi si è schiantata contro!

Mi intimano l’alt. Eseguo. Mentre controllano il mio pass, do una sbirciata… il tedesco è riverso sul volante.

“Kaput!” dice uno dei militari, accorgendosi della direzione del mio sguardo.

Sono più sollevato! Enormemente sollevato! Grazie Osman!

Chiedo di chi si tratta.

“Niente documenti. Solo un pass; non sappiamo!” mi viene risposto. (Comunico che le ultime conversazioni, da Vladic in poi, sono avvenute in Inglese!).

 

16 settembre ore 04.20

 

Sono a cinquanta metri dalla casa dove dovrebbe essere Fatmir. Elaboro il piano. Mi sembra buono!…Ma…  il mitra che mi viene puntato alla tempia da qualcuno balzato in macchina, mi fa capire che non servirà!

“Stai calmo! Per favore. “Spero che abbia capito…”

“Chi sei?” la domanda è in Italiano.

“Sono un amico di Gilibert D. Se sei Fatmir, ho bisogno di parlarti.”

Silenzio.

Poi: “ti conosco! Ti ho visto a Golem qualche volta!”

Noto un percettibile rilassamento di qualche muscolo! (Mio!)

“Fatmir” gli dico. “So che ti cercano. Hanno ammazzato la tua donna ieri sera!…”

“Chi è stato?”

“Credo uno straniero. Ha un benz nero.”

Fatmir ha una esitazione. Proseguo.

“Adesso però è in qualche cassa di legno…”

Ancora esitazione.

“Ha avuto un <incidente> a venti chilometri da qui.”

Nuova esitazione.

Realizzo che crede che io c’entri in qualche modo… Mi conviene che lo pensi!

“Non capisco…” fa lui. “Io… divento pazzo!!!”

“Ascoltami!” batto il ferro finché è caldo! (Lo so! Conoscete anche questa!)

“So dello scafo e del capanno. So che qualcuno ti vuole morto! Perché non proviamo a capirci qualcosa?”

Esitazione finale!!! Il mitra si abbassa!

Seduti in casa degli zii di Fatmir, mentre beviamo una tazza di (indovinate un po’?!) lo scafista mi… apre il suo cuore!” (Questa mi piace: la scrivo!).

“In Durazzo” comincia “c’era una organizzazione che prendeva bambini e portava in Italia. Io facevo il trasporto con il mio scafo…”

Lo interrompo.” Allora hai portato anche il figlio di Gilibert?”

“Si! Credo. Anche se io non conosco. L’otto di questo mese, mi dovevo incontrare con uno di questa organizzazione; penso capo, per prendere soldi di ultimo viaggio, in una grotta vicino spiaggia di Golem. Sono andato, ed ho trovato quest’uomo morto! Aveva la gola tagliata.”

“Chi era?” gli chiedo.

“Non so il suo nome. Io ho visto lui solo due volte. Sempre per prendere soldi.”

“Vai avanti” lo invito.

“Sono tornato al mio capanno e non ho parlato con nessuno di questo. Dopo ho cercato un altro uomo; si chiama Saffet Ozani. Lui veniva con scafo per fare guardia di bambini e consegnarli ad altro albanese che aspettava in Italia. Cerco due giorni, ma non trovo. Poi un poliziotto amico, mi dice che hanno identificato il cadavere di uno, ammazzato con pistola in una strada di Durazzo: è Saffet!”

Non dico niente. Capisco che non è finita…

“A questo punto ho paura! Cerco di stare nascosto da mia donna. Penso; vogliono morto anche me! Ancora un giorno ed all’uscita del porto, uccidono albanese arrivato da Italia. Il giorno dopo c’è sua foto su giornale. Riconosco albanese che aspettava bambini e prendeva, una volta passati il mare. Troppa paura! Sicuro! Ammazzano anche me! Lo stesso giorno, salta per aria mio scafo e mio capanno. Con bomba penso. Forse credono che io vengo fuori! Così sono scappato qui in Kossovo!”

Ha finito di raccontare Fatmir! E’ senza fiato, ma mi sembra più sollevato.

