Correre nella vita e in scena contro il regime iraniano

(di Paolo Petroni) Un gran teatro tutto basato sulla parola, eppure ricco di silenzi pieni di senso, di solitudini, di intese profonde e fraintendimenti, di fatica del correre non per fuggire ma per raggiungere qualcosa, ritrovarlo, questo ”Blind runner ” (maratoneta cieca) presentato alla Biennale Teatro, dell’iraniano Amir Reza Koohestani, regista e autore del testo con la drammaturgia di Samaneh Ahamadian, che parla della condizione del suo paese e la speranza di libertà, delle difficoltà di essere accolti. in Europa anche come rifugiati politici. Sulla scena nuda solo, sempre, un uomo e una donna (che ne interpreta due), vestiti normalmente ”perché non c’è bisogno di un velo per capire dove siamo e che lei è in prigione. Basta un po’ di immaginazione”, basta si tratti di teatro in cui il testo e gli interpreti danno vita e verità alla finzione. E’ anche l’immaginazione che ognuno dei due, il marito che è libero e la moglie che è detenuta per aver postato qualcosa sulla condizione femminile non gradito al regime, deve avere per capire la condizione dell’altro. A questo si aggiunge pure la diversa sensibilità femminile (ma meglio non dirlo, che potrebbe sembrare ”parlare di politica”) e maschile, così che ognuno finisce per alcuni versi di sentirsi incompreso dall’altro. La scrittura è sapiente, ha molto dei battibecchi quotidiani di una coppia, allude spesso senza specificare o facendolo molto dopo che se ne parla, narra di sentimenti con delicatezza, riuscendo ad essere insinuante con momenti di poesia e acquistare tensione e un sentire drammatico coinvolgente, che si deve anche ai due interpreti, Ainaz Azarhoush e Mohammad Reza Hosseinzadeh, alla loro misura e interiorizzazione senza mai sbavature o eccessi, pur correndo avanti e indietro per buona parte dello spettacolo, con i loro volti proiettati su uno schermo sul fondo portandoli in primo piano, meritatamente premiati dagli applausi finali. Una correzione successiva di una scritta iniziale fa che si passi da ”Questa è una storia vera” a ”Questo è Storia” sino a arrivare a un più neutro ”Questa è un fatto attuale”. Del resto nel programma di sala si spiega che l’ispirazione deriva dalla carcerazione di Niloofar Hamedi, la prima giornalista che raccontò la morte violenta di Masha Amini (arrestata per non avere avuto il velo ben messo e che dette il via a una stagione di manifestazioni), e l’impegno del marito che, sfruttando la passione della coppia per la corsa, organizzò diverse maratone di protesta per la liberazione della moglie e altre donne. Marito e moglie sono uniti dunque da questa passione sportiva, sfogo e alternativa all’impegno represso brutalmente, alla paura, alla voglia di dimostrare, momento di libertà, se non sei costretta a farla nel corridoio di un carcere, andando ossessivamente avanti e indietro. Sarà così lei, quasi a voler pensarsi libera per interposta persona, a spingere il marito a accettare di fare da trainer accompagnatore all’amica Parissa, fondista rimasta cieca perché è una di quelle donne cui, in piazza, la polizia ha sparato mirando tra gli occhi, e che vorrebbe partecipare alla maratona di Parigi. E’ che in Francia, dove la coppia, che ha raggiunto una necessaria consonanza di respiro e ritmo, ha vinto una medaglia e come iraniana è stata molto seguita dalla stampa, l’uomo e la donna cieca decidono di raggiungere l’Inghilterra correndo i 38 Km del tunnel sotto la Manica per protestare attivamente contro una legge antimmigrazione inglese appena approvata. Hanno meno di sei ore tra l’ultimo treno della sera e il primo del mattino che potrebbe arrivare a falciarli via ed ecco che arriva, come a segnare con uno stridente botto finale l’attuale tragica situazione in stallo del loro paese.
   

Correre nella vita e in scena contro il regime iranianoultima modifica: 2024-06-21T12:55:22+02:00da newsconulana

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