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Quanta felicità nella casa groviera di Damasco in guerra


Quanta felicità e favola in una casa groviera dentro la guerra. E questo nel segno che "le bombe non possono toccare le stelle" come si dice appunto, con saggezza, in NEZOUH di Soudade Kaadan.
    La regista siriana nata in Francia e residente a Londra nel suo secondo lungometraggio, già presentato ad Orizzonti Extra della 79ma Mostra del Cinema di Venezia e in sala dal 12 gennaio con Officine Ubu, mette mano a un film allegorico sulla stessa linea del suo primo lavoro THE DAY I LOST MY SHADOW (Leone del futuro nel 2018).
    Questa la storia che si svolge sullo sfondo del conflitto siriano a Damasco. Qui una famiglia decide ostinatamente di rimanere nella zona assediata nonostante una granata provochi una voragine nel tetto e altri fori sulle pareti dell'edificio in cui vive la quattordicenne Zeina (Hala Zein) con la sua famiglia.
    Un giorno un ragazzo che abita nelle vicinanze cala una corda attraverso l'apertura nel tetto e Zeina scopre il suo primo piccolo assaggio di libertà. Mentre, determinato com'è a rimanere nella sua casa, il capo famiglia Motaz (Samir al-Masri) continua a riempire i buchi con altrettanti lenzuoli colorati, mentre Zeina e la madre Amer (Nizar Alani) vedono questa nuova finestra nel mondo come una possibilità. Per le due donne il dilemma è restare o partire. A decidere il loro destino sarà sempre il caso come spesso capita.
    "Solo dopo l'inizio dei bombardamenti nel nostro quartiere di Damasco sono uscita di casa con mia sorella - spiega la regista - . La società damascena era conservatrice, anche nelle famiglie liberali. Con la nuova ondata di sfollamenti, è diventato normale (per la prima volta) vedere giovani donne damascene vivere da sole e separarsi dalle loro famiglie. Io e molte mie amiche abbiamo iniziato a prendere decisioni che prima non avremmo mai preso. Ora, purtroppo, non esiste più una società, è successo qualcosa di nuovo.
    NEZOUH - spiega Soudade Kaadan - in arabo indica lo spostamento di anime, acqua e persone; è lo spostamento della luce e dell'oscurità. Il film cerca di parlare di questa inevitabile invasione di luce e speranza in mezzo al caos".
    "Non è la fine del mondo... Abbiamo messo tutti i nostri soldi in questo appartamento. Restiamo qui!... La casa non è così gravemente danneggiata. Dio deve amarci davvero per averla salvata. Sono felice": queste le straordinarie frasi piene di un ottimismo e di involontaria poesia di Motaz, uno dei personaggi chiave di questo film da non perdere e che ha vinto il Premio Diritti Umani Amnesty International alla 28a edizione del Medfilm Festival di Roma. .