37. la mappa di William Smith: un documento destinato a mutare il volto della scienza -addirittura a dare origine a una scienza del tutto nuova- e a mettere in moto una serie di studi che alla fine avrebbero condotto alle ricerche di Charles Darwin, alla nascita della teoria evoluzionistica e al sorgere di un punto di vista completamente innovativo da cui l’umanità poté guardare il suo pianeta e l’universo

Simon Winchester,  La mappa che cambiò il mondo, Guanda 2001

Prologo
La parete di uno dei vari scaloni marmorei dell’ala est di Burlington House, la maestosa dimora palladiana londinese che sorge sul lato nord di Piccadilly, è coperta da due grandi tende di velluto celeste con i cordoni di seta ritorta adorni di nappe. Per quanti interrogativi possa suscitare la cosa, soltanto di rado una delle persone che salgono o scendono le scale si informa su ciò che si nasconde dietro il tessuto. Forse una finestra bloccata? Un quadro troppo grottesco per rimanere esposto? Un raro arazzo tessuto sul continente, sbiadito dalla luce?
Ogni tanto un visitatore più audace e incuriosito chiede di dare un’occhiata: in tal caso da una porta con la scritta PRIVATO emerge un funzionario e viene a tirare dolcemente, con mano esperta, i cordoni di seta. Le tende si aprono pian piano e rivelano un’enorme carta geografica dell’Inghilterra e del Galles, una magnifica incisione colorata (di azzurro, verde, giallo vivo, arancio, terra d’ombra) in cui linee, superfici e zone a retino si mescolano in un intreccio piacevole e inconsueto.
“Mare Germanico” recita la dicitura sul lato orientale della costa inglese, al posto dell’attuale Mare del Nord. In un riquadro c’è una piccola sezione di quello che viene definito il sottosuolo del territorio fra il Galles e il Tamigi. Per il resto è tutto riconoscibile e familiare in maniera confortante. La mappa è di una squisita bellezza, una bellezza messa in risalto dalle grandi dimensioni, più di otto piedi per sei, e dalla posizione incombente sull’osservatore. Saltano agli occhi la cura e la precisione dei particolari: si tratta dell’opera di un artista, eseguita con passione, il punto di arrivo di anni di studio, di mesi di attento lavoro.
Nell’angolo destro si legge la descrizione, incisa in un corsivo ornato di svolazzi. “Raffigurazione degli strati dell’Inghilterra e del Galles, e di una parte della Scozia; vi sono rappresentati i giacimenti di carbone e le miniere; le paludi e gli acquitrini un tempo inondati dal mare; e le diverse varietà di suoli in conformità con le variazioni dei substrati; il tutto identificato dai nomi più adatti a descrivere i vari elementi. ” La carta è firmata con la dicitura “Di W. Smith” e datata “1° agosto 1815”.
Questa, spiegherà il funzionario, è stata la prima vera carta geologica di qualsiasi regione del mondo. Ha annunciato la nascita di una nuova scienza. Ha posto le basi per l’accumulo di grandi fortune – in petrolio, ferro, carbone, e per altre nazioni in diamanti, stagno, platino e argento – conquistate dagli esploratori che si sono serviti di mappe dello stesso genere. Ha gettato le fondamenta di un campo di studi che ha avuto il suo culmine nell’opera di Charles Darwin. Ha segnato l’inizio di un’era non ancora conclusa, caratterizzata fin dal principio da scoperte scientifiche esaltanti e stupefacenti, grazie alle quali l’uomo è riuscito infine a emergere a passi ancora incerti dalla nebbia dei dogmi religiosi per arrivare a capire qualcosa di più certo sulle proprie origini e su quelle del pianeta. Ha rivestito una fondamentale importanza, sul piano simbolico e reale, per lo sviluppo di uno dei grandi campi del sapere: la geologia, una scienza che, al pari della fisica e della matematica, riguarda forse un ambito di conoscenza e di ricerca cui possono fare riferimento tutte le discipline, su cui basa qualsiasi forma di comprensione del mondo.
