DONATELLA DI PIETRANTONIO, L’ETÀ FRAGILE (EINAUDI, PP. 176, EURO 18)
Ci racconta come ogni momento della nostra vita sia esposto all’inciampo, alla caduta, alla sofferenza. È questa ‘L’età fragile’ del nuovo romanzo di Donatella Di Pietrantonio che scardina gli stereotipi sugli anni, sulla sicurezza dei piccoli luoghi di provincia e affronta per la prima volta la violenza di genere. “Non do un’unica risposta su quale sia l’età fragile. Ho voluto anche un po’ scardinare lo stereotipo della giovinezza come età della forza, dell’onnipotenza quasi. Qui vediamo addirittura che tutti i giovani di una piccola comunità di montagna sono colpiti da un evento traumatico che accade nel loro luogo di nascita, dove non se lo sarebbero mai aspettato” dice all’ Di Pietrantonio che nel romanzo rievoca un fatto di cronaca nera accaduto nel 1997 nella sua terra, il delitto del Morrone in cui furono trucidate due ragazze in escursione sulla Maiella.
Un caso che la aveva profondamente colpita? “Esattamente il contrario. Ci sono tornata perché all’epoca, non so come, me lo ero lasciato un po’ scivolare addosso. Era fine estate, forse ero lontana. Non lo avevo veramente elaborato questo crimine efferato accaduto proprio nella mia terra e poi, quando meno me lo aspettavo, un giorno davanti al paesaggio innevato delle nostre montagne, è affiorato questo ricordo che mi ha mosso qualcosa di profondo. Non avevo mai voluto prima scrivere di violenza di genere perché avevo paura che risultasse un’operazione un po’ programmatica e invece questa volta sono stata colta dalla necessità”.
L’età fragile, da poco arrivato in libreria per Einaudi, è uscito proprio nei giorni della grande ondata emotiva e mobilitazione per il femminicidio di Giulia Cecchettin. “È stato casuale. Il libro lo avevo scritto molto prima e non potevo prevedere questa coincidenza. Sono fiduciosa che questa ondata si tramuti in uno stato di mobilitazione continua delle donne e degli uomini, in un impegno costante e fattivo perché davvero non accada più”.
Storia del rapporto tra una madre, Lucia, e la figlia ventiduenne Amanda che si è trasferita a Milano per inseguire i suoi sogni e torna a casa, in Abruzzo, poco prima della chiusura totale per la pandemia, il romanzo è dedicato alle sopravvissute. “C’è stato un momento in cui ho avuto paura che sembrasse banale, ma ho mantenuto questa dedica perché davvero mi è affiorata da dentro. Siamo sopravvissute non solo a violenze fisiche, ma a tantissime altre forme di violenza più o meno visibile” dice.
La relazione tra madre e figlia di cui Di Pietrantonio ha sempre parlato nei suoi romanzi questa volta è raccontata sotto un’altra luce. “Qui l’io narrante è una madre con una figlia ventenne che dopo essere partita dal piccolo luogo di nascita torna indietro completamente cambiata, chiusa, scontrosa. La madre non ha strumenti per poter scalfire il silenzio di Amanda, la sua vita che si è interrotta”. C’è anche l’assalto agli ultimi treni che partivano verso Sud prima del lockdown. “La pandemia non è un tema, è uno sfondo. Fa un po’ da cassa di risonanza a questa chiusura individuale del personaggio di Amanda”.
Forte il legame con il territorio ma questa volta vira al nero. “C’è un personaggio, la pm, che a un certo punto dice una delle frasi chiavi del romanzo: ‘dove arriva l’uomo può portare il male'”.
L’autrice de ‘L’Arminuta’, di ‘Borgo Sud’, che vive a Penne, in Abruzzo, dove ha sempre continuato a fare la sua professione di odontoiatra per i bambini, porta in questo suo nuovo romanzo la visione di un mondo nuovo, ma il finale non è rassicurante, resta sospeso. “Quale sarà il futuro di Amanda e anche dei giovani della sua generazione non si sa. Come riempiranno il vuoto di questo momento?”. C’è anche un mondo che sta finendo quello dei pastori, degli agricoltori di queste aree interne che non si arrendono, come il padre di Lucia che è figlia di quel patriarcato rappresentato dal suo genitore. “In questo un po’ le somiglio. Lucia ha fatto un grande lavoro per potersi emancipare, ma questa lotta è stata molto complessa, difficile, perché questi padri erano autoritari, rocciosi, a tratti violenti, ma anche molto presenti, attenti alla vita delle figlie. Amanda invece ha avuto un padre moderno che l’ha lasciata libera, però un po’ evanescente. Una presenza debole” dice la scrittrice.
L’età fragile “solo a volte penso che sarà il mio ultimo romanzo” dice la scrittrice. Perché? “Mi piacerebbe tornare al formato dei racconti, la mia prima forma espressiva anche se non sono mai stati pubblicati. Li ho chiusi da qualche parte”.