28. omaggio a Maria Giovanna Piano: l’ideologia-mappa del dizionario … suggerisco viaggi nei vocabolari

Durante la cerimonia per la premiazione del David di Donatello 2018, l’attrice Paola Cortellesi recitò un elenco di parole che assumono  significati diversi se usati al maschile o al femminile: un significato offensivo nel caso della parola con il genere grammaticale femminile. Un esempio: peripatetico è il filosofo, peripatetica è la prostituta.
Da tempo girava in rete, raramente essendone citata la fonte, quella lista  che le attrici hanno portato alla ribalta ed è un elenco tratto da un libro scritto da  Stefano Bartezzaghi.
La pubblica lettura ha dato una grande, e maggiore, risonanza all’elenco e per molte persone sembra essere stata una scoperta.

 

In questo spazio voglio rendere omaggio a una donna, una studiosa, insegnante di Filosofia e di Storia del pensiero femminile presso Scuole, Corsi di Formazione e Università: Maria Giovanna Piano, che ha pubblicato diversi saggi sulle problematiche della cultura e del femminile. Tra questi, nel 1992, edito a cura della Consulta Femminile Regionale della Sardegna, L’esperienza e la parola, un testo dove, dopo 6 brevi capitoli su linguaggio e femminile, si trova – da pag. 43 a  pag. 59- un glossario tratto dall’undicesima edizione dello Zingarelli: vi sono evidenziati i significati negativi quando relativi al femminile, sia dei termini, quando declinati al femminile, che degli esempi riportati dai lessicografi all’interno dei lemmi. Molto prima della rete e della cassa di risonanza mediatica: la discrezione immensa di un libro-seme.
Non ricordo, purtroppo (purtroppo per me 🙂  ) come il libro entrò nella mia vita; studiavo linguistica e collaboravo con il mio professore all’Università: è probabile che fu quella la via attraverso la quale venni in possesso di quello che ritengo uno dei testi più preziosi della mia privata biblioteca. E’parte importantissima della mia biografia, e mi dispiace non ricordare il nostro incontro, ma a pareggiare questa mancanza è il seme grande che depositò dentro di me: l’emozione, il batticuore, la chiarezza, la crescita, la fertilità di un Femminile che in me aspettava di farsi strada, di avere un posto nella mia mappa e che illuminò la mia rappresentazione del mondo quando finalmente uscì alla mia luce.

Sono qui a ripristinare una fonte, quindi, una sorgente fresca vivace colta che merita di essere ricordata: una capacità di distinzione e di attenzione e di lettura che fu veicolo di consapevolezza. Amo quel libro, amo la studiosa che con la serietà che contraddistingue chi percorre la propria strada ha saputo parlare con la sommessa determinazione dell’evidenza, senza scagliarsi contro nessuno, senza retorica, bensì proponendo all’attenzione e alla riflessione dei lettori e delle lettrici i risultati delle sue ricerche e delle sue elaborazioni.

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MARIA GIOVANNA PIANO, L’esperienza e la parola, Consulta Femminile Regionale per la Sardegna, 1992

Introduzione, pag. 5
La riflessione femminile sul linguaggio non nasce da intenti accademici, sebbene molte donne dell’accademia si siano occupate di questo tema, né dall’amore per la linguistica, anche se molte donne amano questa come altre discipline ed hanno imparato ad utilizzare per sé le competenze acquisite.

In questo campo, come in altri, l’impegno teorico si è motivato a partire da istanze provenienti dalla politica delle donne, da un desiderio di conoscenza “iuxta propria principia”.
Ma prima di ogni possibile riflessione teorica c’è per ogni donna l’esperienza della parola. La parola esperita dalle donne porta con sé un’assenza in cui la significazione femminile cade.
Quel vuoto è il posto della madre.
La cultura maschile, che conosce bene l’arte della sostituzione, non ha potuto saturare di sé questa mancanza, se è vero come è vero che non tutto della madre è sostituibile.
Finché non si restituirà alla madre ciò che le è stato tolto, anche l’espressione “lingua materna” sarà la testimonianza di un furto.

