24. “e quale sapore nuovo abbia l’universo”: mappamare, alterar-sé; cosa indirizza-guida l’arricchimento delle mappe?

COME CAMBIANO LE MAPPE?
CON QUALI CRITERI VIENE INDIRIZZATO IL CAMBIAMENTO?

macro-foglie-trasparenti

Marica Milanesi, Terra incognita, in Hic Sunt Leones. Geografia fantastica e viaggi straordinari, a cura di Omar Calabrese, Renato Giovannoli, Isabella Pezzini, Electa 1983 , pp. 11-14 (catalogo della mostra tenutasi a Roma)

Fino all’invenzione dei metodi scientifici di rilevazione astronomica e topografica (XVI-XVIII secolo), la rappresentazione dell’orbe terrestre è stata una rappresentazione congetturale. La sfericità della terra, acquisita dalla scienza classica e accettata senza troppo riserve dalle età seguenti, fu verificata per la prima volta soltanto nel 1533, quando la Victoria, l’unica superstite delle navi di Magellano, ebbe fatto ritorno a Siviglia, dopo aver circumnavigato il globo terrestre da oriente verso occidente; ma nemmeno l’impresa della Victoria poteva, per esempio, smentire l’ipotesi di Cristoforo Colombo, seondo il quale la terra era circumnavigabile, sì, ma piriforme, con la protuberanza collocata nella zona dell’odierno Venezuela. La stessa convinzione che la terra fosse sferica non garantiva poi che l’uomo potesse percorrerla, o abitarla, tutta: ragionando in termini non aristotelici, anche coloro che credevano nella sfera terrestre tendevano a considerarla alla stessa stregua di una superficie piana, con dei confini occidentali e orientali, con un alto e un basso, da cui si potesse “cadere”, sulla quale si potesse (o meglio, non si potesse), camminare a testa in giù.
Le rappresentazioni della terra, anche per coloro che la consideravano, in astratto, una sfera, erano piane; il primo globo di cui siamo a conoscenza risale alla fine del XV secolo. E, rappresentata in piano, la terra delle mappae mundi o delle carte nautiche medievali si accordava molto bene sia con l’esperienza immediata, col piano orizzontale sul quale l’uomo ha la sensazione di posare i piedi, sia con quella tradizione religiosa che, discendendo dalla Bibbia, faceva della terra un disco piatto sospeso fra le acque del cielo e quelle sotterranee. Benché la Bibbia costituisse, nella gerarchia ideologica medievale, la principale delle fonti per ogni genere di conoscenze, in campo cosmografico essa subì la forte concorrenza della cosmografia pagana, soprattutto nel Basso Medioevo; non mancò invece nell’Alto  Medioevo chi accettò alla lettera il dettato biblico.
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La forma dell’Ecumene, tuttavia, non era stabilita da nessuno: fu oggetto anch’essa, dunque, di congettura. Predominò una sua rappresentazione circolare; ma fu possibile, con altrettanta legittimità, disegnarla in forma allungata da ovest a est. Fino al XIV secolo i punti fermi furono: un estremo confine occidentale rappresentato dalle colonne d’Ercole; un estremo confine orientale, rappresentato dall’India. I confini settentrionali e meridionali erano molto meno definiti.
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Fino al XIV secolo, dunque, la geografia romana e la Bibbia diedero forma alla terra e ne popolarono la superficie. Sui territori tracciati sulla base dell’autorità dei testi  e della congettura, furono collocati località e fenomeni che avevano la stessa origine. Località e fenomeni: poiché una carta medievale non è una carta geografica, quale noi la intendiamo, e nemmeno una carta tematica (che sulla base della sottostante rappresentazione geografica descrive la localizzazione, o il variare del tempo, di un singolo fenomeno). Essa è un trattato, una descrizione della terra in cui sui simboli (quelli di città, o di fiume, o di montagna) predominano i disegni (di popoli, di animali, di monumenti) e i cartigli, cioè le spiegazioni scritte. E’ una descrizione della terra che, secondo la tradizione classica, comprende una parte corografica e una di geografia degli animali e delle piante, ma è soprattutto dedicata a popoli, al loro aspetto fisico, alla loro storia ed economia, ai loro usi e costumi.
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Non furono neppure le scoperte geografiche del XV e XVI secolo a eliminare l’elemento congetturale dalla cosmografia e dalla cartografia. Certo, a partire dal XVI secolo per quanto riguarda il Mediterraneo e l’Europa, e a partire dalla seconda metà del XV secolo per quanto riguarda l’Africa, e poi l’Asia, il profilo dei continenti aveva cominciato a disegnarsi con grande precisione nelle carte nautiche, costruite non in base alla tradizione, ma in base ai rilevamenti fatti con la bussola e al calcolo delle distanze. Ma nulla poteva sostituire la tradizione, per le parti della terra in cui gli europei non avevano ancora navigato.
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Nel XV secolo, dunque, la cartografia conosce il suo momento di maggiore confusione. Le mappae mundi –quando non si rifanno, senza problemi, ai modelli medievali di origine classica (come la carta di Velletri)- presentano l’esattissimo Mediterraneo delle carte nautiche; i goffi profili antichi del resto dell’ecumene, in qualche caso arricchiti dalle prime notizie date dai Portoghesi sulle coste occidentali dell’Africa (fra’ Mauro); e, quando non accettano l’ipotesi tolemaica di una congiunzione fra Asia e Africa a latitudini subequatoriali (terra australe incognita), esitano sulle dimensioni e sulla navigabilità del mare che separa i due continenti. Né accennano a scomparire i mostri  e le meraviglie delle carte antiche.  Il Paradiso Terrestre è sempre in Estremo Oriente; il Prete Gianni si limita a trasferirsi dall’Asia all’Etiopia; i mostri coabitano con gli uomini; nelle mappae mundi quattrocentesche, anzi, essi frequentano soprattutto le zone accessibili all’uomo, si sottopongono alle leggi di natura -si avviano insomma a divenire, da simboli dell’ultramondano, mere curiosità naturalistiche. Si prepara così la loro repentina scomparsa dalle carte -che si realizza nel Cinquecento- e il loro trasmigrare nei trattati di storia naturale e nelle teralogie.
Dopo il 1492, la comparsa sulle carte delle terre a occidente dell’Atlantico propone un nuovo problema, apre il via a nuove congetture.
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Ipotesi e tradizioni antiche e speranze moderne  si rispecchiano nelle rappresentazioni  dei cartografi. Ogni terra avvistata nei mari australi può far parte del continente meridionale, ogni isola a nord del Giappone può essere il ponte terrestre fra l’Asia e l’America. Se il XVI secolo ha tracciato sulle carte, a grandi linee, le principali masse continentali, tocca al  XVII e al XVIII secolo, particolare per particolare, congettura per congettura, disegnarne gli esatti profili.
Né soltanto il profilo dei continenti impone congetture ai cartografi: non basterà  il XIX secolo per risolvere gli enigmi posti dall’interno delle masse continentali. Ricostruire la rete fluviale fluviale africana fino alle scoperte di Lander (1830), di Speke (1857-1860), di Livingstone (1849-1873), di Stanley (ultimo trentennio dell’Ottocento), significò doversi destreggiare fra notizie sparse e contraddittorie e una tradizione che risaliva al mondo classico. I sistemi dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni diedero da fare ai cartografi fino al primo ventennio dell’Ottocento. Solo nel XVI secolo, del resto, erano scomparsi dalle carte i monti Rifei e Iperborei, che secondo la tradizione greca movimentavano le  pianure della Russia settentrionale. Anche in epoche molto vicine a noi, insomma, la cartografia ha mantenuto caratteri congetturali. E anche oggi, se pensiamo alla possibilità di manipolazione di strumenti apparentemente  imparziali come il calcolo matematico o la fotografia, alla arbitrarietà dei punti di vista di scelti per considerare i fenomeni, possiamo sottrarci all’impressione che anche la cartografia moderna si presenti -in qualche misura- come congetturale.

