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185. per un nuovo mondo: antidoti al "cosare" le persone


Si cosa una persona in molti modi. Userò 'cosifica' da 'cosificare' al posto di 'cosa' da 'cosare' per una certa maggior dimestichezza che sembra darci cosifica, ma io, comunque, preferisco il mio 'cosare' :-) Quindi, si cosifica una persona in molti modi. Una, per esempio, è proprio in ambito lavorativo (Marx e figli direbbero 'reificare'); oggi è la Festa del Lavoro, nata da una tragica cosificazione dei lavoratori che volevano abbassare a 8 il numero delle ore lavorative giornaliere. https://www.ilpost.it/2020/05/01/1-maggio-festa-lavoro-storia/ In ambito lavorativo si cosificano ancora le persone, tanto, in tutte le parti del mondo e nei modi più diversificati. Un antidoto? Chiedersi l'origine e il fine e la fine del nostro lavoro: dove comincia? in base a quali criteri e valori? come si realizza ciò che passa per le nostre mani? noi come lo realizziamo, quando tocca a noi? qual è l'esito, la fine del nostro lavoro? in che mani va? cosa fa in quelle vite in cui va? Un altro ambito in cui si cosificano le persone è quello famigliare. I genitori verso i figli e le figlie: l* vogliono a loro immagine e somiglianza, profondendosi in una certa confusione con il Creatore; l* annullano seguendo inconsci -ma non meno dannosi- percorsi che nulla hanno a che fare con la genitorialità, intesa secondo le più amorevoli e autorevoli definizioni finora maturate. Figli e figlie verso i genitori: li vogliono al pari di un Dio creatore per poi  pretendere che non lo siano, accarezzando l'idea di una disubbidienza che superi per portata quella dei Primi Due nel giardino Terrestre. Un antidoto? Prendere qualche foto e guardare - i genitori guardano i figlie e le figlie, e quest* i genitori-, guardare bene, guardare distratti, guardare intensamente, l'importante guardare senza i filtri della conoscenza, o meglio senza i filtri dell'interpretazione che scambiamo per conoscenza. Cosa vediamo? Chi vediamo? Ma ... quella espressione è davvero la sua? non l'avevo mai vista sul suo viso, nei suoi occhi! ... :-) Un altro ambito in cui si cosificano le persone è quello delle relazioni sociali (a vario titolo) e quello pesudo-amicale. I modi sono i più svariati. Vanno dall'usa-e-getta ormai così di moda in ogni campo, al tradimento, all'invidia, all'odio, al copiare, al denigrare. Un antidoto? Beh, farsi delle domande aiuta sempre. Purtroppo chi si trova a navigare in acque emotive e sentimentali tanto torbide non eccelle (non eccelliamo, eh, mica parlo dal pulpito!) in splendore e consapevolezza. Possono esserci degli aiuti. Dalle splendide domande dell'esame di coscienza di stampo cattolico, alle domande di più specifica matrice psicologica; dagli insegnamenti zen alla lettura-rilettura-rilettura del Tao, alle domande sparse nella Bibbia tramite i suoi vari personaggi ... Necessita all'inizio soltanto una certa disponibilità a farsi delle domande, ecco, sembra una cosa da poco, ma non lo è ... speriamo bene! :-) Un altro ambito in cui si cosificano le persone è quello definito-percepito amoroso-di-coppia, ma che amoroso non è, altrimenti non si cosificherebbero le persone. Lo scenario include quanto detto sopra per le pseudo-amicizie, con l'aggiunta di altre amene sottigliezze particolarmente comprensibili in un contesto propriamente psichiatrico. Ci sono quell* che arrivano nelle vite altrui per farsi una passeggiata, vedere come va, illudere, parlare d'amore senza pensarlo minimamente, mentire per arrivare ai loro scopi. E poi ci sono, dall'altra parte, quell* che ci credono  ... e sono guai, dolori, vite interrotte, annullate, disperazioni. Ho un ricordo personale, per alleggerire con un sorriso un argomento che, certo, non va alleggerito, ma a cui trovai una specie di risposta in una strepitosa vignetta dei Peanuts del mitico Schulz. Ricordo personale. Ho un'educazione cattolica e ho studiato in un istituto di suore, la religione e i suoi termini caratterizzanti erano le parole della mia quotidianità, l'espressione verbale di concetti radicati e praticati. Avevo anche  dubbi e confusioni a cui trovavo risposte tra sacerdoti, suore, frati, monaci, catechisti, ritiri spirituali, gite performanti presso santuari famosi. In quest'ambito, quale termine più diffuso-usato- meditato- pronunciato-reso-carne di quello di 'amore' e delle sue varianti-personificazioni 'amante' e 'amato'? E quale altro termine poteva circolare intensamente se non 'libertà', con il suo postulato-corollario di 'scelta'? E così, in un intreccio teologico-mistico che negli anni dell'adolescenza si arricchì anche del 'carnale' - non solo in me, in tutto il gruppo :-) - provocando una certa confusione su quale posizione mettersi -l'amato? l'amante? e come scegliere? l'amore di certo! :-) -; e sentendomi ripetere che l'amante lascia libero l'amato perché solo così ama -e quindi "niente reciprocità, non ci si deve aspettare niente in cambio, ragazz*": a noi che ormonizzavamo di baci e abbracci, dove la reciprocità è tra i fondamentali :-) -, un giorno non ce la feci più e, timidamente, chiesi al parroco se per caso non si poteva considerare che amato e amante potessero configurarsi in una stessa persona e se, per favore, poteva aiutarmi a sciogliere questo dicotomico enigma amoroso: amante e amato non sono due atti-momenti della stessa persona? Così come mi viene detto e spiegato colgo una dicotomia che non risolvo, aggiunsi. E, proseguii, in più, mi provoca una certa antipatia per questo 'amato' che se ne va per i fatti suoi e fa quello che vuole, mentre l'amante lascia fare-andare (in una posa fisica che io immaginavo tra l'aulico e l'ottocentesco, una specie di statua con un fazzoletto in mano, a sventolarlo per dire addio a questo amato sbarazzino che era autorizzato ad andare dovunque). La risposta religiosa la possiamo trovare in Sant'Agostino nel suo 'De Trinitate', ma lì appunto si parla di Dio. La risposta per amore amante amato più umani la trovo ancora più complicata del mistero trinitario, specialmente se tolgo la reciprocità dinamica che invece nel mistero trinitario deve per forza sussistere tra le tre Persone. Ma no, mi si diceva, 'dobbiamo' amare senza aspettarci nulla in cambio, nemmeno dal compagno o dalla compagna; però contemporaneamente mi si diceva  che 'dobbiamo' progettare il futuro di coppia, 'dobbiamo' avere la responsabilità dell'altro, e chi lo diceva - che si identificava con l'amato praticamente sempre- non era certo scevr* da progettualità e attesa di un contraccambio, non fosse stato altro che proprio quella libertà, proprio quel dare da parte dell'amante senza aspettarsi nulla in cambio. Dico così, almeno per dare una parvenza di possesso di pensiero logico a quello snaturato dell'amato :-) Insomma, l'amante non deve aspettarsi nulla, mentre l'amato deve aspettarsi la libertà? e se io sono amante e amato contemporaneamente, come d'altronde sono, cosa succede? .... oddio! Anche perché, io pensavo e penso ancora, l'amore non può non aver risposta, contraccambio e reciprocità per il fatto stesso che viene dato. E se il problema è non aspettarsi nulla, va bene; ma non può non rispondere all'amore chi è toccato dall'amore perché la risposta è un effetto dell'amore, e quindi non può non rispondere all'amato chi è toccato dall'amato (amore vero, specifichiamo secondo il brutto uso comune di aggiungere vero a qualcosa che se non è vera nemmeno è). Mi è rimasto sempre il dubbio che ci fosse un filino di interesse extra-trinitario ed extra-amoroso in certe affermazioni, almeno per come e da chi venivano affermate; vedevo una certa secolarità e temporalità affacciarsi dentro la fitta trama teologico-spirituale-dottrinale. Qualcosa di carino è nella vignetta di  Schulz. Un antidoto? Rivolto a chi ha sofferto o soffre per essere stat* tradit*, annullat*, cosificat*, copiat*, deris*? Imparare a vedere il cosificatore o la cosificatrice come la proiezione esterna di una parte immatura di noi stessi; come fossero complici per una nostra stupenda crescita. Considerare il loro cosificare come un continuo complimento, perché lo fanno per prendere ciò che loro sentono di valore ma che non hanno: e siccome chi cosifica lo fa con persone empatiche, sensibili, ricche, sente di avere molto da prendere, e ha pure ragione a vedere quella ricchezza!. L'antidoto? Amare. Imparare a farlo. Non chiamare amore ciò che non è. Allenarsi a dissolvere le dissonanze cognitive che non ci fanno percepire l'incoerenza tra ciò che diciamo e ciò che facciamo. Beh, abbiamo da fare un bel po', vero?   Conosci te stesso, diceva Socrate dopo averlo letto, secondo Platone, nel tempio di Apollo a Delfi ... Qui sotto alcune poesie, come antidoto in generale a questa brutta dis-abitudine a cosare le persone   EUGENIO MONTALE, Suonatina di pianoforte, in Poesie disperse Vieni qui, facciamo una poesia che non sappia di nulla e dica tutto lo stesso, e sia come un rigagnolo di suoni stentati che si perde tra le sabbie e vi muore con un gorgoglio sommesso; facciamo una suonatina di pianoforte alla Maurizio Ravel, una musichetta incoerente ma senza complicazioni, che tanto credi proprio a grattare nel fondo non c’è senso; facciamo qualcosa di “genere leggero”. Vieni qui, non c’è nemmeno bisogno di disturbar la natura co’ i suoi seriosi paesaggi e le pirotecniche astrali; né tireremo in ballo i grandi