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Rileggere James Baldwin in tempo di elezioni negli Usa


(di Chiara Venuto) "Ricordo, ad esempio, quando il Procuratore generale, il signor Robert Kennedy, disse che era plausibile che tra quarant'anni in America potesse esserci un presidente nero", "un'affermazione molto emancipata, immagino, per i bianchi", che però "non sentirono (e forse non sentiranno mai) le risate, l'amarezza e lo sdegno con cui questa frase fu accolta" ad Harlem. Era il 1963 quando James Baldwin, scrittore e attivista per i diritti civili statunitense, incontrò Bob Kennedy. Un appuntamento pieno di incomprensioni e insoddisfazione. Sarebbero dovuti passare 46 anni prima di vedere Barack Obama presidente, ma, a quel punto, Baldwin ci aveva già lasciati da 22. Le sue parole, riproposte nel documentario 'I am not you negro' (2016), continuano però ad essere attuali.
    Baldwin, nato il 2 agosto del 1924, oltre ad essere stato una grande penna, ha anche rappresentato una delle figure intellettuali di spicco del movimento per i diritti civili della sua epoca. Tra i suoi contemporanei, anche Martin Luther King e Malcolm X. Ricordarlo a cent'anni dalla sua nascita significa pensarlo ancora arrabbiato come allora. Non solo per i diritti della popolazione di colore, per i quali si è battuto tutta la vita. Anche per quelli delle persone della comunità Lgbtq, di cui faceva parte, e delle donne. Proprio oggi che c'è la prima donna non bianca in corsa per le presidenziali. "Hanno distrutto e stanno distruggendo centinaia di migliaia di vite e non lo sanno e non vogliono saperlo", scriveva in 'La prossima volta il fuoco' (Fandango Libri), un'intensa lettera al nipote. "Né io né il tempo né la storia li perdoneremo mai", prometteva.
    Il perdono, per lui, non era possibile. Troppo il dolore: lo si legge in tutte le sue opere. Anche in 'Se la strada potesse parlare' (Fandango Libri), la cui nuova edizione italiana uscirà il prossimo 9 agosto, una storia d'amore nella Harlem che lui tanto bene conosceva che si intreccia con una realtà dura, cinica, di sofferenza e ingiustizie. Un libro in cui, anche se emerge la profonda passione e tenerezza di una donna giovanissima che ama il proprio uomo, non manca la frustrazione di una realtà raccontata per quello che è, senza esagerazioni.
    Anche in questo caso, e forse siamo noi lettori per primi a provarlo, il perdono non è un'opzione semplice. Così ci scaldiamo con una rabbia che, alla fine, non ci è poi sconosciuta: la vediamo ancora per le strade degli Stati Uniti, nello sdegno verso le morti insensate di uomini e donne di colore. Nei fiumi di donne che tingono le città di tutto il mondo di rosa al grido di 'Non una di meno', come pure nella furia dei cortei dello scorso novembre, quando morì Giulia Cecchettin. Senza dimenticare le rivendicazioni di chi subisce l'omobitransfobia.
    James Baldwin è vivo e tanto moderno, dunque, e la sua eredità non si limita alle lotte per i diritti civili. Ma anche in una necessaria attenzione per le periferie e la marginalità che resta un tema attuale, così come in uno stile letterario ritmico, acuto, elegante, spigoloso. Anche di questo discutono nel loro ricordo dei '100 anni di amore e di lotta' di Baldwin intellettuali come Giulia Caminito, Paolo Giordano, Ubah Cristina Ali Farah, Nadeesha Uyangoda, Sabrina Efionayi, Djarah Kan e Saif Ur Rehman Raja. Lo fanno nel podcast 'Nel nome di James', sette episodi ascoltabili su Audible che mischiano ciò che Baldwin era con come può oggi ispirare i pensatori della nostra generazione.