È morto Vincenzo D’Amico, bandiera della Lazio per 16 anni

Vincenzo D’Amico, campione d’Italia con la Lazio nel 1973-74, è morto. 

L’ultimo dribbling, quello con il cancro che lo scorso maggio aveva confessato di avere, non gli è riuscito.
Vincenzo D’Amico è morto a Roma, era nato a Latina, aveva 68 anni. Stella della Lazio del primo scudetto, quello che la banda Maestrelli vinse nel 1974, D’Amico di quella squadra è stato uno dei simboli. Vincenzino, come lo chiamavano tutti e come lo ricorda con commozione anche la società biancoceleste (“la nostra leggenda“), il fantasista di quel miracolo che portò la Lazio a laurearsi campione d’Italia. D’Amico non aveva ancora vent’anni.

Geniale e abile in campo, era stimato anche fuori dal campo per i suoi modi sempre gentili e signorili. Quando giocava non amava schemi e tattiche ma nella vita era rispettoso nei confronti di chiunque. Una scomparsa che si aggiunge a quella di tanti altri eori di quello scudetto, da Re Cecconi all’allenatore Tommaso Maestrelli, a Frustalupi, Chinaglia, Pulici, Facco, Wilson.

La partita con la malattia non l’ha vinta: ricoverato da alcuni giorni in ospedale, le sue condizioni si sono aggravate rapidamente. Con pudore aveva raccontato della propria malattia, non nascondendo la paura né la volontà di sconfiggerla. “Mi dicono che i malati oncologici tirano fuori forze inaspettate! Io ci sto provando!”: così aveva scritto in un post sui social lo scorso 6 maggio, confermando di aver intrapreso la difficile battaglia con il tumore. Quelle parole avevano raccolto una lunghissima serie di di incoraggiamento da parte dei suoi tifosi ed amici. La confidenza era in realtà riservata ai suoi amici di facebook ed era poi stata rilanciata da alcuni di questi sul web: “E’ tutto vero”, aveva però confermato lui stesso. Era il suo stile. Una volta, ad esempio, Chinaglia gli diede un calcio nel sedere per metterlo in riga ma D’Amico anche a distanza di anni sminuì l’episodio: “Ma no, fu solo un incitamento – disse per poi difendere l’amico – Di Chinaglia la cosa che più mi fa male è che ne parlino senza averlo conosciuto. Giorgio aveva solo un problema: doveva fare gol altrimenti non era contento. Era una persona di una bontà fuori dal comune”. Forse anche per questo D’Amico era tanto amato dai colleghi, dai tifosi e rispettato dagli avversari.

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