problemi eterni, l’immortalità dello Spirito od altrettanti garbugli; diremo poche frasi comunali senza grandi pretese, da gente ormai classificata, gente priva di “profondità"; e se le parole ci mancheranno noi strapperemo il filo del discorso per svagarci in un minuetto approssimativo che si disciolga in arabeschi d’oro, si rompa in una gran pioggia di lucciole e dispaia lasciandoci negli occhi un pullulare di stelle, un’ossessione di luci. Poi quando la suonatina languirà davvero la finiremo come vuole la moda senza perorazioni urlanti ed enfasi; la finiremo, se ci parrà il caso, nel momento in cui pare ricominciare e il pubblico rimane con un palmo di naso. La spegneremo come un lume, di colpo. Con un soffio.     D.D. WATKINS, Oggi ringrazio Per tutto quello che ho dato e per tutto quello che ho ricevuto. Per la bellezza nella mia vita e per i dolori che ho conosciuto. Per le sfide che ho affrontato e per quanta strada ho fatto finora. Per il mio coraggio e i miei doni e per la saggezza che ho conquistato. Per il viaggio e l’esperienza e per la gentilezza lungo la via. Per i miei sogni e i miei desideri e per la fiducia che ho imparato. Per la gioia e l’ispirazione, e per lo scopo che ho appena scoperto. Per i miracoli che verranno, e per quello che il domani ha in serbo per me. Per tutto l’amore che ho conosciuto e per quello che ho ancora da dare. Per i miei amici, per la mia casa, e per la mia famiglia e per il tempo di trovare me stesso. Per l’abbondanza e la semplicità e per la grazia e l’opportunità. Per la possibilità di fare la differenza e per la fiducia di sapere che la farò. (D.D. Watkins - “Oggi ringrazio”)   ANDREA MELIS PAROLAIO albero come si impara nello starti accanto con la schiena appoggiata al tuo tronco sotto le tue fronde spiegami come si impara la pazienza e la calma, la fermezza e l’altruismo nel lasciar andar le foglie nel non spezzarsi al vento nel non perdersi nella notte, nel sapere sempre dove ti trovi senza mai pensare di fuggire anche quando tutto intorno il bosco è incendio. In cosa speri? Chi preghi, mentre ti lambiscono le fiamme? Spiegami albero la tua esistenza priva di spavento, finché avrò vita io verrò qui ad imparare il tuo silenzio.   FRANCO ARMINIO, LE DOLCI CRUDELTÀ DELL’AMORE Adesso parliamo da un muro sfondato. Io sono caduto all’indietro dentro di me, c’erano mille braccia ad accogliermi. Stupidamente per tanti anni ho pensato di cadere in avanti. Ho camminato sempre con un bastone. Non mi sono mai fidato né di me né della vita. Ora posso vivere il tempo che mi resta guardando le cose senza nessun velo. Sono interamente qui, niente più mi trattiene nel mio limbo. Perfino la paura della morte faceva parte di questo gioco in cui mi evitavo il contatto con la vita. Tu ora mi hai messo nel mio corpo. Ora non ho un cuore, ora sono il mio cuore, non una lingua, sono la mia lingua. E sento che arriva fino a qui il profumo della tua bocca e mi arriva anche altro, il silenzio di pianeti lontani, la lievissima nostalgia che le ossa dei morti hanno della carne, i pensieri che fa un ragno prima del sonno. Noi non dobbiamo morire senza essere sfondati, non dobbiamo passare nella vita da sonnambuli. Ora posso passare un secolo sulla tua schiena, posso succhiare con dolcezza infinita un capezzolo e poi portarti una furia di morsi, cadere fuori dall’acqua dei discorsi, uscire nel mondo con lo stesso brivido, guardare la luna con gli stessi occhi. L’amore è venuto da un dolore acutissimo, ha il sapore che hanno le cose in un giorno qualsiasi e ha l’aria di un pomeriggio neolitico. Ora porto il tuo respiro nelle mie costole, ho il tuo odore nel mio ombelico. La carne è uscita dalle fasce, ha la forza del ferro e delle nuvole, è aria che passa e radice che beve un filo d’acqua. Un amore deve usare tutta la materia di cui siamo composti, un amore vero fa impazzire i nostri elettroni, mette in imbarazzo le reti in cui ci avvolgiamo, rompe il rigo in cui scorre la nostra biografia. Ora che sono stato attraversato dal mio dolore disperato, ora posso respirare vicino al bianco dei tuoi occhi, posso portarti le mie braccia vuote, posso farti annusare vecchie nevicate nel mio paese, possiamo andare insieme al funerale di mia nonna, posso portarti con me dalle monache, puoi vedermi nell’agonia dell’ospedale a tre mesi. Un amore è vero e infinito quando siamo a un soffio dal primo vagito e dall’ultimo respiro. Ci voleva un giorno violento, ci voleva la visione di un male che non aveva mai avuto e non avevo mai fatto. Il mio amore non mi usciva mai dalla carne perché ci vuole anche il male per spingere fuori l’amore, il bene serve per le opere buone, non serve per le dolcissime crudeltà dell’amore.