Da molti punti di vista la mappa rappresenta bene le ambizioni di un’epoca. Come tanti altri progetti sopravvissuti fino a noi a testimonianza del loro tempo – L’Oxford English Dictionary, la grande triangolazione dell’India, il progetto Manhattan, il Concorde, lo studio del genoma umano – è stata un’impresa dalla portata quasi inconcepibile: per portarla a termine si sono rese necessarie grandi doti di intuito, energia, pazienza e dedizione.
Ma c’è una differenza notevole che rende la carta di Londra un caso a parte. Le altre opere citate, gigantesche nelle proporzioni, formidabili nell’attuazione e di indiscutibile importanza storica, hanno richiesto il lavoro di migliaia di individui. Il dizionario Oxford si è avvalso di esercizi di volontari. Per la costruzione del Concorde si è fatto ricorso alla partecipazione di due interi governi. Sono morti più uomini durante la triangolazione dell’India che in parecchie piccole guerre. Forse dietro i recinti in rete metallica degli uffici di Los Alalmos si aggiravano figure ombrose e solitarie di premi Nobel e di spie, ma intorno a loro si muovevano immensi battaglioni di fisici. E pronti a soddisfare le diverse necessità di tutti quei grandi progetti – fossero realizzati da costruttori di bombe, esperti di aerei, lessicografi, decodificatori genetici o topografi – c’erano legioni su legioni di dipendenti, fattorini, scrivani e parassiti.
La bellezza incomparabile della mappa geologica del 1815, invece, non ha comportato nulla di tutto questo. Pur rivelandosi cruciale per il futuro dell’umanità, va considerata a sé stante, perché è stata ideata, impostata, iniziata, portata avanti e completata malgrado le difficoltà da un uomo solo. Le fatiche erculee necessarie per effettuare la rilevazione del sottosuolo di un paese intero non se le è sobbarcate un esercito o un’armata o un comitato o una squadra, ma un singolo individuo, che alla fine ha apposto la sua firma in calce all’opera compiuta: William Smith, allora quarantaseienne, figlio orfano del fabbro di Churchill, uno sconosciuto villaggio dell’Oxfordshire.
Tuttavia William Smith, creatore solitario di questa grande carta, i cui sforzi hanno generato benefici di ogni tipo – commerciali, intellettuali e nazionalistici – all’inizio fu davvero un profeta misconosciuto. Non partì molto avvantaggiato: apparteneva alla classe dei piccoli agricoltori ed era più o meno un autodidatta, ostinato e visionario, ma profondamente motivato e onesto. Nonostante le terribili frustrazioni subite durante la lunga compilazione della mappa, non si arrese mai, né fu sfiorato dal pensiero di farlo. Eppure subito dopo la conclusione del lavoro si ritrovò completamente rovinato.
Fu costretto a lasciare Londra, la città nella quale aveva disegnato e portato a compimento la carta, dove si considerava a casa propria. Tutti i suoi beni gli vennero confiscati. per parecchi anni si ridusse a vivere come un senzatetto, privo di qualsiasi riconoscimento. La sua vita ne uscì distrutta: cadde ammalato, sua moglie impazzì (la ninfomania fu soltanto uno dei sintomi in lei riscontrati), gli rimasero pochi amici, gli sembrò di aver lavorato senza scopo e senza esito.
L’ironia e la crudeltà della sorte vogliono che una delle cause di tante umiliazioni si trovi al riparo di un’altra tenda di velluto scolorito appesa poco lontano, su un altro dei tanti scaloni elaborati di Burlington  House. Si tratta di una copia della sua in tutti gli elementi più significativi, disegnata da rivali con l’intenzione non dichiarata, ma innegabile, di rovinare la reputazione di questo grande e ignoto profeta dell’Oxfordshire. un uomo di umili natali e perciò costretto, alla stregua di tanti altri suoi contemporanei, a sopportare il fardello ingeneroso della classe sociale a cui apparteneva.

