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Hepburn 30 anni dopo, come si diventa un classico


Nell’epoca in cui tutto diventa rapidamente iconico, per Audrey Hepburn la parola icona non sembra usata a vanvera. L’immagine della donna in tubino nero e chignon di Colazione da Tiffany e il sorriso aperto alla vita della scorribanda in Lambretta di Vacanze romane l’hanno resa per sempre protagonista del famigerato immaginario collettivo. Fino ad identificarla con l’idea stessa di eleganza raffinata (abbastanza singolare, considerando che Holly, la protagonista del film di Blake Edwards, è una prostituta) ma anche di tenerezza e accoglienza.

  Qualunque cose significhi ‘essere un classico’, definizione su cui si discute ancora, Hepburn lo è certamente diventata, tanto da essere ancora oggi rappresentazione e pietra di paragone di molte cose (discrezione e impegno sociale di una star, fra le altre). Forse non è un caso che Hubert de Givenchy, che plasmò per lei il celebre tubino nero, la definì ‘il mio grande amore platonico’.

  Bellezza decisamente controcorrente (magra nell’epoca delle maggiorate, occhioni, zigomi spigolosi) ma forse in anticipo sui tempi (non è questa una delle caratteristiche di un classico?), Hepburn è stata anche un’attrice notevole (Oscar e Golden Globe per Vacanza romane ma anche l’intensità di Gli occhi della notte e Due per la strada) e prima ancora staffetta partigiana, nel paese che conobbe forse la più feroce occupazione nazista, l’Olanda (’avevamo da mangiare solo bulbi di tulipano’), e poi ambasciatrice per l’Unicef, un ruolo che prima di lei era puramente decorativo e a cui riuscì a dare una consistenza e un senso per cui l’Unicef (e milioni di bambini) ringraziano ancora.      

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