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77. figure di donna 1, Amato che Ti fai amare anche se non esisti


  Sono lontana mille miglia dal Tuo Incanto, adesso. Tu, che occupavi i respiri gli occhi le ossa secolari gli agili muscoli le parole di innamorata, Tu te ne sei andato, lasciando un vuoto che sento forte dalla parte del cuore, lo spazio più intimo che Tu avevi in me, e che a me sembrava di averTi dato senza riserve. Io abitata mentre Ti abitavo, Tu abitato mentre mi abitavi.Tu eri per me la certezza che noi umani, da imberbi pronunciando quella misteriosa parola che è 'amore', descrivessimo qualcosa che può esistere. Tu c’eri. Poi improvvisamente il vuoto, il nulla. Passai anni a pregarTi di tornare, a dirTi di smetterla con quello scherzo della Tua assenza, ma non sei più tornato. Mi arresi, ad un certo punto, così come cede la vita di un insetto sotto il piede che preme per ucciderlo. Esanime, fu per me esodo da quel momento e io, che amavo sentirmi straniera in ogni luogo-quel tanto che basta per potere osservare anche "da fuori"- ne feci l’esperienza più tragica: non c’erano più Paesi da abitare, Nazioni dove espatriare, non c’era più nulla che fosse luogo dove stare. Solo esodo, solo cammino, solo Terra: senza confini entro cui mettermi sicura, senza una nuova fede, un nuovo Tu che mi riempisse quel vuoto vicino al cuore, che desse aria ai respiri, che raddrizzasse le ossa che tonificasse i muscoli, che mi permettesse di riutilizzare le parole dell’amore. Niente. Continuavo, però, a pensarTi sempre, eri stato troppo a lungo parte di me; a pensarTi in ogni modo, anche trovandoTi nelle nuove cose che studiavo e che davano nuova luce a quelle riflessioni su di Te e con Te che avevano sempre accompagnato la mia vita: Ti riscoprivo nuovo in nuovi racconti, Ti incontravo più vero dentro narrazioni che erano molto lontane da Te, che non parlavano di Te. Ma non sei tornato. Ti pensavo sempre, muta, senza dirTi più nulla: una goccia d’acqua dentro una giornata di pioggia, nessuno mi sapeva, nessuno mi vuole sapere. Ti parlavo ancora, e non osavo nemmeno immaginare che Tu parlassi a me, ma Ti ascoltavo nelle Tue opere, nelle Tue persone di cui avevi riempito il mondo. Riflettevo per sapere come camminare di nuovo con Te, verso Te, riflettevo sulle Tue parole, su chi Ti aveva raccontato. C’erano tanti momenti delle "Tue" scritture che erano da sempre i più preziosi per me, che più ispiravano i miei passi. La Creazione, per esempio, o il Diluvio, o l’episodio della Torre di Babele, o la moglie di Lot, e poi l’Annunciazione, la Natività e tutti gli altri che sai, che sapevi, tutti quelli attraverso i quali io ero certa che sarei arrivata a “svegliare l’aurora” , insieme a Te, il Pastore presso cui non mancavo di nulla, su pascoli erbosi mi facevi riposare, ad acque chiare mi conducevi, in ogni valle oscura Tu eri al mio fianco. E c’era, tra gli altri, quell’episodio di Emmaus, di quei due discepoli che non Ti avevano riconosciuto: io non capivo, quando ero piccola, come non si possa riconoscere chi hai visto fino a qualche giorno prima; poi, da ragazza fervorosa di fede e impegnata su più fronti per costruire un mondo migliore, cominciai invece a chiedermi come potesse essere un corpo risorto, perché immaginai, -lo ricordi-, che forse il motivo era quello, cioè che un corpo risorto è, deve essere speciale. Lo chiesi, lo chiedevo, mi risposero, mi rispondevano che, naturalmente, era spirito, era un corpo spirituale. Non capivo, non mi bastava. Studiai, pensai, chiesi ancora. Poi riuscii a immaginare un corpo risorto: pensai che è un corpo che assomma in sé e ha risolto tutti gli opposti, tutte le dicotomie di ogni genere; è un corpo che vibra, pensai, che non è chiuso in una