Ma a lungo termine William Smith ebbe fortuna. Parecchio tempo dopo la pubblicazione della carta, un nobiluomo benevolo e dalla mentalità liberale, per il quale Smith si era occupato di una tenuta in un piccolo villaggio dello Yorkshire, riconobbe i suoi meriti: si rese conto, in modo o nell’altro, di trovarsi di fronte al creatore di questa carta bellissima e straordinaria, di cui, si diceva, parlavano tutti i dotti d’Inghilterra e tutti gli scienziati all’estero.
Questa figura di aristocratico fece conoscere a varie persone influenti e provviste delle giuste amicizie l’uomo che aveva scoperto. Finora era rimasto nascosto, in incognito, dichiarò, negli oscuri recessi delle campagne inglesi. Smith non si aspettava che qualcuno ricordasse, e tanto meno apprezzasse, il capolavoro solitario da lui realizzato. pensava di essere condannato a un immeritato oblio.
Ma quella volta il suo pessimismo si rivelò ingiustificato. I messaggi giunsero a destinazione e William Smith venne convinto a tornare a Londra per ricevere finalmente gli onori e le ricompense che gli spettavano ed essere riconosciuto come il padre fondatore della geografia inglese, una scienza completamente nuova, una disciplina che ancora oggi è il fondamento di ogni impresa intellettuale.
Sono passati esattamente duecento anni da quando Wiliam Smith cominciò a lavorare alla mappa che cambiò il mondo. Il racconto che segue, ricavato dai suoi diari e dalle sue lettere, costituisce da un lato il ritratto di un uomo a lungo dimenticato, e dall’altro la descrizione in cui visse e lavorò, oltre a narrare la storia di questa grande carta, rimasta per troppo tempo nascosta dietro le tende azzurre di un’imponente dimora londinese.
(pp. 7-11)

