47. chi può dire quando finisce il mare

IMPARARE A SALUTARE

QUI
Il cielo è grigio e bianco, colmo di pioggia, e se pioverà lo deciderà il lieve sussurro delle cose che cambiano.Intanto nulla scende dalle nuvole e la terra è secca e soffre. Le piante iniziano a volgere le foglie verso il basso, come accade in estate, ma è inverno, ed è freddo.
Il cielo sembra di cartapesta, ha un impercettibile mutare di toni dal bianco al grigio chiaro, dal grigio chiaro al bianco, in un’incertezza che diventa certezza dell’aridità invernale, nonostante questo sia un posto di mare.
Ella guarda al cielo attraverso i vetri di una finestra su cui si è addensato un leggero vapore che, alla luce del tramonto, sembra una tenda di perline lucenti. Piccole gocce si staccano dalla massa lieve e trasparente e tracciano minuscole strade liquide sulla superficie traslucida.
Dell’acqua bolle in una pentola, e il suo borbottio sommesso è l’unico suono che si diffonde nella stanza.
Il padre di Ella è morto quindici giorni fa e ora riposa sotto un cumulo di terra. “Straniera”. Ella dice “Terra straniera”.
E’ stata l’acqua a portarlo via, lui come tanti altri; ma il suo corpo è stato tratto a riva e lì è rimasto alcune ore sotto un telo, e lei è rimasta accanto a lui. E il telo si muoveva al tocco del vento, mentre suo padre rimaneva per sempre immobile, affondato nella sabbia muta.
Adesso è sepolto nel cimitero del piccolo paese di mare; una donna, Ada, ha ceduto il suo posto allo sconosciuto, ha detto che ne comprerà un altro per sé.
Ada vive nella prima casa che si incontra venendo dalla spiaggia, e ha visto Ella, seduta vicino al corpo di suo padre, aggiustare il telo bianco ogni volta che si muoveva al tocco del vento. L’ha vista ricoprire così tante volte quel corpo amato col quale aveva viaggiato la vita e l’ultimo cammino. Così tante volte quella ragazzina ha aggiustato il telo bianco che Ada ne ha avuto pena e le ha offerto quello che poteva, una tomba e la sua casa.
In due hanno lavato il corpo per l’una conosciuto, per l’altra straniero; perché l’acqua di mare che lo aveva inghiottito non è acqua con cui camminare verso l’Eterno, così ha detto Ada. In due hanno seguito la cassa di legno chiaro, semplice, muta anch’essa come ad Ella sembrano adesso mute tutte le cose.
Ada ha detto ad Ella di non preoccuparsi, che può restare nella sua casa finché i documenti saranno a posto.
“Mi conoscono, sanno che possono fidarsi.”
E adesso Ella è qui, ma non sa dire dove sia questo “qui”, e cosa sia, e se ci sia davvero un “qui” da dare come punto di riferimento a qualcuno, così, tanto per far capire che è da qualche parte, viva.
Non le sa dire bene le cose, Ella; non sa nemmeno spiegare l’origine del suo nome, straniero nel suo Paese e, invece, noto nel Paese straniero dove si trova adesso. Ada ha infatti compreso bene il suo nome, le ha detto che il suo nome è una parola nella lingua di questo Paese in cui è approdata, e che però è una parola che non viene usata da tempo, e che vuol dire “lei”, è come dire “donna”. Ada conosce la lingua di Ella, è stata diversi anni in giro per i Paesi del Mediterraneo a svolgere il suo lavoro di giornalista e poi si è fermata in questo posto di mare, per scrivere un libro, ma per fermarsi per sempre.
Con le sue lunghe dita Ella traccia il suo nome sul vapore, un dito per ogni lettera, e decine di gocce si muovono veloci sul vetro, verso il basso, e il nome dopo un po’ scompare nell’acqua.