sola forma. Sul multiforme corpo risorto lessi poi qualcosa su alcuni scritti non ufficiali e riconosciuti da coloro che hanno deciso che sono i soli a poter parlare di Te, di Te che a tutti e per tutti Ti sei dato. EccoTi, allora, amato che se anche non esisTi Ti fai amare, Tu Sei e Diventi e questo è forse uno dei Tuoi grandi insegnamenti, qualcosa che forse non abbiamo ancora compreso, qualcosa che forse anche noi potremmo fare, e anch’io, tua sorella nel Padre e nella Madre che forse esistono, al di fuori di quel mio spazio adesso vuoto di Te vicino al mio cuore. A Emmaus Ti riconobbero da un gesto, dallo spezzare il pane; allora forse erano più intimi di quanto le prime righe di quel racconto lasciano intendere e per questo, per me, era ancora più strano che non Ti riconoscessero al solo vederTi. C'era in Te qualcosa di potente forte gentile inusuale e nei loro occhi qualcosa di debole fragile arrogante abitudinario: due mondi che non potevano incontrarsi, ma per il cui incontro Tu avevi dato tutte le indicazioni possibili, un po’ come diventare quel terreno fertile della parabola del Buon Seminatore, come trasformarsi da roccia e da rovo in terra che fa crescere ogni seme. Ti amavo sempre più, anche nel mio esodo e smarrimento quotidiano, scoprendoTi più chiaro più intuibile attraverso altri testi ed esperienze che non erano quelli canonici, quelle giuste. Ti amavo di un amore che restava muto, che restava sulla strada di Emmaus perché Ti amavo, sì sempre, ma senza vederTi, pur riconoscendoTi: il contrario di quello che ha scritto Agostino di Ippona. Io Ti amo anche in questo mio esodo, e Ti vedo spezzare il pane e come allora, quando ero una ragazza che voleva dedicarTi la vita, imploro “resta con noi perché si fa sera”. Quante volte, quante volte Ti dissi “resta con noi” in quegli anni dopo che Te ne eri andato via dai miei respiri, dalle mie ossa dai miei muscoli, quante volte “resta con me perché si fa sera” fu prima il grido poi il sussurro poi le mani protese poi il solo sguardo ammutolito. Vorrei che Tu tornassi, non il tu di cui ero illusa, ma il Tu che Sei e Diventi in questo Tuo Corpo Risorto da cui non voglio prove per sapere che sei Tu, perché so che lo sei. E così potrei tornare anch’io, non la me che ero illusa di essere , ma quella che piano piano si è svelata e disvelata a me stessa, quella me del Tuo silenzio e della Tua attuale presenzaassenza, del Tu che nulla mi dice, ma che fa, spezza il pane, lo offre, lo mangia. Insieme. Insieme a me -vorrei- e immagino che mi vedi e mi riconosci e mi abbracci, finalmente di nuovo incontrati Tu e io, in un Esodo senza smarrimenti, continuo e fertile, attraverso un cammino su terre che mai sono sconosciute e mai sono patria. Ora so che comunque Ti ho dedicato la vita, in ogni terra camminata seminata innaffiata calpestata senza rispetto abbandonata; comunque Ti ho dedicato la vita, nella vita, sugli altari del lavoro quotidiano, del pane guadagnato con onestà, nella ricerca di un amore terreno che non ho trovato, nella dignità tenuta anche a costo della sofferenza e della solitudine. Ti aspetto, si fa sera, si fa giorno e vorrei fosse il progredire dei giorni della Creazione. Aspetto di risentire il mio nome pronunciato da Te, da Te essere vista, da Te essere riconosciuta, da Te essere offerta insieme a Te. Ti aspetto, per abitarci ancora reciprocamente in ogni dimensione. Per riconoscerci nell'ardere del nostro cuore mentre conversiamo lungo la via, Tu e io; per spezzare insieme il pane, per fare insieme tutte le cose. E aspetto che Tu finalmente torni a chiedermi di me e io a Te di Te, io a voler sapere della Tua Vita e Tu a voler sapere della mia, Tu che già la conosci e non Ti stanchi mai di vederLa ascoltarLa onorarLa .