7| WILL WE MEET AGAIN? Il Padre

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sala7

Opera Domus

Paolo Romani | Ferdinando Gatta

“Giacomo, l’Albero e le Ali” foto ritratto di Giacomo, figlio di Carlo Marchetti | Paolo Romani OPERA DOMUS

Suoi i disegni nelle varie Sale, con quelli del fratello maggiore Lorenzo.

 

Sound:

WE WILL MEET AGAIN Sad Emotional Music Mix

Si entra nella storia attraverso il rapporto tra i volumi delle cose e quello delle ombre e delle luci.

Riproponendo  Monoliti di Ferdinando Gatta, lo scatto d’insieme del Monumento di Berlino, come il monolite di Odissea – Stanley Kubrick – e “solco” delle  gocce di pioggia sul piano frontale di lacrime trasudate; un’architettura del dramma in cui il ricordo si solidifica  nella città disabitata,  preda della vegetazione  come un tempio nella foresta,  l’esposizione in questa Sala si conclude con la nota serie “Elegia Siriana” di Paolo Romani che opera sulle visioni, premeditando un’avventura in cui, ciò che appare, nel suo obiettivo, è il frutto di un accordo cosmico di “produzione” con genti convenute con lui e cose, città, montagne e altipiani dell’Asia Centrale. Luoghi distanti e sconosciuti, spesso devastati da furie genocide e culturali.

Architetture, fuori dal tempo, alcune distrutte e scomparse per sempre, come le persone. “WILL WE MEET AGAIN? –  Dice Paolo riferendosi alle genti siriane – non so quanto di ciò che ho fotografato esista ancora nella sua interezza, né se le persone che ho incontrato e fotografato, siano ancora vive. Ci rincontreremo ancora?” Mentre leggete ascoltate il brano Sad Emotional Music Mix, col suo titolo, nulla mi sembra il più adatto all’amore del viaggio raccontato, del tributo per quei popoli, l“Elegia Siriana” raccontata nella  pubblicazione di Romani (con Fabio Massimo Fioravanti per CasadeiLibri Editore). Il lamento, la commemorazione di persone scomparse e ancor più poesia, attraverso pose di uomini, donne e bambini che nulla hanno da invidiare alla felicità del benessere, che si mostrano lieti e veri, coi loro animi antichi, senza traccia di fierezza; quella che, al confronto, indichiamo noi, cercandola nei residui di pose sempre più stereotipate, a cui la nostra cultura “avanzata” lentamente ci ha portato ed abituato, se rammentiamo. Così l’altro da noi diventa, ed è, fiero, di mescolarsi naturalmente ai suoi panorami, alle sue montagne, ai deserti, alle strade e le ombre dei paesi, raffigurati con pazienza dal tratteggiatore che attende il momento. Nella sua umiltà (di osservatore) Paolo indica un tempo di “25 minuti” affinché accada quanto congetturato. A me, del suo piano visionario, pare che la convocazione dei soggetti e anche degli oggetti nello spazio, risponda ad altro, dicevo ad un accordo cosmico, si perché le sue opere, a guardarle fino in fondo, sono magiche, ultraterrene, “lentamente istantanee”. E ciò non può sfuggire.

Anche se Paolo “suggerisce, piuttosto che dare a vedere”. L’effetto di non contemporaneità dei suoi scatti dipende in gran parte dalla “macchina giocattolo cinese” – come ama dire – con cui scatta: la toy camera ho gwong, traducibile in molto luminoso (nel centro).

Fotografo analogico, viaggia dall’Europa a Damasco e ad Aleppo e Altrove atterrando in Mongolia e Kirghizistan, dove i suoi occhi smorzano l’apparenza del contesto abbacinante in forma metafisica o nelle vignettature dell’amica di plastica popolare. Soprattutto quello è, ciò che vede è quello, e non altro. Non è possibile altro quando rispetti un luogo e le sue genti e loro ti accolgono senza remore anche se vivono un clima di terrore e censura o a 50 gradi all’ombra o col gelo dei venti di neve sulle guance, tutti i giorni.
Le mura di Damasco, la Via della Seta ripercorsa nelle storie di carovanieri depredati, di Khiva nell’ Uzbekistan, con il suo mercato degli schiavi; l’Uzbekistan ed il suo Deserto Rosso o KyzylKum, il Turkemenistan e il Deserto Nero del Karakumy, le popolazioni Kalash pagane del Pakistan, il Pamir, il Tajikistan, i Deserti di alta quota, il Gobi Altaj in Mongolia; l’Iran, Raqqa, Persepolis, Petra, il Mare d’Aral; “il Deserto dei Tartari” nella fortezza di Argh-e-Bam, Samarcanda, la Civiltà del Ghandara, il Karakorum, la Nain di “Mille e una notte”, le popolazioni kirghise, il Chitral. Le donne nelle moschee, in viaggio, con gli ombrellini parasole o tutt’uno con lo chador e le ombre più nere di templi, di colonne e ridosso di muri, tutto incorniciato da un cielo sempre “azzurro” ieratico; di case di adobe e mattoni a ridosso dei deserti o alle pendici di montagne oltre i cinquemila metri. Di bambini, fratellini e sorelline di ogni genia, nei giochi poveri del sorriso.

Il “compendio” di geografia del Romani è un progetto infinito, ad ascoltarlo; silhouettato, fermo per molto tempo come le ombre sui muri, o appena percepito, in un nitore di luce in movimento. Sempre con molta franchezza e idoneità, lui. La carrellata, un tempo solo.

 

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Il percorso SEGUE in VERNISSAGE 

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 l’EXPO dalla SALA1

 

7| WILL WE MEET AGAIN? Il Padreultima modifica: 2020-04-03T12:34:44+02:00da Dizzly
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7 Risposte

  1. Sabrina scrive:

    Quando osservo le tue foto, le mille “me” viaggiano, si riconoscono, vibrano, sognano! Chapeau! ❤️

    • Paolo Romani scrive:

      Sabrina ti ringrazio per il tuo pensiero conciso ed appagante, per me, che ne sono l’ interessato. Un abbraccio

      • Sabrina scrive:

        Volutamente conciso! Le parole non sempre rendono giustizia! ❤️La tua, le vostre creazioni sono pura poesia! Ne sono talmente “pregna” che ci vorrà del tempo per elaborare tutte le impressioni e le emozioni che avete suscitato!

  2. Questo articolo chiude la Sala 7 e la Sala 7 il percorso Opera Domus da 1 a 7. Sono visitabili altri ambienti come la Sala Danza e presto anche una saletta cinema!

  3. Dizzly scrive:

    Una sala che a tutti gli effetti è quella del “Padre…”

  4. Paolo Romani scrive:

    Un grazie sentito a Daniela che, con un testo vero ,non convenzionale o prefabbricato, ha rivelato il nesso , il prima e durante di tutti gli scatti che le ho presentato.
    Un abbraccio anche a te.
    Paolo

    • Grazie Paolo, quando si provano emozioni forti di fronte alle opere e all’operato di un autore, cioè coincidono l’uomo e il “suo abito” del fare , assistiamo al meglio dell’umanità e per questo bisogna usare le migliori riflessioni nel descrivere l’artista. I testi scritti in sala 7 sono inediti e in parte riportano il testo dell’intervista già pubblicata e poi purtroppo perduta. E quale occasione migliore per riproporla…