Per un pò non parliamo…

E’ chiaro che qualcuno aveva voluto demolire quell’organizzazione. Forse è la vendetta di una <cooperativa> di genitori. Forse la discesa sulla terra <dell’angelo sterminatore> (il tedesco) che fa pagare col sangue i peccati commessi!

Comunque non sono problemi miei!

Il <mio> ha fatto qualche passo avanti!

Arben è stato portato in Italia.

Chiedo a Fatmir il nome dell’albanese ultimo <defunto>; mi risponde di non conoscerlo. Comunque era scritto sul giornale.

“Fatmir!: quanti bambini hai portato in Italia?” gli domando.

Ci mette un po’ “io ho fatto questo lavoro da marzo di quest’anno. Prima era altro scafista. Lui è affondato con carico a novembre di anno scorso. Dunque: in marzo ho portato un bambino; verso la fine di mese. In aprile tre: due femmine ed un maschio. Il mese dopo due: maschi. In giugno ancora tre: due femmine ed un maschio. Ancora, luglio tre: una femmina e due maschi. Uno, penso Arben verso la fine di mese passato.”

Avevo preso nota; ne aveva portato tredici: otto maschi e cinque femmine.

E’ inutile chiedergli se conosceva i nomi dei ragazzi.

La nostra chiacchierata è giunta al termine.

“Ancora una cosa” aggiunge. “La prima e l’ultima era un altro.”

“Come era un altro!”

“L’albanese che aspettava in Italia; non era quello di giornale.”

Dunque, oltre a Fatmir c’era ancora qualcun altro vivo in questa storia. O… no?!!?

Mi faccio dire come rintracciarlo, eventualmente, e lascio Fatmir alle 06.30 in punto e con un dubbio angoscioso: cosa dirà Gilibert, perché non ho rotto almeno una articolazione di Fatmir?

 

“FRATELLO D’ALBA’NIA QUARTO CAPITOLO…notare l’accento sulla A di Alba’nia

BUONGIORNO! Siamo giunti al quarto capitolo di questo mio racconto “giallo-umoristico”; a giudicare dai commenti che mi sono pervenuti da chi mi legge, sembra che questa mia iniziativa sia stata accolta favorevolmente (magari solo perché questo fa si che non stia rompendo i “testicoli” con quello che è il pane quotidiano del blog: virus, guerra e ipocriti a vario titolo…prevalentemente gli pseudo statisti all’opera in Italia ed Europa); Anche oggi, inoltre, proponiamo un video allegato. Un inedito della cover band delle Orme “Ad Gloriam”, che si sono cimentate con i Pink Floyd; Ed a proposito della band, molti concittadini avranno saputo dell’incendio che ha colpito l’abitazione di un componente della band, causando danni notevoli nella stessa sala prove del gruppo annessa: chitarre, amplificatori ed impianto voci sono andati letteralmente distrutti. Per chi vuole, può contribuire per l’acquisto degli “attrezzi del mestiere”, aiutando la band a regalarci concerti live e musica dai vari social a cominciare da youtube; al link del loro sito, Ad Gloriam (ad-gloriam.it) potrete leggere come eventualmente far pervenire il vostro contributo. Vi auguro ancora una buona giornata!

 

 

Capitolo IV

 

Siamo per la seconda volta davanti all’abitazione della donna.

Gilbert bussa. Nessuna risposta. Riprova, stesso risultato!

“Sssst!” è Landi “non vi sembra di sentire qualcosa?”

Ascolto… ha ragione!

Un debole lamento proviene da dietro la porta.

Prova ad aprire: è aperta!

Entro nella stanza, e nella penombra intravedo una sagoma per terra. Gilbert trova l’interruttore e, quel che vediamo, mi fa di nuovo incazzare con me stesso!

La poveretta è immersa in un lago di sangue! Ha il volto tumefatto ed il manico di un coltello che sporge dall’addome!

Mi chino su di lei. Non ne ha per molto! Mi guarda eterea ed io penso che entrerà a far parte dei miei prossimi incubi!

“Fatmir!…” farfuglia. “Fatmir…lo vogliono prendere!!! Quei due! Ho dovuto… dire…”

Sembra andare.