LI’
Da qualche parte, lontano, c’è una donna anziana. Ella non sa in quale direzione guardare per poterla immaginare meglio, ma guarda girando un po’ su se stessa, muovendo gli occhi di qua e di là, e ascoltando il suo cuore.
Da qualche parte, lontano, c’è sua nonna, che l’ha cresciuta dopo la morte di sua madre. Un’incursione di militari aveva messo a fuoco il suo quartiere e la sua mamma era rimasta sotto le macerie. Ella, il padre e la nonna si erano salvati perché erano fuori dal paese. Ella aveva pochi mesi, non ricorda sua madre; quando la pensa c’è uno spazio bianco nella sua mente che, come il cielo di oggi promette pioggia, così lui promette suoni, risate, un volto, ma tutto rimane inespresso, e qualcosa è secco nel cuore di Ella. Per ricordare sua madre, pronuncia il proprio nome in ogni modo possibile, vicino a tutte le cose e alle persone che incontra; il nome che la sua mamma ha pensato per lei, così strano per tutti, e chissà perché lo aveva pensato così. Quando lo pronuncia, le sembra di camminare insieme a lei, le mani unite, come non ricorda di aver fatto, e non l’ha fatto mai.
Sono state le mani di sua nonna a prenderla, a sorreggerla nei primi passi, ad afferrarla se stava per cadere, ad accarezzarla.
Sua nonna che le ha detto “Vai tu” quando hanno saputo che c’erano solo due posti su quel barcone. “Andate voi” ha detto sua nonna Abdar.
E adesso è lì, lontana, a sgranare il suo rosario fatto di piccole rose di legno, con il crocifisso e le maglie d’argento, un rosario prezioso, ricordo di famiglia. La nonna è nata in una famiglia ricca, da poco convertitasi al cristianesimo, tutti i componenti entusiasti della nuova fede che li faceva sentire vicini all’Occidente, all’Europa, ai Paesi che immaginavano evoluti e moderni.
Ma poi le guerre, e molti morti in famiglia, e la nonna era rimasta con la madre di Ella ancora piccola, solo loro due, a volersi riscattare dal dolore, da tutto; a mettere nelle preghiere ancora nuove ogni speranza, perché si può ancora sperare quando si ha un dio nuovo da cui tutto, tutto proviene.
Alcuni anni di tranquillità, la madre di Ella cresce, si sposa, nasce Ella. E di nuovo le guerre, i soldati, i colpi delle armi, i morti. La madre di Ella se ne va, e la nonna abbraccia la piccola, le dice: “Andiamo, andiamo insieme, ci sono io.”
E poi è venuto quel momento che non è la morte, a cui il suo cuore la sua pelle la sua resistenza erano abituati; quel momento in cui la nonna le ha detto “Vai!”; e ha detto “Andate. Io rimango.” E sono troppi i modi per lasciarsi, e pochi quelli per rimanere insieme.
“Andate”, perché lì non si vive più e non ci sono altri modi per dirlo che partire, cercare di salvarsi; perché la vita è la vita, e che stupenda vita nasce dalle crepe a cui si è sopravvissuti.
Così suo padre e lei hanno lasciato lì la nonna, nella sua casa piena di piccoli e grandi ricordi; la nonna bella e dolce che le raccontava le più belle favole dell’Oriente vicino al loro fuoco acceso nella notte, ad allontanare i brutti sogni con le parole magiche delle storie.
Ella ha ascoltato attenta tutte le storie della nonna e quelle della scuola e delle suore e di suo padre. Ha ascoltato tanto, ma parla poco, non sa dire bene le cose, o non vuole, chissà. Nel suo cuore è sicura che vorrebbe le parole di sua madre, le mancano e le aspetta, e allora guarda sempre il cielo per vedere se arrivano da lì. Perché, comunque, se arrivasse a sentire le parole di sua madre, sa che sarebbe un miracolo e in un miracolo le parole di sua madre potrebbero certamente scendere dal cielo, dalle foglie degli alberi, o salire dal mare e dalla terra; le cose mai viste e mai ascoltate possono avere ogni forma, arrivano nuove.

