(dell’inviata Alessandra Magliaro)
Nel nono giorno del festival di Cannes è apparso evidente uno dei temi portanti di quest’anno: il racconto del femminile, del lato oscuro, inquietante, inedito, finalmente fuori dagli stereotipi. La complessità delle donne sembra aver trovato in questa edizione una chiave di racconto. C’entra certamente il numero record di registe in concorso, ma certo non solo: trovare chiavi non banali, non convenzionali, di raccontare storie che ci dicano qualcosa non è certo prerogativa femminile ma semmai di talenti sensibili. Accade con uno dei due film del giorno, L’Eté Dernier di Catherine Breillat, che racconta una relazione tossica tra un bel ragazzo appena maggiorenne (Samuel Kircher) e una avvocatessa di ragazze abusate che è la seconda moglie (Lea Drucker) del padre (Olivier Rabourdine) ed ha il doppio dei suoi anni. Breillat, 74 anni, che combatte da tempo gli esiti di una paralisi, non è nuova a queste storie morbose nella sua filmografia, ma L’Etè Dernier arriva dopo May December di Todd Haynes, anche questa una storia morbosa e ambigua su una coppia scandalosa con lei (Julianne Moore) più grande 20 anni di lui, sedotto a 13 anni. Ha detto la coprotagonista di quel film, Natalie Portman: “Mi fa sempre impazzire quando le persone dicono, oh, se solo le donne governassero il mondo, sarebbe un posto più gentile. No, le donne sono umane e si presentano in tutte le diverse complessità”.
Cannes, Wim Wenders in concorso con ‘Perfect days’