Francesco Guccini, Vorrei

Ivano Fossati, Mio fratello che guardi il mondo

Zucchero, Ahum

 

Si è contenti di non conoscere se stessi,
perchè niente più di questo disturba il roseo bagliore delle illusioni.
Piuttosto che mettersi a confronto con i propri lati oscuri, si preferisce accontentarsi dell’illusione della propria rettitudine morale.
C. G. Jung

“Osserva!”, e così dicendo Oraste srotolò davanti agli occhi dello straniero una mappa artisticamente tracciata su una pelle di pecora.
Xaltotun fece per esaminarla, ma subito scosse il capo, confuso.
“Gli stessi connotati della terra sono cambiati.
Sembra un oggetto familiare visto in sogno , distorto dalla fantasia.”
“Certo”, gli rispose Oraste, e seguì con il dito la mappa. “Qui c’è Belvero, capitale della  Nemedia, dove ci troviamo. I confini della Nemedia passano qui, e a sud e a sud-est quelli di Ophir e Corinthia; la Britinia è a est, l’Aquilonia a ovest”.
“E’ la mappa di un mondo che non conosco”, disse Xaltotun in tono blando,
ma Oraste non poté fare a meno di notare
la livida vampata di odio che era brillata negli occhi neri.
“E’ una mappa che ci aiuterai a cambiare”.
R. E. Howard, Conan il Conquistatore

… ho visto che l’amore cambia il modo di guardare ….
Ligabue, Atto di fede

 

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Kunyu Wanguo Quantu (Una mappa dei diecimila Paesi del mondo), 1602
stampata da Matteo Ricci su richiesta dell’imperatore Wanli
https://it.wikipedia.org/wiki/Carta_geografica_completa_di_tutti_i_regni_del_mondo

24. “e quale sapore nuovo abbia l’universo”: mappamare, alterar-sé; cosa indirizza-guida l’arricchimento delle mappe?ultima modifica: 2018-10-07T21:26:14+02:00da mara.alunni