“Fatmir… da zii… Kossovo! In…”

Più niente! E’ morta!

Usciamo e ci allontaniamo in fretta… Non  vorrei perdere tempo con la polizia… o peggio!

“E ora?” è Gilbert: “che facciamo?”

Sto riprendendomi. Per un po’ non rispondo.

“Landi cerca un telefono… ecco la posta! Fermati. Gilbert, chiama Benni e digli di correre a casa dei genitori di Fatmir! Deve farsi dire dove abitano gli zii Kossovari! E poi aspettare al telefono che ci facciamo vivi. Intanto andiamo verso il confine.”

Avevano circa tre ore di vantaggio, ma fidavo sul fatto che avrebbero trovato difficoltà a valicare la frontiera: anche il Kossovo è una polveriera.

Inoltre, il <tedesco>, rimarrà solo. Non credo che il suo compagno possa seguirlo al di là; questione di passaporto… Cazzo!!! Anch’io ho lo stesso problema!

Gilbert pare leggermi dentro.

“Dovrai andare da solo! Noi non possiamo.”

A Skodra, ritelefoniamo a Benni. Ci parlo io.

Lo scafista si trova a Bilica, un paesetto a pochi chilometri da Mitrovica. Mi spiega come individuare la casa dei parenti di Fatmir.

Di Osman nessuna notizia.

A questo punto, vedo di organizzare il mio <futuro remoto>, che passa attraverso una telefonata a Belgrado, a Markovich , <Marko> per il sottoscritto; ha un nome assolutamente impronunziabile ed ho trovato più comodo <tagliare> il cognome.

Marko è stato mio compagno di squadra (ho fatto del calcio… ero quasi buono!) alcuni decenni fa, ed è stato con lui che ho cominciato a frequentare i Balcani. Ha una ditta di import (ci faccio qualche affare) e, soprattutto, ha un figlio che fa al caso mio!

<Marko Junior> (anche il suo nome ve lo raccomando…) è un funzionario ad alto livello del Ministero degli Interni jugoslavo.

“Hallò” mi risponde, per tre quarti ancora addormentato.

“Alzati, mettiti la testa a mollo, e dopo mi fai tutte le feste che vuoi!”

“Brutto figlio di… dove cazzo sei?!?!”

“Ciao! Scommetto che dormivi?!!”

“Prima! Ora non più!!!”

“Marko sono nei casini…”

“Tanto per cambiare! E’ il tuo <habitat>. Racconta.”

“Ascoltami devo andare in Kossovo, dall’Albania…”

“Sei pazzo!” mi interrompe. “Ci sono disordini. La nostra tv ha detto che abbiamo in corso una offensiva militare, e la frontiera è chiusa!”

“Per questo ti ho chiamato. Vedi di trovare la chiave!”

“E quando sarebbe?”

“Fra un’ora circa!” rispondo.

“Fai le cose in fretta tu!”

Tace!

Sta pensando… anzi, se ascolto attentamente, sento il cigolio delle sue meningi…

“Dove valicheresti?”

Il primo problema l’ha risolto…

“Transiterei nei pressi di Mitrovica; ho dell’altro…”

“Ah!.. Beh!.. fai finta di essere al ristorante: ordina pure!”

“Ho bisogno di una macchina…”

“Poi?”

“Nel cruscotto, ci starebbe bene una 38; sai che la preferisco!”

Silenzio!!!

“Marko?… ci sei ?”

“Si! Ci sono. Vieni a Belgrado quando hai finito?”

Ho un sollievo!

“No. Non questa volta…”

“La prossima… allora!”

“Si; la prossima!”

“Dobra. Ho bisogno di un’ora; quando sei alla frontiera richiama!”

Una volta in macchina, chiedo a Landi quanto manca al confine.

“Siamo vicini: mezz’ora. Cosa dice il tuo amico?”

“Dice: dobra!”

“E cosa significa?”

“Buono! Ecco cosa significa… devo richiamarlo fra… cinquantanove minuti (per amore della precisione…).”

Nei pressi del confine, il paesaggio si anima. C’è un mucchio di gente! I rispettivi posti di frontiera, sono presidiati da decine di militari che si puntano contro i fucili.

