244. al mio babbo

E’ un anno che non sei più tra noi.
14 giorni l’ultimo ricovero.
E poi non hai più risposto quando dico “babbo”.

In questo periodo di Natale in cui ho pensato incessantemente ai tuoi ultimi giorni tra noi, ho voluto ogni volta mettere accanto al dolore qualcosa di te che onorasse il tuo esempio.
E forse perché era proprio il periodo di Natale, ho pensato sempre ai tuoi presepi, quelli che costruivi in casa per noi e che diventavano di tutto il paese tanto erano belli, al punto che negli anni le persone venivano a trovarci anche per vederne la preparazione.
In questi giorni mi sono vista ad altezza presepe, bambina alta poco più dei tavoli su cui costruivi le tue opere d’arte, e mi sono vista guardare stupita il formarsi di quel mondo fatto di muschio, pezzi di legno, carta roccia, specchietti, fondali di stelle o paesaggi e lucine.
Mi sono vista porgerti le statuine, le casette, i ponti, le pecorelle, i pastori.
E mi sono resa conto che mi hai insegnato molte cose mentre facevi i presepi. In modo indiretto, in modo amoroso.
“Vedi questo pastore?” dicevi.  E io annuivo. “E’ piccolo, dove lo mettiamo?”
Io tendevo – i primi tempi- a mettere tutti vicino alla capanna.
E tu mi spiegavi che ‘piccolo’ era sinonimo di lontananza, quindi di prospettiva; mi spiegavi i rapporti tra le grandezze in un sistema di rappresentazioni.
E mi spiegavi che quel  piccolo pastore -pantaloni rossi alla pescatora, camicia bianca, cappello azzurro – aveva una mano alzata e quindi era quello che vedeva per primo la stella cometa, da lontano, era quello che svegliava gli altri pastori.
Allora lo mettevi su un ‘monte’ che avevi costruito dalla parte opposta della capanna, e lì vicino costruivi il primo campo di pastori. Gli altri poi erano meno distanti dalla capanna. Il fuoco era una lucina  coperta di carta rossa e sopra minuscoli legnetti; intorno pastori e pecore.
E così ho capito in questi giorni il perché profondo della mia preferenza di quel pastore tra tutti i personaggi del presepe, oltre la Natività. In tutti i successivi presepi che ho fatto, anche i più scarni, quel pastore non è mai mancato. Ne ho di diverse grandezze, perché non sempre i presepi successivi hanno raggiunto le dimensioni di quelli che facevi tu, e quindi bisognava bilanciare bene le grandezze nella distanza.
Ti ho pensato così in questi giorni dolorosi. Anche oggi che sono venuta a trovarti sotto una pioggia battente. Eppure cantavano uccellini, come ogni volta che vengo a trovarti in questa tua ultima dimora terrena, la casa dove non posso più condividerti.
Qualche giorno prima di Natale ho messo sulla tua tomba una piccola Natività, e poco più in là la statuina del pastore che vede per primo la stella. Alla giusta distanza, e con le giuste grandezze.
Inutile scriverti quanto poderoso sia questo tuo insegnamento, quante cose contiene, e che basterebbe anche solo questo per avere una giusta guida nella vita.
Ti dico invece che vedo il tuo corpo piegarsi sul presepe in costruzione, vedo il tuo braccio allungarsi e la tua mano porre quel pastore sui  monti. E poi seguiva il tuo sorriso soddisfatto, il tuo sguardo su di me, quasi a cercare conferma e approvazione, tu a una bambina di cinque-sei-sette anni.
E io annuivo, seria e sorridente, felice e curiosa.
Non ricordo più quale poeta ha detto che è bello avere un padre che regala un sogno alla nostra vita. Tu lo hai fatto. Grazie.
E ho anche capito che nei tuoi ultimi più dolorosi giorni tu sei diventato ciò che già eri, sei diventato pienamente il pastore che per primo vede la stella. Fuori e libero da ogni ruolo sociale che il tuo tempo imponeva- strada su cui da molto molto tempo ti eri già incamminato – hai finalmente aperto la tua vera dolcissima essenza, hai spiegato le tue ali di angelo veggente, e ci hai indicato chiaramente la stella che avevi sempre visto.
La tua morte mi ha insegnato l’urgenza di amare. Lo scrissi già in un altro post allora, lo ripeto di nuovo adesso. La stella che hai visto, quella per cui ci hai svegliato per vederla anche noi, quella che fissamente hai guardato attraverso il modo con cui hai vissuto anche i tuoi ultimi giorni, è la stella che si è posata sulla capanna, è la stella che ha guidato i Magi.
Non è una stella fissa, se mai ne esiste una. E’ una stella che guida i viaggi importanti verso le mète fondamentali.
Anche i Magi li mettevi dalla parte opposta della Capanna, e un passetto al giorno li avvicinavamo alla Natività, noi lì a misurare bene i passi giusti in modo che i Magi arrivassero proprio per l’Epifania davanti alla Capanna, senza che si fermassero o accelerassero mai.
Ce lo dicevi sempre, quando facevi i presepi, non a parole, ma quando cominciavi a mettere le statuine più piccole nei posti più lontani dalla Capanna: la vita è un cammino, fatto con gli occhi e il cuore aperto a vedere la stella, per arrivare alla giusta mèta.
Ecco, babbo, ti ho pensato così in questi giorni.
Il tuo esempio lenisce un pochino il dolore per la tua perdita.
Ti voglio bene.
Penso al tuo sorriso, a come ti illuminava il volto; penso alle tue espressioni ironiche, o a quelle severe.
Ti penso.
Pensami anche tu, ovunque tu sia.

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244. al mio babboultima modifica: 2021-01-05T23:43:13+01:00da mara.alunni