L’esperimento di Philadelphia

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Oggi parliamo di uno dei misteri che mi affascina di più da quando ho iniziato ad interessarmi di storie e leggende inspiegabili: il mistero della nave scomparsa della United States Navy, meglio noto come “l’esperimento di Philadelphia”. Questa storia parla di un esperimento scientifico della marina militare statunitense e di una nave, la USS Eldridge, che sarebbe stata fatta teletrasportare dal porto della città di Philadelphia, a Norfolk in Virginia, per poi ricomparirvi successivamente, equipaggio compreso. Ma andiamo nello specifico, e scopriamo di cosa tratta con precisione.

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USS Eldridge fotografata nel 1944

Morris Jessup era un astronomo statunitense, che fin da piccolo aveva dimostrato una enorme passione per l’astronomia e la sfera celeste. Proprio a causa di questo suo interesse, nel 1948 fu testimone di due apparizioni UFO, ne rimase sconvolto e da quel momento la sua vita cambiò profondamente. Iniziò ad interessarsi alla teoria unificata dei campi, che combinava la teoria della gravità elaborata da Einstein nel 1915, con l’elettromagnetismo. Iniziò a fare ricerca, ad intervistare persone che dichiaravano di aver avuto contatti con gli extraterrestri, ad investigare sugli UFO e sui servizi segreti degli Stati Uniti d’America, e avanzò l’ipotesi che fosse l’elettromagnetismo a permettere agli UFO di spostarsi nello spazio-tempo, pubblicando anche dei libri e dei resoconti delle sue ricerche.

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 Morris K. Jessup (1900-1959)

Nei primi mesi del 1955, egli ricevette 3 lettere firmate Carl Miguel Allende, in cui l’autore delle stesse confermava la validità della teoria del campo unificato, e affermava che la marina degli Stati Uniti avesse testato questa teoria il 28 ottobre 1943, svolgendo un esperimento nel porto di Philadelphia, con la partecipazione di giganti della scienza, come Albert Einstein e Nikola Tesla. Egli dichiarava di essere stato testimone del tutto, in quanto a bordo di una nave che si trovava nei pressi del porto, la SS Andrew Furuseth. Successivamente, essendo rimasto shockato dall’avvenimento, parlò con quel che rimaneva dell’equipaggio nella Eldridge ed effettuò le sue ricerche, cosa che gli fu facile in quanto anch’egli membro della marina. Di questo progetto se ne discuteva dagli anni ‘30, ma solo vent’anni dopo aveva visto la sua realizzazione in quanto necessitava di conoscenze e tecnologie adatte, ed aveva trovato la spinta giusta perchè durante la seconda guerra mondiale troppi sottomarini tedeschi erano stati in grado di affondare navi da guerra e sottomarini statunitensi, grazie all’utilizzo dei radar. Lo scopo ufficiale del progetto era quello di riuscire a far scomparire la nave dai radar, ma in realtà si sperava di raggiungere risultati migliori: teletrasportarla da un posto all’altro e da un tempo all’altro, ovvero farla viaggiare nello spazio-tempo. Fu scelto il cacciatorpediniere USS Eldridge (DE-173) ma all’equipaggio non fu raccontato nulla di quello che sarebbe successo di lì a poco, fu solo detto che, se tutto fosse andato secondo i piani, la nave sarebbe scomparsa dai radar. Nell’ottobre del 1953 alle ore 17:15 furono posizionati dei generatori elettromagnetici che generarono un forte campo elettromagnetico intorno alla nave, la quale scomparve dal porto di Philadelphia in Pennsylvania, si teletrasportò a Norfolk in Virginia (a 600 km di distanza!) alle ore 17:16, restandoci qualche minuto, dopodichè si teletrasportò nuovamente nel mare di Philadelphia alle ore 17:15.

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equipaggio della USS Eldridge in una fotografia del 1942

L’equipaggio che si trovava a bordo della nave accusò dolori, malessere, nausea e la circa la metà di loro, al ritorno a Philadelphia, si ritrovò incastrato dentro le lamiere della nave, trovando rapida morte. Coloro che rimasero in vita, furono costretti al silenzio, e anche lo stesso Carl M. Allende dichiarò di essere stato minacciato, di essersi nascosto ed agire sotto falso nome.

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una scena tratta dal film “The Philadelphia Experiment” del 1984

In seguito alla ricezione delle lettere, a fine 1955 Jessup scrisse un libro, “The Case for the UFO”, in cui parlò dell’esperimento Philadelphia e di come il tutto fosse stato messo a tacere. Così nella primavera del 1957 fu contattato dalla Office of Naval Research of Washington D.C., e gli fu chiesto di fornire spiegazioni e fonti delle sue ricerche, specialmente per quanto riguardava l’esperimento di Philadelphia. In ogni caso il libro di Jessup stimolò l’opinione pubblica, e su diverse testate giornalistiche si speculò abbondantemente sull’accaduto. Si decise, pertanto, di provvedere a indagare sulle lettere scritte da Carl Allende e, grazie ad un confronto calligrafico, venne alla luce che gli autori delle stesse fossero effettivamente la stessa persona e non Jessup. L’indirizzo del mittente risultò essere una fattoria disabitata.
Jessup fissò un appuntamento per la mattina del 19 aprile 1959 con un emittente radiofonica, in cui promise di portare tutte le prove che era riuscito a raccogliere riguardo l’esperimento Philadelphia ed una raccolta di verbali dettati da testimoni oculari e militari che parteciparono alla missione. Purtroppo il 20 aprile 1959 Morris Jessup fu trovato morto nella sua automobile in Florida. Gli investigatori dichiararono la morte per suicidio, ma la famiglia e gli amici smentirono categoricamente, affermando fosse stato messo a tacere per sempre dal governo degli Stati Uniti d’America.

