236. qual è la mappa del tuo Natale? 2) Adventus – Il povero che è in noi (Jung) o della Consapevolezza – “Cristo, facendosi uomo, si è reso Lui stesso Uno dei Destinatari delle Beatitudini” (dom Salvatore)

2. ADVENTUS – IL POVERO CHE E’ IN NOI ( JUNG) O DELLA CONSAPEVOLEZZA – “CRISTO, FACENDOSI UOMO, SI E’ RESO LUI STESSO DESTINATARIO DELLE BEATITUDINI” (DOM SALVATORE )                                  

“Vi ammiro, voi cristiani, perché identificate Cristo con il povero e il povero con Cristo, e quando date del pane ad un povero sapete di darlo a Gesù. Ciò che mi è più difficile comprendere è la difficoltà che avete di riconoscere Gesù nel povero che è in voi. Quando avete fame di guarigione o di affetto, perché non lo volete riconoscere? Quando vi scoprite nudi, quando vi scoprite stranieri a voi stessi, quando vi ritrovate in prigione e malati, perché non sapete vedere questa fragilità come la persona di Gesù in voi? Accettare se stessi sembra molto semplice, ma le cose semplici sono sempre più difficili … L’arte di essere semplici è la più elevata, così come accettare se stessi è l’essenza del problema morale e il nocciolo di un’intera visione del mondo … Ospitando un mendicante, perdonando chi mi ha offeso, arrivando perfino ad amare un mio nemico nel nome di Cristo, do prova senza alcun dubbio di grande virtù … quel che faccio al più piccolo dei miei fratello l’ho fatto a Cristo!
Ma se io dovessi scoprire che il più piccolo di tutti, il più povero di tutti i mendicanti, il più sfacciato degli offensori, il nemico stesso è in me; che sono io stesso ad aver bisogno dell’elemosina della mia bontà, che io stesso sono il nemico d’amare, allora che cosa accadrebbe?
Di solito assistiamo in questo caso al rovesciamento della verità cristiana. Allora scompaiono amore e pazienza, allora insultiamo il fratello che è in noi, allora ci condanniamo e ci adiriamo contro noi stessi, ci nascondiamo agli occhi del mondo e neghiamo di aver mai conosciuto quel miserabile che è in noi.
E se fosse stato Dio stesso a presentarsi a noi sotto quella forma spregevole lo avremmo rinnegato mille volte prima del canto del gallo.”