CHI
Risentire quella voce è un pezzetto che manca ad Ella; la voce che ha sentito, ma che non ricorda. Stare vicina al corpo della sua mamma è un altro pezzetto che le manca; il corpo che ha toccato, ma che non ricorda.
Ada parla, racconta di sé, per far sentire Ella tranquilla, protetta, affidata. Ada le dice che ha una figlia, si chiama Maria, vive in America, ma non si telefonano, non si scrivono da anni.
“Maria aveva ali grandi che l’hanno portata lontano, ma non erano sue. Maria era come Icaro, lo sai chi è Icaro?” chiede a Ella, che risponde no. Allora Maria racconta di Icaro e delle sue ali posticce, del suo desiderio di volare verso il sole; e poi di Dedalo e del labirinto. Chiede a Ella: “Ti piacciono queste storie?” Ella risponde di sì.
Sono sedute intorno al tavolo della cucina e mangiano una minestra calda. C’è ancora del vapore sui vetri della finestra e adesso che è notte sembra una tenda di tulle leggero.
“Stai tranquilla, cara” dice Ada a Ella. “Al Centro di accoglienza si stanno occupando di te. Non è la prima volta che ospito giovani donne o ragazzine come te. Vedrai, andrà tutto bene, ci sono persone serie qui. Domani parlerai con una dottoressa, è brava, la conosco da tempo. Si chiama Elena, era venuta qui per un periodo di volontariato e poi si è fermata. A volte mangiamo insieme, e allora viene anche un medico, un chirurgo, lui lavora per un’organizzazione umanitaria e si chiama Lucio. Ha 50 anni, è molto bravo anche lui. E’ lui che si è occupato di tuo padre, per questo noi abbiamo potuto lavare il suo corpo, Lucio pensa che queste cose sono importanti. Dice che bisogna imparare a salutarsi. Dice che buongiorno, ciao, buonanotte, come stai, addio, arrivederci e il silenzio non sono cose da niente.”
Poi Ada imita un po’ il medico quando afferma che: “Sono cose importanti, sono cose che curano. E se lo dico io… ”
E aggiunge:   “E vedessi come sorride quando dice così! Io penso che abbia ragione. E tu, Ella? Che pensi?”
“Sì, ha ragione” dice Ella. “Io ho imparato a salutare, per fortuna.” E poi tace. E forse ha sonno e forse pensa e forse spera; ha gli occhi lucidi, colmi di lacrime.
Ada fa silenzio e spazio a quelle lacrime. Le prime che vede brillare sulle guance di Ella.
Fuori scende una pioggia leggera dal cielo scuro.
Si sente il mare, è tranquillo.
Un’onda dietro un’altra, chi può dire quando finisce il mare.

(2015)
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Mappamondo Catalano Estense, 1450-1560 ca. Modena, 
Biblioteca Estense Universitaria

47. chi può dire quando finisce il mareultima modifica: 2019-01-08T13:35:49+01:00da mara.alunni

2 pensieri riguardo “47. chi può dire quando finisce il mare”

  1. Quanta devastante sofferenza produce la bestialità umana. Eppure questo è il gioco dell’umanità, una costante plurimillenaria.
    Mi impressiona sempre l’evidenza che l’atrocità del dolore, più che la leggerezza del piacere, è il canale privilegiato verso l’emozione, l’empatia, il senso di fratellanza, la consapevolezza simultanea della nostra vacuità e della nostra importanza.
    Una carezza per l’anima questo tuo scritto.
    Un saluto.

    1. Anni di narrazioni -romanzi racconti film telefilm- in cui la tensione tra protagonista e antagonista e/o tra personaggi minori viene risolta con la soppressione, nella maggioranza dei casi dell’antagonista. Secoli di creazioni di capri espiatori. Secoli di narrazioni storiche fondate su confini guerre fratricidi soppressioni di popoli. Secoli in cui le nostre emozioni sono state mosse dal negativo, con una incredibile trasformazione del negativo in positivo: certe caratteristiche comportamentali sono state fatte diventare tipiche di quelli che chiamiamo leader. Ma adesso siamo in molti a far muovere il cuore a partire dall’empatia, dal senso di fratellanza, dalla leggerezza, dalla gentilezza; unendo ciò che è stato diviso e reso opposto così da scoprire la nostra e l’altrui complessità, che è sinonimo di ricchezza.
      Un caro saluto anche a te.
      E’ sempre un immenso piacere per me averti qui.

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