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20 anni senza Giorgio Gaber, ironia e pensiero libero


(di Paolo Biamonte) - ROMA, 30 DIC - Probabilmente c'è una buona dose di pessimismo nelle parole di Sandro Luporini quando, in una recente intervista, afferma che "i ragazzi di oggi non ci conoscono, quelli della generazione che ha cinquant'anni si".
    Quel "ci conoscono" ovviamente sottintende Giorgio Gaber e quelle opere, scritte insieme in più di trent'anni, che ancora oggi rappresentano una storia a sé nelle vicende dello spettacolo e della cultura italiani. Il primo gennaio segnerà il ventennale della scomparsa di Gaber e, da mezzanotte a mezzanotte, sul sito della Fondazione e sul canale Youtube andrà in onda una maratona video che racconta il percorso davvero unico di un artista e un intellettuale che aveva cominciato la sua carriera come pioniere del rock'n'roll negli anni '50 e che, unendo l'amore per il jazz e per la canzone francese a doti non comuni di entertainer, era diventato uno dei personaggi più amati della musica e della televisione prima di intraprendere un percorso coraggioso e dirompente che lo avrebbe portato a dar vita al Teatro Canzone, una forma del tutto nuova di rappresentazione in cui la canzone e il monologo si fondono in uno spettacolo che per decenni è stato un punto di riferimento necessario per la riflessione collettiva sull'evoluzione e i cambiamenti della società. Giorgio Gaber ha rielaborato in modo originale l'eredità della scena culturale della Milano della sua epoca, dove si è formato accanto a Dario Fo, Enzo Jannacci, Luigi Tenco, Franco Battiato, il cabaret e il Piccolo Teatro in un mix straordinario e irripetibile. Dalle illusioni del '68 al rapimento Moro, da Tangentopoli al berlusconismo, dalla caduta delle ideologie al prefigurarsi del populismo e del qualunquismo venato di reazione, dai drammi individuali all'incombere del consumismo fino all'ossessione dell'apparire e dei numeri come principale criterio di valutazione, gli spettacoli di Gaber e Luporini hanno vivisezionato i temi più laceranti del dibattito pubblico degli scorsi decenni senza alcuna concessione al facile consenso, usando l'ironia e la cultura come strumenti per esprimere liberamente il proprio pensiero, anche a costo di attirarsi critiche feroci. Nei vent'anni trascorsi dalla sua morte, la Fondazione Gaber ha fatto molto per tenere viva la memoria del "Signor G.", soprattutto per avvicinare i più giovani al suo lavoro. Nelle parole di Luporini citate all'inizio c'è una verità indiscutibile: la generazione degli artisti che oggi hanno cinquant'anni ha preso molto da lui, se si pensa a personaggi come Neri Marcorè o Morgan che hanno reinterpretato i suoi testi teatrali e le sue canzoni tra le quali ricordiamo gioielli come "Non arrossire", "La ballata del Cerutti", "Porta Romana", "Mai mai mai Valentina", "E allora dai", "Torpedo blu", "Il Riccardo", "Barbera e Champagne", "La balilla", "Non insegnate ai bambini". Ma c'è qualcosa di più del semplice omaggio, perché Giorgio Gaber ha insegnato ad alcune generazioni l'arte difficile dell'ironia e del pensiero libero, talvolta scomodo, ma consapevole e mille miglia lontano da qualunquistiche scorciatoie. Il difficile viene quando si parla delle nuove e nuovissime generazioni. Nel mondo dei singoli e dei tormentoni dove il tema dominante è l'io ed è sempre più difficile elaborare pensieri e dibattiti collettivi si può immaginare un artista che rinuncia al grande successo per dedicarsi al teatro e a una nuova forma di spettacolo? Oggi sembra difficile, ma i tragitti dell'arte sono imprevedibili: chissà, forse qualche ragazzo guardando la maratona potrebbe prendere uno spunto.
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