L’ESIGENZA DEL SIMBOLICO, pp. 7-8
Nel bel romanzo del nuorese Salvatore Satta “Il giorno del giudizio”, ogni volta che il protagonista Don Sebastiano vuol ridurre al silenzio la moglie le rivolge un’espressione terribile che stigmatizza il senso della superfluità di lei: “Tu sei al mondo solo perché c’è posto”. Donna Vincenza si curva sotto quelle parole come sotto il peso di una verità insopportabile.
Solo in base alla constatazione che la realtà senza il simbolico è meno di niente è stato possibile sostenere che le donne non sono storicamente esistite. Tale considerazione dà in parte conto della crescente attenzione con cui  la politica delle donne guarda alla dimensione simbolica e del fatto stesso che si sia resa pensabile una politica del simbolico.
Il simbolico, che non è affatto il duplicato rappresentativo del reale, consente l’accadimento e la rielaborazione delle esperienze umane secondo un ordine di senso. Lacan ci ricorda nei suoi “Scritti” che i simboli avvolgono la vita dell’uomo con una rete così totale da congiungere, prima ancora della sua nascita, coloro che lo genereranno in carne e ossa.
Per le donne il senso dello stare al mondo non è simbolizzato come dimensione propria, esse mancano di riferimenti simbolici sedimentati nel tempo, cosa che le condiziona a ricevere dall’altro indicazioni sul senso di sé.
Tale situazione espone le donne a un rischio costante di superfluità che tende a costituirsi come dimensione tipicamente femminile.
La decisione di molte di fare dell’accettazione dell’esser donne principio di ragione e di esistenza fa parte di un itinerario politico che sposta al centro il posizionamento sociale femminile.
Questo spostamento presuppone e rende possibile una volontà di nominazione della realtà e dell’esperienza.
Il vezzo di siglare tutto ciò che tocchiamo: donna/lavoro, donne/istituzioni, donne/politica, donne/linguaggio, può risultare fastidioso, nondimeno ha le sue ragioni, testimonia di un percorso consapevole, della ricerca di un principium individuationis, del bisogno di trovare un ordine proprio.
C’è comunque in questo “passar segnando” il rimando ad un fondamentale problema: la significazione femminile.
L’attenzione di molte insegnanti si è da tempo fermata con preoccupazione sulle modalità con cui si compie a scuola, là dove si compie, l’emancipazione culturale delle giovani generazioni. Questi percorsi risultano rassicuranti in quanto problematizzano l’accesso femminile alla realtà socioculturale nei termini poco traumatici dello stare là dove, appunto, “c’è posto”.
La scuola pur non offrendo alcun riferimento che possa concorrere alla formazione di un’autonoma identità delle ragazze, è comunque in grado di formare quel “cattivo modo” di credere di avere dei diritti che caratterizza spesso le loro opinioni.
Su come le ideologie paritarie abbiano finito per erodere i valori femminili della loro stessa tradizione, si dovrebbe rifletter a partire dalla sconcertante correlazione visibile in consistenti fasce di giovani donne, in particolare nei percorsi formativi forti e misti, tra emancipazione ed antifemminismo.
Comincia ad essere vistoso lo scollamento tra percorsi di emancipazione e quel livello almeno generico di consapevolezza femminile che tradizionalmente li sottendeva. Tale scollamento appare fortemente mediato dall’integrazione femminile al simbolico maschile, integrazione favorita dalla cultura scolastica e dalla forma delle relazioni.
L’integrazione simbolica opera con un consistente anticipo rispetto all’effetivo inserimento nel “mondo”, allo stesso modo in cui nell’apprendimento linguistico l’acquisizione del significante precede talvolta di gran lunga l’acquisizione del significato.

DONNE E LINGUAGGIO (pp. 9-12)
ALL’ORIGINE DELLA PAROLA (pp. 13-18)
LA RIFLESSIONE FEMMINILE SULLA LINGUA (pp. 19-30)
VERSO UNA DIDATTICA DELLA RESTITUZIONE (pp. 31-38)