Seduto davanti al negozio di <souvenir di Albània>, vediamo Osman. Ci raggiunge. Brutto segno! Apre la portiera e sale in macchina.

“Ho del caffè” e così dicendo, ci porge una bottiglietta e dei bicchieri di carta.

Gilbert gli racconta di Durazzo, e gli spiega le mie intenzioni. Tocca a lui.

“Il <tedesco> è passato di là circa un quarto d’ora .”

“Ma come ha fatto?!!? La frontiera è chiusa!” gli domando.

“A parte il fatto che per noi non è <chiusa>! Sono quegli altri che ti rimandano indietro…, non lo fanno solo con il nostro amico! Anzi, sembra che lo aspettassero. L’ho intravisto confabulare con uno in borghese; poi hanno alzato la sbarra ed è transitato.”

“Con che macchina?” chiede Landi.

“Con un <benz> nero; un 250.”

“E’ l’albanese che era con lui?” fa Gilbert.

“Ha preso un taxi, ed è tornato verso Skodra.”

Sono preoccupato. Fidavo nel fatto che il nostro uomo rimanesse bloccato; invece… Osman capisce cosa mi frulla.

“Ha fatto due telefonate. La prima appena arrivati qui; la seconda dieci minuti prima di passare.”

Non posso fare a meno di pensare che non sono il solo ad avere buone <relazioni> nella zona…

“Il numero che ha chiamato…” si fruga in tasca e mi allunga un pezzo di carta “è di Roma. Risponde la segreteria telefonica di un antiquario.”

Mi riprometto di approfondire la faccenda. Devo chiamare Marko! Lo faccio.

“Fra dieci minuti” mi dice “vai al posto di controllo; ci sarà un tizio ad aspettarti. Si chiama Vladic; parla inglese. Ti dirà lui!”

“Grazie Marko! Verrò a trovarti!”

“Ti aspetto! <Copriti> mi raccomando!”

Sono le tre e quindici del mattino. Tiro fuori la pistola che mi aveva dato Gilbert “prendila! Non vorrei far suonare il metal detector”.

“E come farai tu?” ribatte.

“Non preoccuparti. Ci ha pensato Marko!”

“Adesso ci organizziamo in questo modo: Landi torna a Golem. Domani… oggi va a Durazzo a prendere l’elenco che ci ha promesso quello dei fischietti. Tu ed Osman mi aspettate qui. Se tutto fila, sarò di ritorno per le nove.”

Tedesco permettendo… penso!

Osman mi guarda e… ride! Quel figlio di puttana se la ride! Ha capito il mio nuovo dilemma!

“Che cazzo mi ridi?!!? Lo rimbrotto.

“Beh… se guardi bene intorno, troverai il benz; credo in qualche fosso!!!”

“Che cosa vuoi dire?”

“Dico che mentre quei due erano al telefono, ho preso questi” e mi mostra dei bulloni. “Non appena quello accelera un po’ di più, è fortunato se perde solo ruote!”

Gran figlio di…! Bravo Osman! Se non c’eri ti avrei inventato!

Mi avvio verso gli <slavi>.

“Mr. Vladic!?” chiedo al militare che mi viene incontro.

“Sono io” mi risponde in inglese, tendendomi la mano. “Venga con me.”

Lo seguo, ed entriamo in una stanza. Va subito al sodo!

“Questo è un lasciapassare che dovrà esibire a richiesta. Credo che verrà fermato qualche volta. Mi raccomando: si fermi ad ogni <alt> che le verrà intimato dai nostri; se non lo fa, le sparano contro.”

Ottimo! Penso.

Prosegue: “la macchina è quella!” me la indica consegnandomi una chiave, “nel cruscotto troverà qualcosa che lei sa…”

Bene. Se fossi James Bond, avrei visualizzato una <Porche> o una <Jaguar>. Siccome sono io… visualizzo una vecchia <Zastava> (non correte a chiedere di che macchina si tratta. Ve lo dico io: è una <Fiat 128>; quelle con la cupoletta!).

“Le auguro buon viaggio! Io sarò ad aspettarla, per farle ritransitare la frontiera.”

Fine della trasmissione!