[…]
La mattina del giorno successivo, mercoledì, quello stesso John Cary presso i cui uffici Smith avrebbe potuto decidere di fermarsi, doveva pubblicare in volume la seconda parte di una straordinaria raccolta di mappe geologiche, l’ultimo tomo in ordine di tempo di quello che sarebbe stato riconosciuto come uno dei libri più importanti mai dati alle stampe.
Il nuovo Atlante geologico dell’Inghilterra e del Galles di Cary era stato iniziato quattro anni prima, quando suo figlio George, cartografo e apprendista nello studio del padre, si era dedicato con notevole impegno a un progetto tanto epocale sul piano scientifico quanto imponente nel’aspetto: la mappa incisa con ogni cura e colorata a mano (uno splendido trionfo cartografico di otto piedi e mezzo di altezza per sei di larghezza) formalmente denominata Raffigurazione degli strati dell’Inghilterra e del Galles, e di una parte della Scozia, ma nota fin da allora come la prima carta geologica nazionale su larga scala.
Si trattava di un documento destinato a mutare il volto della scienza -addirittura a dare origine a una scienza del tutto nuova- e a mettere in moto una serie di studi che alla fine avrebbero condotto alle ricerche di Charles Darwin, alla nascita della teoria evoluzionistica e al sorgere di un punto di vista completamente innovativo da cui l’umanità poté guardare il suo pianeta e l’universo. Lo scontro tra il vecchio mondo della scienza moderna basata sulla razionalità e il vecchio mondo della fede e della chiesa sarebbe stato inevitabile, e intesta alla corrente di pensiero d’avanguardia, da un punto di vista tanto simbolico quanto reale, si trovava la grande mappa, e ora questo atlante altrettanto gigantesco che John Cary dello Strand stava per pubblicare, l’una e l’altro sorretti dalle idee rivoluzionarie che ne avevano permesso la nascita.
Entrambe le opere erano creature di William Smith, il piccolo proprietario terriero dell’Oxfordshire […] il corso della ricerca scientifica stava per essere modificato una volta per sempre dalle sue attente osservazioni accumulate nel corso degli  anni di studio e dal suo abito mentale radicalmente innovativo […].
William Smith era nato in un mondo di dogmi, di fedi e di certezze: un mondo dominato dallo spirito conservatore della società inglese, che egli con le sue scoperte e le sue teorie avrebbe un giorno scosso fin dalle fondamenta.
[…]
Eppure, per quanto possa apparire antiquato lo spirito del diciottesimo secolo, se consideriamo l’epoca della nascita di William Smith alla luce di quanto sappiamo oggi, vi possiamo scorgere i segni dei primi impercettibili mutamenti che porteranno all’affermazione di idee e concezioni analoghe a quelle poi formulate dal nostro protagonista. In infinite maniere, più o meno evidenti, le fedi e le certezze dei secoli passati cominciavano pian piano a farsi da parte, e il mondo si disponeva sia pure a ritmi blandi e senza ancora averne consapevolezza, a ricevere le novità strabilianti della rivelazione scientifica.
[…]
Affinché nessuno potesse dimenticarlo, tutte le copie della Bibbia a quei tempi in circolazione recavano date annotate sui margini, stampate in grassetto rosso accanto ai versetti dell’Antico Testamento, allo scopo di rammentare al lettore la cronologia degli avvenimenti. “In principio Dio…” era accompagnato dall’indicazione “4004 a. c.”; e accanto al resoconto delle vicende successivamente narrate nelle Sacre Scritture, da Caino e Abele in poi, si trovavano cifre scarlatte via via inferiori, fino all’evento della mangiatoia di Betlemme, quando la data raggiungeva lo zero.
L’idea di attribuire una datazione al racconto biblico risaliva al tardo Medioevo. c’erano voluti decenni perché qualcuno riuscisse a escogitare cifre plausibili. Nello sforzo di trovarle, schiere di eruditi fanatici avevano analizzato in profondità i concetti fondamentali della Bibbia – che peraltro non si era mai preoccupata di attribuire un’età alla terra, ma solo di descrivere l’atto della creazione- calcolando diligentemente il numero di generazioni susseguitesi nella storia dell’umanità tra la comparsa di Adamo e la procreazione di Cristo. In base a tali studi, alla fine del sedicesimo secolo si era giunti a questa conclusione: l’universo aveva più o meno seimila anni.
[…]
La storia documentata poteva dunque iniziare con tutti i suoi crismi. L’uomo si trovava al suo posto, fatto a immagine e somiglianza del creatore, con la possibilità di gestire il mondo come più fosse piaciuto a lui e al Signore.
Eppure all’epoca della nascita di William Smith, l’indiscussa accettazione di tale teoria iniziava a vacillare […] si faceva strada l’idea nuova, considerata ancora bizzarra e stravagante dalla maggioranza degli uomini del diciottesimo secolo, secondo la quale la terra era ben più antica della razza umana che l’abitava, ragion per cui l’origine dell’uomo e quella del suo pianeta potevano non essere state affatto simultanee.
Simili concetti non erano sostenuti da prove di alcun genere: chi poneva in dubbio la creazione si limitava a basarsi su poco più di ispirate intuizioni. Con il passare degli anni le ipotesi si fecero più certe, e furono proprio le scoperte di  William Smith a provocare notevoli progressi sulla via della loro conferma. […]
Il piccolo William […] nacque perciò in un mondo nel quale almeno le basi dell’esistenza poggiavano su una serie di salde certezze. Le origini del pianeta, così come quelle del genere umano, venivano considerate sicure, prive di complicazioni e avviate da un intervento divino.
Ma prima della fine del secolo tutte queste convinzioni dovevano essere prese d’assalto dalle nuove idee, con conseguenze sconvolgenti. E a cambiare le cose avrebbero contribuito in misura non certo trascurabile proprio i ritrovamenti geologici di William Smith, affiancati da una numerosa serie di altre scoperte. I suoi studi si sarebbero rivelati di importanza vitale per lo scatenarsi del contrasto inevitabile tra i dogmi religiosi, allora dominanti, e i ragionamenti scientifici che avrebbero stimolato le ricerche intellettuali del secolo successivo.
La chiave di tutto fu la scienza, insieme al metodo sperimentale e al suo procedere tramite osservazione, deduzione e analisi razionale dei dati. Ne fu conseguenza fondamentale, soprattutto dopo l’affermarsi delle teorie i Darwin, il profondo mutamento del modo di considerare la natura, la società e l’uomo stesso.
(pp. 18-19; 22-23; 25-27)