L’IDEOLOGIA DEL DIZIONARIO (pp. 39-42)
Presento in questa parte un estratto della rilevazione da me condotta sulle voci dell’ultima edizione del dizionario Zingarelli edito da Zanichelli (Il Nuovo Zingarelli –  Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli – Undicesima edizione, a cura di Miro Dogliotti e Luigi Rosiello, Ed. Zanichelli, Bologna). La scelta di questo dizionario, piuttosto che altri, come ambito di indagine, è motivata unicamente dal suo largo uso, in particolare nella scuola.
Il dizionario è un importante sussidio didattico, ha infatti il compito di guidare alla comprensione del lessico.
Il lessicografo (ma si tratta in realtà di una equipe di lessicografi e lessicografe) porta dunque una certa responsabilità pedagogica; limitata, si potrebbe osservare, visto che l’orizzonte di riferimento è la lingua data.
Tuttavia nella compilazione di un dizionario non si tratta evidentemente di una semplice registrazione di nomi.
Dovendo rendere finite le infinite possibilità della lingua, il lessicografo sceglie, e  proprio nella sua libertà di scelta (che a ben guardare è piuttosto ampia) è pedagogicamente valutabile.
Di ogni vocabolo il dizionrio indaga l’etimologia, presenta le diverse accezioni di significato: lettrale, estensivo, specifico, ecc.
L’illustrazione si avvale, con rigore scientifico e con precisione, della definizione, fondamentale ai fini della chiarificazione concettuale dei termini, e della fraseologia, con cui si dà una esemplificazione concreta dei vocaboli ipotizzando i contesti e le situazioni che ne rendono pertinente l’uso.
Ma nell’iter che va dalla sua origine alla esemplificazione in contesto, la parola si fa discorso e i messaggi che, “opportunamente” orientata veicola, superano talvolta la sua stessa portata semantica.
Difficile pensare che se la lingua non è neutra possa essere neutro il dizionario, ma quando la non neutralità del lessicografo sposa troppo bene la non neutralità della lingua ogni parola può decisamente superare sé stessa.
Il manuale di grammatica italiana, dello stesso editore Zanichelli, “La lingua italiana” di Maurizio Dardano e Pietro Trifone, ci dice:
La definizione delle parole, la fraseologia, gli esempi, riflettono le idee, la visione del mondo del lessicografo.
E ancora:
L’ideologia del dizionario si rivela nei suoi tabù: sessuali, ideologici, politici.
E ancora:
Anche nella scelta degli esempi il lessicografo manifesta la sua presenza, può suggerire al lettore idee e comportamenti. (pag. 371)
Il dizionario porta dunque ideologia. E’ bene saperlo, in particolare per le insegnanti, ma non è bene metterlo nel conto formalizzandolo come rischio del mestiere o inevitabile, se non legittima, traccia del soggetto: funzionerebbe da lasciapassare a larghissimo raggio. Non è bene soprattutto in questo caso in cui ideologia vale per misoginia e non genericamente e contemplativamente visione del mondo.
La ricerca qui proposta è stata condotta nella consapevolezza del sessismo presente nella lingua ed ha quindi tralasciato di insistere su aspetti già ben conosciuti, quali ad esempio i nomi maschili delle professioni, i nomi femminili indicati normalmente nell’accezione “moglie di” non solo per le professioni, ma per i gradi amministrativi e militari, per i titoli nobiliari ecc., e su altri aspetti dello stesso tipo.
La ricerca ha mirato a individuare non soltanto e non semplicemente parole isolate che immediatmente rimandano a stereotipi sessisti, ma piuttosto l’ideologia maschile che sottende l’uso e la rappresentazione della lingua.
In questo senso appare più significativa proprio l’illustrazione di termini che non risultano investiti sul piano strettamente lessicale da simbolizzazioni sessiste.
Ho individuato fin dall’inizio del lavoro 3 livelli diversi (a volte nettamente distinguibili, altre volte confusi, mescolati o compenetrati) in cui questa ideologia si presenta nei dizionari e dagli stessi dizionari viene veicolata e riprodotta:
1. quello in cui normalmente la lingua riflette e descrive il reale, l’organizzazione maschile della realtà, che il dizionario “obiettivamente” ci offre con nomi di ciò che è;
2. quello in cui la lingua veicola l’ideologia maschile, che il dizionario, ancora “obiettivamente”, ci fornisce come mera raccolta e repertorio delle abitudini dei parlanti, le parole che si dicono;
3. quello, infine, in cui il lessicografo è soggettivamente veicolo e proponitore di ideologia, attraverso la formulazione di certe definizioni, l’omissione di altri esempi o citazioni.
E’ così che risultano significativamente per ciascun livello di indagine, cose in parte note, aggiornata conferma di stereotipi già individuati nella lingua d’uso, in parte meno note, quali le tecniche del passaggio (contagio) semantico o le interazioni tra significato proprio ed estensivo. Risulta confermato ad esempio che i mestieri sono dell’uomo, ma “quel mestiere” è della donna; nonché il numero spropositato di termini per indicare chi fa “quel mestiere”, sempre lo stesso.
Vistosa l’assenza di esempi al femminile nell’area semantica del “valore”, cioè per illustrare termini quali: ingegno, eccellente, insigne, intelligente, genio, saggio, ecc., correlata alla abbondanza di esempi al femminile, nell’area semantica del disvalore; per gli esempi maschili vale “naturalmente” l’inverso.
L’aggettivazione svalorizzante più che rispondere ad una logica attributiva sembra caratterizzarsi nelle esemplificazioni proposte come qualificazione intrinseca nell’essere donne, mentre negli esempi maschili l’aggettivazione negativa (di modeste proporzioni) si configura come qualcosa di esteriore che non compromette “l’essere uomo”. Così avremo “donna pettegola”, ma al maschile “visitatore pettegolo”. Significativo anche il tono degli esempi, indulgente o censorio a seconda che si tratti di maschile o femminile.
Nell’insieme il campione proposto, seppur modesto, è forse sufficiente a far superare l’impressione spesso persistente contro ogni consapevolezza, che la lingua si faccia da sé sempre e solo rispondendo a sue interne e immutabili leggi. Certamente è sufficiente ad attestare il cattivo servizio reso alle donne e, cosa non meno grave, del cattivo servizio reso alla lingua, piegata senza rispetto a significare una miseria da cui la realtà stessa rifugge.
Questo campione, mostra che c’è qualcosa di ridicolo e anacronistico, tutt’altro che residuale, nell’uso della lingua; importante rivelatrice la libertà femminile che restituita al linguaggio produce i suoi effetti. Appare ormai sempre più chiaro che la libertà femminile non dipende dal superamento del sessismo: è vero, al contrario, che il superamento del sessismo dipende in buona misura dalla libertà femminile. L’affermazione della libertà femminile, che non nasce certamente come mera reazione al sessismo, risulta comunque essere la più efficace risposta ad ogni forma di sessismo e misoginia.
Per questa via le donne possono, in un certo senso, farsi custodi della parola.
Possono, perché non c’è inimicizia tra donne e parola, perché le donne più di altri conoscono il peso dell’esperienza muta e forse più di altri portano dentro di sé, come intatta risorsa, lo stupore della prima parola.

