7| OPERA La Fotografia Il MONOLITE
Paolo Romani | Ferdinando Gatta
Molte opere di Paolo Romani sono presenti nella Opera Domus, vista la fraterna amicizia che lega Carlo Marchetti e Paolo Romani. Le foto vignettate con Holga sono sparse ovunque nel casale come i geki stessi di Marchetti. In alcuni ambienti particolari, piccoli spazi di benessere come le sale da bagno, sono arredati con l’arte come ogni altro luogo, e pertanto vi sono presenti opere fotografiche di Paolo. Ho conosciuto ogni angolo della Domus e tutt’ora in virtù dell’aiuto di un fotografo silente e capace, e sempre presente in queste operazioni di ripresa, ho una cartella di almeno 6 gigabyte ( γίγας (ghìgas, gigante) di immagini tra cui posso scegliere per trasferire le emozioni del Casale. Ma tornando ai nostri due fotografi del bianco e nero, non rendono forse i Monoliti di Gatta tutta la tragedia del tempo nostro, in cui una moltitudine umana sparisce senza contatti col mondo esterno, senza estremo saluto e torna cenere con un nome? Nei parallelepipedi neri entriamo fin dentro, nonostante la copertura acromatica, nella sintesi sottrattiva di tutti i colori dello spettro visibile che non ci indica nulla, se non forse quella totalità di anime sottratte alla vita e racchiuse dentro. Gli scatti di Ferdinando dicevamo sono uno schiaffo.
Il rigore delle sue inquadrature forza l’indifferenza in ognuno. E forse possiamo pacificare quel dolore dopo l’impatto dell’idea, attraverso lo scatto multiplo delle diagonali, campi pieni, spigoli seriali, fughe prospettiche e fino alla texture che pare lacrimare. Avendo visto tutto, siamo più consapevoli.
Anche Paolo Romani nella sua Roma diversamente vista, dalle presenze statuarie agli aspetti più urbani, lavora con le strutture (e gli intrattenimenti d’acqua) per invitarci ad attraversare e percorrere quel canale transcontinentale che ha saputo aprire e instaurare tra il medio oriente e noi, l’occidente. Per questo perdiamo il senso del tempo e del dove, perchè la sua grazia e maestria ci pone all’osservazione altri mondi come se questi fossero qui e non altrove. E noi immersi. Dal “Portale” in Siria, in poi.
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