 

[…]
la formazione di William Smith avvenne in un volgere di anni straordinariamente vivaci e profondamente stimolanti. Si registravano continui progressi in quasi tutte le aree di applicazione della scienza e della filosofia, e così pure nel campo del mutamento sociale e in quello delle realizzazioni artistiche. Ma si esitava ancora ad affrontare certe questioni fondamentali: perché l’uomo si trovava dov’era? Chi l’aveva messo al mondo? A quale scopo? Quali erano le sue origini e il suo destino? Tali esitazioni avevano radici profonde: scaturivano,almeno in parte, dall’aperta riluttanza dell’uomo del diciottesimo secolo a riconoscere anche soltanto la necessità di porsi domande in proposito e di trovare le risposte. Indagare veramente a fondo nelle convinzioni basilari -il cuore e l’anima- della società del tempo, e di ogni altra società, sapeva senza dubbio di eresia. Anche quando il giovane William Smith cominciava a trarre vantaggio dal nuovo atteggiamento di curiosità manifestato dal mondo intorno a lui, l’idea che fosse stato Dio a creare l’uomo e l’universo in cui questi viveva -fino ad allora mai contraddetta da prove di qualche rilievo- era largamente diffusa. Le cose stavano così e basta. e non c’era altro da aggiungere.
Eppure un esiguo gruppetto di audaci intellettuali inclini al pensiero radicale -tra i quali Joseph Priestley, uno degli scopritori dell’ossigeno, ed Erasmo Darwin, nonno di Charles- cominciarono in quegli anni straordinari ad assumere posizioni più energiche e critiche nei confronti della saggezza tramandata dalla chiesa. Mentre Smith si avvicinava alla maturità, non erano solo pochi sofisticati cittadini a interrogarsi su certe questioni fondamentali, ma personaggi ben più numerosi e significativi. Il sospetto che Dio non avesse fatto proprio ciò che sosteneva il vescovo Ussher e on avesse impiegato il tempo da lui calcolato, cominciava a insinuarsi tra i seguaci della filosofia realista, i razionalisti, gli scienziati di impostazione radicale, abbastanza temerari da sfidare i dogmi e la legge, i preti e i giudici dei tribunali.
I quei primi tempi il numero delle domande superava di gran lunga quello delle risposte. Era un periodo segnato più dal disorientamento che dalle certezze. Se la maggior parte della gente credeva ancora che le Scritture potessero fornire spiegazioni adeguate ai quesiti sull’origine della terra e lo scopo dell’umanità, aumentavano anche le perplessità di fronte a tali argomenti. Una sensazione di perplessità riconosciuta sempre più di frequente  e percepita con la massima acutezza da scienziati e da ricercatori impegnati nell’osservazione delle leggi naturali della fisica e della chimica, da chi si dedicava a professioni inerenti il vapore o la lavorazione del ferro o la realizzazione di gallerie. Tra questi e altri conoscitori delle leggi della scienza appena formulate si registrava un modo nuovo di affrontare le questioni, e si insinuava il dubbio (e niente più del dubbio) che forse le vecchie certezze, fondate sulla cieca accettazione degli insegnamenti della chiesa, non fossero poi così salde.
ci si cominciò a porre così una sequela febbrile di domande: cos’era esattamente il mondo? Come avevano avuto origine la terra e i suoi abitanti? Andava considerato sacrilego affrontare tali questioni? Chiedere costituiva atto blasfemo? Il fulmine si sarebbe forse abbattuto su chiunque avesse osato mettere in discussione la verosimiglianza dei calcoli di James Ussher? E peste e piaghe avrebbero devastato gli organi vitali di chi avesse domandato ad alta voce quale storia si celasse sepolta tra le pietre sotto i nostri piedi?
