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167. a mio padre Enzo (Elzio)


LA MORTE CI RICORDA CHE E' URGENTE AMARE

In uno dei primi giorni di questo gennaio 2020 mio padre è morto all'età di 94 anni 7 mesi 17 giorni. La roccia a cui mi sono poggiata anche senza esserne cosciente. La grande quercia sotto i cui rami frondosi ho trovato riparo anche senza chiederlo. Non c'è più. Se ne è andato dopo due anni di malattia in costante peggioramento, con il grave passaggio del ricovero del luglio scorso e il definitivo ultimo tratto dei tre lunghi ricoveri da novembre fino al giorno della sua morte. Tutti parlano di un percorso e una morte abbracciati da lui come fosse un santo. Noi famigliari vedemmo un forte cambiamento che il mio babbo fece intorno ai cinquant'anni e di cui progressivamente conoscemmo gli effetti in tutti gli anni che vennero dopo quel momento. Ma probabilmente non abbiamo visto fino in fondo il poderoso e profondo cammino della sua anima, non prima del manifestarsi della sua malattia. Da quel momento abbiamo conosciuto un uomo inaspettato, un continuo venire al mondo della sua bellezza della sua forza e della sua fede. A casa mia non abbiamo l'abitudine di metterci in mostra e lodarci, ma lo scrivo perché altri hanno detto questo di lui: le numerose persone che gli hanno fatto visita nella camera mortuaria; le numerose  persone venute al funerale; le numerose persone che hanno telefonato o che ci sono venute a trovare; il sacerdote che al funerale, nell'omelia, tra le altre cose belle raccontate su mio padre, ha detto "prego il Signore di fare una morte come l'ha fatta Enzo" e ha concluso l'omelia dicendo "è un onore per un parroco avere un parrocchiano come Enzo". Ed è stata incredibile la vicinanza di così tante persone, per un uomo silenzioso, mite, sensibile, non famoso, appartato, discreto, e di 95 anni (che significa che non aveva più coetanei in vita per ricordarlo). Noi famigliari eravamo tutti con lui quando se ne è andato via da questo mondo, vicini a volergli bene fino all'ultimo debole respiro, e se ne è andato lasciando, oltre il grande vuoto e il dolore, lo stupore e la meraviglia che una vita buona può regalare al mondo. Io lo ricordo (anche) così. @ Due giorni prima che morisse, ero appena arrivata in ospedale per assisterlo. Mi ha visto e, col suo filo di voce affaticata, mi ha detto "prendimi", allungando le braccia in avanti per farsi cambiare posizione. Io gli ho risposto "non così, babbo, ché ti faccio male; ti prendo per le spalle". E lui "no, ché così ti fai male tu". @Era un Natale di qualche anno fa, ero sola. Vennero i miei genitori  a pranzo da me, eravamo soltanto noi tre, mia sorella era dai suoceri. Dopo aver mangiato, mia madre volle tornare a casa, cercando di convincere il babbo di andare anche lui; ma lui fu irremovibile, disse che sarebbe rimasto a farmi compagnia. E così fu. Accompagnai mia madre a casa sua, tornai alla mia e trascorsi il pomeriggio e la sera e la prima notte con il mio meraviglioso babbo, giocando, parlando poco e del più e del meno, senza retorica: lui era lì, presente, di quella presenza che è Esser-Ci  e che è ben oltre la presenza fisica. @ E poi ricordo lo sguardo felice e il gesto che fece e le parole che disse quando entrò in casa mia due giorni prima del mio matrimonio, vedendola  pronta per accogliere quel nuovo cammino. Purtroppo quello sguardo e quel gesto li vidi solo io e solo io sentii quell'esortazione vitale, perché, se fosse stato presente, anche il mio "futuro sposo" avrebbe trovato in quello sguardo e in quelle parole tutti i motivi per diventare un uomo e un marito. Ma io c'ero, e quello sguardo e quel gesto e quelle parole mi accompagnano, da allora, ogni giorno. Ho preso di lui una camicia estiva, una sciarpa, un gilet, una calda camicia di lana, non come ricordo-feticcio, bensì per indossarli come ho sempre amato fare con cose delle persone che amo, e cioè di mio padre di mia madre di mia sorella e dell'uomo che avevo sposato. Mi piace sentirmi avvolta come in un abbraccio amoroso. Tra i tanti insegnamenti che mio padre mi lascia, ricordo volentieri questi: @ si può cambiare, lui l'ha fatto in modo grandissimo @ la precisione la cura l'onestà la generosità con cui ha svolto la sua attività  di muratore, al punto che anche dopo tanti anni che aveva fatto un lavoro, le persone lo fermavano per ringraziarlo; quando giro per il mio paese o nei dintorni o a Orvieto sono circondata da case che lui ha costruito o restaurato, ed è per me come stare dentro un grande abbraccio @ la responsabilità verso la sua famiglia Ho scelto per lui il versetto 18 del Salmo 36: "Conosce il Signore la vita dei buoni, la loro eredità durerà per sempre". E' stato un uomo-seme, un uomo-sorgente. E' mio padre.