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30rosenberg-superjumbo-v2.900x600Walter Trier, L’Europa prima della prima guerra mondiale

 

28. omaggio a Maria Giovanna Piano: l’ideologia-mappa del dizionario … suggerisco viaggi nei vocabolariultima modifica: 2018-10-27T20:46:24+02:00da mara.alunni

4 pensieri riguardo “28. omaggio a Maria Giovanna Piano: l’ideologia-mappa del dizionario … suggerisco viaggi nei vocabolari”

  1. Le prossime due o tre reincarnazioni ( una non mi basterebbe di certo ) le consacrerò allo studio della filologia e della linguistica, scienze di vera profondità. Avvicinarsi alla scintilla che è riuscita a trasformare un concetto in logos, per me è entusiasmante.
    La sintassi di un popolo, al contempo crea e definisce lo scibile di quel popolo. Una gittata enorme.
    Perdonami se apparentemente mi sono scostato dall’argomento che tratti ( solo apparentemente ). In realtà, di là dalla retorica femminismo vs maschilismo, c’è un nocciolo semantico che governa l’atteggiamento verso l’universo femminile.

    1. ciao 🙂 la linguistica è una gran bella scienza, con tutti i suoi particolari settori di approfondimento; e sono d’accordo con te nel provare entusiasmo e fascino verso quei momenti in cui un pensiero, una rappresentazione, una percezione, una fantasia diventano parola: da un terreno nascono un’erba, un fiore, un albero e non altri; quell’albero quel fiore quell’erba hanno bisogno di quel terreno di quell’esposizione di quella temperatura per crescere e vivere. Così con le parole, e con la stessa sintassi che organizza lemmi -secondo la griglia della grammatica, altra nostra bella invenzione- in complementi, frasi principali e secondarie e con l’intrigante aiuto fondamentale della retorica e delle sue belle figure. Non ti sei scostato dall’argomento del post (e qualora tu lo facessi sarei felice dell’ulteriore viaggio proposto) perché l’idea è proprio quella di renderci consapevoli da quale non-scintilla a volte nascono concetti e parole. Avevo intenzione di fare altri post sul linguaggio come mappa, ed è comunque di una semplicità ed evidenza disarmante aprire un vocabolario, sostare con curiosità tra le sue parole e accorgersi di come si è costruito e si costruisce un “ordine del discorso”.
      Tutto ciò che è retorica costruita intorno a un argomento è interessante per osservare le mentalità le scintille e le non-scintille di quel mondo che fa vuota retorica, e non per costruire valide argomentazioni: non giova certo al Femminile. In questo caso la linguistica aiuta nel cammino della consapevolezza. Grazie, sono felice di trovarti qui. Spero ci rivedremo anche nelle prossime reincarnazioni, che chiederemo ardentemente per motivi di studio! 🙂

  2. più semplicemente il linguaggio è mappa dell’evoluzione ( dove siamo ancorati) ma spero che presto cambi la coscienza di chi lo ancora lo interpreta ( lo usa) con una coscienza vecchia ( i più purtroppo)e al pari della semiologia faccia un balzo avanti, con rivoluzioni fatte ora ( ma i più aspettano la manna dal cielo)…salutissimi____* dizzly

  3. il linguaggio, nel suo essere organismo e quindi in continuo cambiamento, è mappa diacronica dei cambiamenti e sincronica di determinati momenti … rifletto su quanto spesso guidi e indirizzi la “realtà” … grazie del tuo commento

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