Gli scienziati della Icahn School of Medicine del Mount Sinai raccomandano di utilizzare il test da sforzo cardiopolmonare per diagnosticare il COVID-19 a lungo termine con risultati normali utilizzando altri metodi.
Il test da sforzo cardiopolmonare (CPET) viene utilizzato per valutare lo scambio di gas a riposo e durante l’esercizio. Normalmente viene utilizzato per calcolare il grado di tolleranza di una persona all’attività fisica.
Nello studio, 41 pazienti sono stati sottoposti a CPET a una mediana di 8,9 mesi dopo il COVID-19 acuto. Tutti i soggetti presentavano normali radiografie del torace, tomografia computerizzata (TC) del torace e test di funzionalità polmonare in presenza di sequele della malattia.
È stato riscontrato che più della metà dei pazienti (58,5%) aveva un VO2max (massimo consumo di ossigeno) inferiore all’80% di quanto previsto. In tutti questi pazienti si è verificato un deterioramento della circolazione sanguigna durante l’attività fisica.
In 17 pazienti con VO2max normale sono stati rilevati disturbi respiratori. Complessivamente, l’88% dei soggetti del test ha mostrato problemi respiratori con elevata anidride carbonica ventilatoria equivalente (VE/VCO2) e/o ipocapnia (mancanza di anidride carbonica nel sangue).
Infine, nel 46%, i risultati dell’esame soddisfacevano i criteri per la sindrome da stanchezza cronica.
Gli scienziati hanno difficoltà a spiegare i risultati della ricerca. Sottolineano che il CPNT si è dimostrato un metodo efficace per diagnosticare il COVID lungo. Allo stesso tempo, non è chiaro quale sia la sua causa, poiché altri esami mostrano che tutto è normale nei pazienti.