Grano con glifosato: Barilla dice no alle importazioni dal Canada
Importazioni di grano canadese: anche Barilla dice no. Il colosso mondiale della pasta non utilizzerà il grano con il glifosato (l’erbicida più usato al mondo), quello che proviene dal Canada. Lo ha comunicato il direttore degli acquisti di Barilla, Emilio Ferrari, a Toronto al Canadian Global Crops Symposium. Egli ha precisato che l’azienda italiana ha modificato in senso più restrittivo i parametri qualitativi per la materia prima strategica, per cui non verrà utilizzato il grano duro prodotto utilizzando il glifosato prima del raccolto.
Grano con glifosato: stop alle importazioni
La presa di posizione di Barilla è un passaggio importante del percorso di “lotta” che va avanti da qualche anno. Un pacco di pasta su sette che viene prodotto in Italia, viene fatto utilizzando grano canadese. Per questo motivo il “no” del nostro produttore più importante diventa emblematico. I consumatori da tempo chiedono garanzie di sicurezza alimentare, e questo nel corso degli ultimi anni ha modificato lo scenario. Sono tornati a viaggiare forte sul mercato le richieste per grani nazionali antichi come quello Senatore Cappelli, oppure per nuovi marchi e linee “100% grano italiano” (Ghigi, Valle del grano, Jolly Sgambaro, Granoro, ecc).
Le importazioni di grano duro dal Canada hanno già subito un taglio importante nel 2017. Parliamo di circa il 39,5% in valore per un quantitativo. La motivazione chiave è stata l’introduzione per legge dell’obbligo di indicare in etichetta la provenienza del grano impiegato.
Questa “crociata” potrebbe finalmente risollevare un intero settore dell’economia italiana. I produttori di grano infatti stanno lottando da tempo contro l’invasione di prodotto straniero, che molto spesso è di bassa qualità e viene trattato con sostanze che da noi sono vietate. Una situazione che ha finito per provocare il crollo dei prezzi del grano italiano, che è giunto fino a scendere sotto il costo di produzione. Questo squilibrio ha infine determinato un drastico calo delle semine e il rischio di abbandono per un territorio di 2 milioni di ettari coltivati situati spesso in aree marginali.