C. G. JUNG, Lettera a una donna cristiana, in Psicologia e religione, Opere, XI

Ci fu quell’incontro travolgente.
Avevo 15 anni. Era venuto in città un monaco camaldolese, amico del parroco del Duomo. Frequentavo la prima classe delle scuole superiori presso un istituto di suore dove il monaco, dom Salvatore, fu invitato a parlare. Era monaco da pochi anni; una vocazione matura, dopo essere stato per dieci anni Presidente dell’Associazione Cattolica di Milano, mentre era Vescovo Mons. Montini, che poi divenne Papa Paolo VI.
Per me è uno degli Incontri fondamentali della mia vita. Non solo per me, a dire il vero. La sua presenza illuminò -anche qui nella mia zona- varie generazioni di giovani e non solo, e illumina ancora chi ha l’onore e la fortuna di incontrarlo.
Il ‘colpo di fulmine’ arrivò per me, quindicenne, quando lui, durane quell’incontro, portò un esempio semplice semplice, una metafora molto sensoriale: ci invitò a far cadere le fette di salame che avevamo davanti agli occhi, a toglierci i nostri occhiali coi quali guardavamo il mondo. Per vedere cosa? Per capire se quello che facevamo era per sostenere i nostri interessi e il nostro ego o lo facevamo veramente con lo spirito capace di sostenere quella ‘cosa’ per ciò che era in sé. L’esempio fu altrettanto semplice: siamo generosi per sentirci buoni-più buoni- più santi, quindi per noi,  o quel gesto era puro, scevro da interessi personali-secondi fini e rispecchiava lo spirito cristiano, un’oblatività che ci connetteva con l’altro su un piano comune, ognuno con la propria storia da condividere?
Era la prima volta che sentivo un invito così chiaro alla Consapevolezza in ambito religioso. Non che tutti gli anni di catechismo fatti fino ad allora, prima da allieva e da poco da insegnante, non mi avessero messo su quel cammino, ma lo avevano fatto in modo indiretto, non così chiaro e netto, e dando il rilievo al gesto (esempio: sii generosa) piuttosto che a quello che lo sosteneva profondamente: c’era effettivamente sempre un velo di ‘buonismo’ e di illusione che offuscava lo sguardo su noi stessi e sugli altri.
Quel giorno entrò nel mio cuore un seme luminoso, che chiedeva di essere accudito e guardato e fatto crescere. Un seme di una pianta esigente, molto esigente.
Non ho mai smesso di ringraziare dom Salvatore e quel momento illuminante, nemmeno ogni volta che  è stato difficilissimo aver cura di quel seme.
Seguirono anni in cui col mio gruppo di amici eravamo spessissimo a Camaldoli, proprio da lui, da dom Salvatore. Sì, c’erano le passeggiate nelle foreste casentinesi, gli incontri con i cerbiatti, il rotolarsi nei prati delle radure, le visite all’Eremo e al suo affascinante silenzio, gli incontri organizzati nel monastero e dove per la prima volta facevamo esperienza del dialogo interreligioso, il Capodanno passato in una baita gestita e a noi offerta dai monaci … ma soprattutto c’era lui, dom Salvatore.
Una volta lo aiutammo negli ultimi giorni di allestimento di una sua mostra su Ambrogio Traversari, un’altra volta per una mostra di quadri e sculture suoi: in quelle occasioni avemmo la ventura di vedere di notte il chiostro sul quale affacciavano le ‘celle’ dei monaci, per andare a prendere o un libro o un suo quadro o altro . Un chiostro interno, al secondo piano, rigoglioso di piante, insospettabile vedendo da fuori la struttura del monastero: c’era una bellissima luna, un bellissimo silenzio, e c’eravamo noi felici.
Un’altra volta, dopo una vacanza che avevamo passato presso una casa d’accoglienza vicina al monastero e gestita da suore, e volendo rimanere ancora un po’, dom Salvatore ci ospitò nel suo studio dove svolgeva le sue attività di architetto, ingegnere, pittore, scultore e biblista e altro. Una fila di sacchi a pelo, una notte passata quasi in bianco a parlare con lui attraverso i canali della nostra affamata e traboccante giovinezza e del suo carisma davvero fuori dal comune. Una leadership per cui ancora non si è inventato un nuovo  termine, poiché è capace di farsi nell’immediato condivisione e partecipazione.
Le sue traduzioni dall’ebraico e dal greco della Bibbia ci donavano linguaggio e contenuti nuovi rispetto alle traduzioni note e che non sempre erano riuscite a ridare i significati del testo originario; le sue traduzioni  facevano rinascere  parole nuove e vive e colme di senso sostenibile. Fu entusiasmante quando condivise con noi  il suo lavoro  – appena concluso e non ancora reso pubblico- sulla Genesi e sull’Adam.
Se poi nel tempo ho potuto capire alcune cose (devono essere chiari sia la scelta che si fa, sia ciò che la sostiene nel profondo poiché, per sostenere quella scelta dobbiamo continuare a nutrire quel livello più profondo; oppure: comprendere la struttura, il processo,  offuscati dal contenuto che spesso è una facciata falsa) lo devo a lui, a quelle fette di salame sugli occhi da far cadere: una frase che è diventata un amato modo di dire tra chi le ha ascoltate, tra chi, in ogni modo possibile, ha voluto realizzare quell’invito.
Per me, fu da quel momento una portante linea guida dei miei comportamenti. Ché mica è facile, eh. Hai appena compreso una cosa, che questa diventa come lo strato di una cipolla, da usare, sì, e da togliere perché ce ne sono altri … e così via, un passo dopo l’altro, fino anche a comprendere che può esistere l’Infinito, inteso come Appartenenza Inestinguibile a un Presente che è al contempo Possibilità e Realizzazione, Immaginazione e Realtà, Io e Tutto Ciò Che E’ Altro Da Io. Accettare che, nella nostra Unicità di Persona, siamo Esseri Collettivi, cioè Co-Esistiamo in Noi e con tutto l’Esistente.
Non l’illusione, bensì la Consapevolezza.
Guardar-Sé, Saper-Sé.
Dom Salvatore, il suo abbraccio forte forte che quasi ci sollevava da terra, il suo sorriso, la sua coerenza, la sua serietà, quel suo modo di essere uomo e monaco che un po’ ci spiazzava perché per la prima volta vedevamo qualcuno così.
Andai a trovarlo anche al monastero di Fonte Avellana, dove lui fu poi trasferito, e una delle volte era perché volevo parlare con lui della mia ricerca sulla Croce e riflettere su alcune intuizioni che avevo avuto in merito alla Resurrezione (evvabbè, ognuno di noi ha i vizi che ha 🙂 ).
Nel mio Adventus, la venuta di oggi è di quelle sue braccia aperte, protese verso me ad accogliermi in un abbraccio inestinguibile, le sue mani-cuore a togliermi giorno dopo giorno ‘le fette di salame dagli occhi’, sempre che io lo voglia. E io lo voglio.
L’essere ‘Consapevoli’, cioè riuscire anche a essere parte della nostra realtà interiore, dei processi e degli stimoli interni, ha la sua espressione esterna nell’ essere Responsabili e ‘Coscienti’, cioè nell’avere comportamenti etici, socialmente accettabili non nel senso delle mode sociali, ma nel senso virtuoso del sostegno all’Esistente, di un Esistente che in questo modo si palesa come Essere e Divenire.
Il seme della Consapevolezza è nutrito anche dall’Immaginazione e dalla Creatività.
Dom Salvatore ci fece doni immensi: per me fu al momento un insight, e la porta che si aprì mi pose in mondi dove ho camminato e cammino con quell’innamorata ‘vocazione a essere’ di cui parla Jung e di cui ho già detto in un post precedente.
Qualche giorno fa sono tornata a trovare Dom Salvatore, e gliel’ho detto: tu non te ne accorgesti, ma quando ci parlasti di quelle fette di salame da togliere, tra il pubblico che ti ascoltava, c’era una quindicenne che cominciò a volare, come fosse in un quadro di Chagall. La sua risata è sempre fragorosa, il suo sorriso è sempre accompagnato da un leggero reclinare la testa verso l’interlocutore, il suo guardare è sempre come fosse un guardare da vicino e da lontano, e sicuramente in questo modo sa vedere  molto di  più e meglio.
E’ promotore e coordinatore  (una delle mille cose che ha fatto) di una ricerca che ha portato ad esaminare 45.000 documenti, ritrovati  in tutti gli archivi d’Italia – dove erano confluiti dopo le soppressioni napoleoniche e sabaude-,  per  testimoniare l’impatto virtuoso dell’operato dei monaci camaldolesi sui boschi dell’Appennino. Ne è nato un lavoro di cui si è interessata l’UNESCO: e questo è molto bello, dal mio punto di vista; non c’è stato uno ‘sgambettare’, un pubblicizzare e pubblicizzarsi,  un ‘farsi vedere ad ogni costo’; ma è stato il valore del lavoro in sé che ha attratto l’UNESCO… e questa è la ‘vera ‘ Bellezza, il ‘vero’ Valore …
E quindi L’UNESCO propone per la prima volta come patrimonio immateriale dell’umanità un Codice Etico, il Codice Forestale Camaldolese.
La Consapevolezza che si declina e si realizza nel rapporto Uomo-Ambiente, e da secoli in questo caso. Altro che mode con-temporanee!
Si può trovare tutto a questo link
https://www.forestaetica.com/