Tutti questi interrogativi tendevano a raggrupparsi attorno a un campo di studi nuovo e affascinante, dalla struttura ancora incerta. Forse la geologia (La parola, nel suo significato moderno, viene usata per la prima volta in inglese nel 1735, sebbene compaia solo di rado, e probabilmente non la si possa considerare latrice di un  significato compiuyo e autonomo prima del 1795. Nella terza edizione dell’Enciclopedia Britannica del 1797 non si faceva menzione della geologia; ma la quarta, pubblicata nel 1810, conteneva una lunga voce sull’argomento: la disciplina si era dunque definitivamente affermata.), la scienza appena nata e ancora fragile, fondata per indagare la natura del globo terrestre e prima e dopo i diluvio universale, e le ricerche geologiche potevano fornire una risposta? Si trattava di una disciplina che in fin dei conti sembrava per lo meno in grado, se fosse riuscita liberarsi di dogmi religiosi, di formulare e porre problemi la cui soluzione pareva ormai assolutamente necessaria e urgente.
A tempo della nascita di Smith, la geologia e i pochi individui che si definivano geologi non si sentivano investiti del compito di indagare più a fondo ed esplorare più compiutamente questioni ancora considerate appartenenti all’ambito della fede. Eppure alcuni scienziati cominciavano a porsi domande di questo genere: se la geologia doveva davvero rispettare certi limiti, se bisognava costringerla entro i confini della fede senza permetterle di sfidarla neppure un poco, valeva ancora la pena di considerarla una scienza vera e propria?
Ma forse sarebbe riuscita a riabilitarsi. Forse la geologia, applicata con coraggio, rappresentava l’unica disciplina scientifica in grado di aiutare a trovare le risposte alle domande fondamentali, ancora inespresse, che tormentavano quei primi ricercatori, incerti e nervosi. Forse la geologia avrebbe fornito una chiave a chi, incalzato dallo spirito illuminato e curioso dei tempi, cominciava finalmente a picchiettare con la punta delle dita la solida porta delle certezze ricevute.
Molti europei si trovavano in Inghilterra negli ultimi decenni del Settecento dichiararono di aver visto un paese nell’atto di ridestarsi dal sonno. Molti inglesi la pensavano nello stesso modo. Forse, si domandavano ad alta voce, tormentando ed esplorando e svegliando dal suo stesso sonno la terra, indagandone finalmente l’esatta natura, scoprendo come si era formata, sarebbe stato possibile trovare qualche risposta capace di aprire uno spiraglio sul nucleo più profondo della conoscenza.
(pp. 33-36)strata_england_wales_1815[…]
Ma l’idea di pubblicare qualcosa continuava a tormentarlo con la stessa insistenza di un mal di denti. Poteva trattarsi di un libro, ma anche di un progetto assai più grandioso, assai più ambizioso: forse un’opera che richiedesse un minor dispendio di energia intellettuale, sforzi meno cerebrali, e fosse magari la diretta conseguenza del suo vagabondare, raccogliere, osservare, lavorare sul campo. Forse, se non a un libro, poteva e doveva pensare a una carta geografica, una carta meravigliosa, imponente, onnicomprensiva.
E così, per una serie di circostanze casuali, fu concepito formalmente il progetto della “grande mappa”. L’idea lo solleticava da anni, fin dal primo tentativo giovanile di Bath. Le realizzazioni di quei primi tempi erano abbastanza rudimentali, limitate a località ben delimitate o, se anche estese a territori più vasti, appena abbozzate e imprecise, così da risultare piuttosto semplici da portare a termine. Ma adesso Smith cominciò a convincersi che una mappa più elaborata e grandiosa avrebbe coronato i suoi studi in maniera adeguata: una mappa dell’intero paese, ricchissima di particolari e dotata di un’impeccabile precisione. Un simile risultato, pensò, avrebbe saputo rappresentare le sue peculiari capacità assai meglio di qualsiasi libro.
Per realizzare il progetto ci sarebbe voluto parecchio tempo e molto denaro. E perciò si dedicò a raccogliere fondi e a cercare appoggi per la nuova impresa, e contemporaneamente intensificò ancora di più il suo girovagare. Viaggiava per lavoro, impegnato a bonificare, misurare, eseguire disegni tecnici, e intanto raccoglieva una serie sempre maggiore di informazioni. […]
Presto tutte queste informazioni lo avrebbero messo in grado di elaborare uno schema mentale, sempre più ricco di particolari, di quanto aveva  ormai deciso di realizzare: un ritratto definitivo della disposizione estremamente complessa degli strati, la rappresentazione grafica  del sottosuolo del suo paese.
(pp. 164-165)

