ERALDO AFFINATI, ‘DELFINI, VESSILLI, CANNONATE’ – Autobiografia letteraria” (HARPERCOLLINS, pp. 768 – 25,00)
La scrittura di Eraldo Affinati ha sempre avuto al centro la vita, la conoscenza intese come viaggio, occasione e tempo di riflessioni e incontri, con la letteratura e la parola a far da perno, chiave perché tutto ciò possa avere un senso e essere comunicato. Le parole, in fondo, possono essere tutte e tre le cose richiamate dal titolo di questo volume narrazione, saggio, memoire: delfini, vessilli, cannonate, ovvero navigazione, bandiere, armi. Scrittore, certo, ma soprattutto insegnante forse per vocazione ma sicuramente per convinzione, è anche creatore e animatore, come racconta in ‘Via dalla pazza classe’ (2019) delle scuole per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati, specie i giovani, intitolate a Penny Wirton, personaggio di una favola di Silvio D’Arzo. Del resto la letteratura (e la lettura) per Affinati, come sostiene sempre anche Umberto Galimberti, sono il vero strumento per un’educazione certo intellettuale, ma soprattutto sentimentale, affettiva, quindi necessaria perché si possano sviluppare rapporti veri, fruttuosi, col mondo e con gli altri. Lo confermano tutti i suoi libri, legati quasi sempre a esperienze di vita e che ne trovano il senso appunto nella letteratura, dalle sue pagine più intense, quelle di ‘Campo di sangue’ (1997) in cui storia famigliare e Storia con la S maiuscola vengono ripercorse, letteralmente, in un viaggio a piedi da Venezia a Auschwitz per avere il tempo di riflettere e comprendere sino in fondo tutto quel che ha letto nei mille libri sui campi di concentramento, dal classico Primo Levi alla Arend sino a Solzenycin e Salamov. In questo c’è tutta la sua sensibilità etica, l’approccio pedagogico, la memoria personale e quella formata dai libri come messa a fuoco e riconoscimento della propria identità, nel bene nel male, nella gioia e nel dolore. Ed è non a caso quel che ritroviamo oggi nel racconto, ricostruzione di quest’ultimo libro, viaggio di crescita, cammino non solo interiore di formazione attraverso le letture di una vita, che ha per sottotitolo ‘Autobiografia letteraria’.
E perché tutto sia chiaro, ecco che le letture e i ricordi sono divisi in 21 capitoli tematici, da Adolescenza e Amicizia a Senilità e Tempo, passando per Giustizia, Libertà, Memoria, Madre e così via, ognuno dei quali costituisce una piccola antologia. Letture che sono un ritrovamento, un riconoscimento di sé nel passato, perché come si legge nei versi conclusivi del volume, quelle dell’adolescenza “giornate indimenticabili / le nostre / perché tutto doveva ancora accadere / ed era già accaduto”.
Insomma è questo il libro di Affinati forse più intimo di una vita, ma è proprio andando a fondo di questa intimità esistenziale e della lezione intellettuale che ne deriva che la lettura si fa paradigmatica e emblematica. Scegliamo un esempio solo, quello del capitolo dedicato alla ‘Madre’. Si apre con una nota autobiografica della stessa madre dell’autore, di famiglia contadina e rimasta sola col marito emigrato minatore in Belgio, cui segue il ricordo della Lena Grove il cui drammatico peregrinare dopo la Grande crisi in ‘Luce d’agosto’ di Faulkner avvicina alla migrazione delle giovani africane e col suo finale aperto a un nuovo inzio, quel ‘Siamo a un altro lunedì’ che porta al romanzo ‘Nostro lunedì’ di Silvio D’Arzo di cui poi ricorda ‘Penny Wirton e sua madre’ (racconto che sappiamo quanto abbia inciso in Affinati). Si ferma poi, procedendo per libere associazioni, su ‘Cenere’ di Grazia Deledda, le poesie di Gertrud Colmar, ‘Il mio nome è Katrina’ uno dei romanzi di Aharon Appelfeld, segnati dalla Shoah (cui la madre di Affinati sfuggi fortunosamente), ‘Ricordi di mia madre’ di Inoue Yasushi sul veder invecchiare i propri genitori, e poi racconti di Richard Ford, i versi di Vivianne Lamarque, le madri motori dell’umanità in Brenda Navarro, la madre quando il padre è assente in Barry Gifford, e ancora Nina Maroccolo, Jazmina Barrera, Julie Otsuka, per finire con versi di Affinati stesso dedicati alla madonna di Guadalupe a Città del Messico: “Nostra Signora / Regina / Santa Maria / Madre pietosa / Piccola mia / Figlia mia / come la chiamava Juan Diego / al quale apparve sulla collina del Tepeyac nel 1531”.