Alle pendici del severo Monte Catria, con la cima appena innevata, con un filo elegante di nebbia, con il colore autunnale dei boschi che sembravano un manto di velluto deposto con delicatezza lungo i fianchi della montagna, con la pioggia sottile e sincera, con il silenzio dell’essere presente solo io, ho trovato quell’aria pura e fresca di cui avevo urgente bisogno.
Ma soprattutto un’aria fresca e pura anche di altro genere, quella che serve al cuore, allo spirito. E  l’ho ritrovata con dom Salvatore: carezze d’anima all’anima. E non solo fatte di ricordi, è impossibile non stare nella Sacralità del  Presente se si è insieme a dom Salvatore, vicini a lui a fare nuovi passi sul sentiero affascinante e impegnativo della Consapevolezza.
Penso che dovremmo tutti fare questi passi, specialmente in questi tempi che portano lontano da questo Cammino e quindi allontanano sempre più anche il piano della  Coscienza e della Responsabilità.
Passi da fare, per non ritrovarci, poi, nella condizione, inaspettatamente ma perfettamente, descritta da un ‘consapevole’ Tenente Colombo 🙂 che, già nel 1971, così diceva alla colpevole appena smascherata : 
“Signora, lei non ha coscienza.
E chi non  ha coscienza, non ha immaginazione;
non riesce a comprendere che si possa essere diversi da se stessi.”
(Tenente Colombo, serie 1, episodio n. 42, “Riscatto per un uomo morto”,
prima TV USA 1971- prima TV Italia 1984 ) 🙂

Sì, penso davvero che dovremmo impegnarci nel Cammino della Consapevolezza, e renderci conto che spesso camminiamo sulla via dell’Illusione scambiandola per Consapevolezza.
Sì, è un Cammino impegnativo, ma, come dice Ungaretti:
“comme une graine mon âme aussi a besoin
du labour caché de cette saison”
(“come la semente anche la mia anima ha bisogno
del dissodamento nascosto di questa stagione”)
GIUSEPPE UNGARETTI, Hiver,
in Derniers jours 1913, Garzanti 1941

E Camminare con quella Consapevolezza che fa vedere ‘realtà’ come quelle di cui parla lo stesso dom Salvatore, in un suo commento al testo evangelico delle Beatitudini di Matteo: perché Gesù – dice dom Salvatore – facendosi uomo, ha ricreato una nuova Umanità e, facendosi uno di noi,  si è reso “Lui stesso Uno dei Destinatari delle Beatitudini.”

goccia fiore

e un sorriso per tutti noi
linus e babbo natale

236. qual è la mappa del tuo Natale? 2) Adventus – Il povero che è in noi (Jung) o della Consapevolezza – “Cristo, facendosi uomo, si è reso Lui stesso Uno dei Destinatari delle Beatitudini” (dom Salvatore)ultima modifica: 2020-12-12T13:41:48+01:00da mara.alunni