[…]
La carta fu stampata in quattrocento copie numerate e firmate. Ne rimangono in circolazione circa quaranta. I collezionisti di oggi le considerano inestimabili. Vengono richieste enormi somme di denaro per i pochi esemplari presenti sul mercato, conosciutissimi nel rarefatto ambiente degli antiquari specializzati. A Londra ne esistono varie copie. Una delle più belle è quella appesa dietro la tenda azzurra sopra lo scalone principale dlla Geologycal Society a Burlington House, Piccadilly. […] sebbene la mappa destinata a cambiare il mondo fosse stata infine pubblicata, sebbene i grandi e i sapienti del regno -compreso il Primo Ministro in persona- l’avessero vista e giudicata magnifica, il personaggio che l’aveva creata stava per affrontare il periodo più travagliato di tutta la sua vita. E la colpa di ciò ricadeva quasi completamente su individui che si professavano geologi.
[…]
(p. 219)

http://www.treccani.it/enciclopedia/geologia/http://www.treccani.it/enciclopedia/geologia/

http://www.treccani.it/enciclopedia/creazionismo/

http://www.treccani.it/enciclopedia/evoluzionismo/

https://it.wikipedia.org/wiki/Evoluzionismo_(scienze_etno-antropologiche)

https://it.wikipedia.org/wiki/Evoluzione

https://it.wikipedia.org/wiki/Creazionismo

https://it.wikipedia.org/wiki/Creazione_(teologia)

https://it.wikipedia.org/wiki/William_Smith_(geologo)

https://it.wikipedia.org/wiki/Dibattito_tra_creazionismo_ed_evoluzionismo

https://www.repubblica.it/esteri/2014/10/27/news/papa_francesco_big_bang_non_contraddice_creazionismo-99118815/

https://www.huffingtonpost.it/2014/10/27/papa-francesco-big-bang_n_6053194.html

http://pikaia.eu/wp-content/uploads/2014/10/4344.pdf

Ratzinger disse “no” al creazionismo: «l’evoluzione è una conquista della scienza»

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37. la mappa di William Smith: un documento destinato a mutare il volto della scienza -addirittura a dare origine a una scienza del tutto nuova- e a mettere in moto una serie di studi che alla fine avrebbero condotto alle ricerche di Charles Darwin, alla nascita della teoria evoluzionistica e al sorgere di un punto di vista completamente innovativo da cui l’umanità poté guardare il suo pianeta e l’universoultima modifica: 2018-11-29T22:31:37+01:00da mara.alunni