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locandina del film ‘The Philadelphia Experiment’

Da questa vicenda è stato tratto il film di fantascienza del 1984 The Philadelphia Experiment. Diretto dal regista Stewart Raffill, il film ha vinto il premio miglior film, al Fantafestival del 1985.

LA LEGGENDA DI AGARTHI

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La leggenda di Agarthi (o Agartha) narra di una immensa città sotterranea situata esattamente sotto l’Asia centrale, il cui popolo sarebbe altamente evoluto ed in possesso di una tecnologia così avanzata da non essere neanche lontanamente immaginabile. Questo popolo, gli agarthiani, fu costretto a rifugiarsi nel sottosuolo in seguito ad un catastrofico evento.

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mappa esemplificativa della città di Agartha e dei punti di accesso

Diversi testi sacri di varie religioni, e numerose leggende, narrano di città o regni sotterranei e sono tutte riconducibili, appunto, alla medesima civiltà.
La leggenda di Agarthi è correlata alla teoria della terra cava, che riunisce molte teorie di filosofi e studiosi di diverse epoche, secondo cui all’interno della Terra vi sarebbero regni e territori sotterranei abitati.
Edmond Halley, astronomo e matematico, famoso per aver capito nel 1705 che gli avvistamenti di comete erano in realtà avvistamenti della stessa cometa e per aver, quindi, dato il nome alla cometa di
Halley, è tra questi. Egli nella sua opera “Philosophical Transactions of Royal Society of London”, propose l’idea che la terra fosse cava al suo interno, e avesse dei gusci interni concentrici separati da atmosfera, con ognuno i suoi poli magnetici indipendenti. Questa teoria riusciva a spiegare i risultati anomali ottenuti durante sperimentazioni con la bussola e i campi magnetici.

L’occultista francese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre, nel 1800 pubblicò un resoconto che parlava nello specifico della città sotterranea di Agarthi, citandola come reale, e specificando la sua ubicazione sotto l’Hymalaya.

Willis George Emerson, politico e scrittore americano, nel 1908 raccontò una storia biografica di un marinaio norvegese di nome Olaf Jansen, il quale navigò nei mari di Agartha arrivandoci casualmente, attraverso un’apertura situata al Polo Nord. Egli visse ben 2 anni con gli abitanti di questo mondo, che erano dotati di una tecnologia avanzatissima. Durante questi anni tenne un resoconto dettagliato della sua avventura, con l’intento di diffondere la notizia. Purtroppo morì durante il viaggio di ritorno, e i suoi manoscritti furono consegnati al figlio, insieme ai restanti miseri averi del padre. Il figlio, suo malgrado, fu preso per pazzo da tutti, e ricoverato per alcuni anni in manicomio. Uscito da lì, si trasferì in California, dove, ormai novantenne, decise di pubblicare la storia del padre, inviando le carte allo stesso Emerson.

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disegno rappresentativo della città di Agarthi

Anche le religioni, come detto prima, spesso fanno riferimento a mondi sotterranei. Ad esempio gli indù parlano di Aryavartha, terra sotterranea, origine dei Veda: antichissime raccolte in sanscrito vedico di testi sacri dei popoli Arii (nomadi indoeuropei). Il termine sanscrito “veda” significa “conoscenza” o “saggezza”, mentre l’altro nome con cui sono noti è Shruti, che può essere tradotto con “ciò che è udito” in quanto si dice che tali testi sacri non abbiano autore umano, ma che siano stati riportati esattamente come raccontati dalla divinità che li ha narrati.
I buddhisti, invece, parlano di Shambhala, un regno leggendario situato nei pressi dell’Himalaya, i cui abitanti sono virtuosi tanto da non necessitare di leggi o pene. Sono riccamente vestiti, dotati di tecnologia avanzata ed i loro palazzi risplendono di misteriosi metalli sconosciuti all’uomo.

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sistema interno della terra cava, in cui è rappresentato un intero universo nel sottosuolo

La leggenda di Agarthi è stata raccontata in modi diversi, in epoche diverse, ma alcuni elementi sono sempre ricorrenti: gli abitanti sono dotati, come detto prima, di una tecnologia avanzata che permetterebbe loro di volare, leggere le emozioni altrui, conoscere i segreti della creazione e dell’universo. I loro mezzi di trasporto sono quelli che vengono definiti “UFO”, con cui usano osservare i loro “cugini involuti” sulla superficie del pianeta. Esteticamente hanno pelle diafana, occhi chiari, capelli chiari, quasi incolori. Rispecchiano la descrizione degli “alieni” di diversi racconti diffusi da persone contattate, a cui avevano parlato di pace, amore, fratellanza ed il cui scopo sarebbe aiutare e proteggere l’umanità intera.

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mappa interna del mondo sotterraneo

Per arrivare nella città di Agarthi vi sono molte entrate, tutte nascoste strategicamente per impedire l’accesso ai curiosi.
John Lloyd Stephens e Frederick Catherwood furono due esploratori famosi per aver scoperto numerosi resti di civiltà Maya. Nel 1800 viaggiarono nello Yucatan ed è proprio lì che vennero a conoscenza dell’esistenza di una civiltà sotterranea. Stephens durante una conferenza a New York dichiarò: Queste genti vivono pacificamente nel sottosuolo e dispongono di una gran luce che splende nel loro mondo sotterraneo, e il cui segreto fu trasmesso loro molto tempo fa dagli Dei del sottosuolo (…). Sotto uno degli edifici di Santa Cruz del Quichè c’era un’apertura che gli Indios chiamano ‘caverna’ e attraverso la quale dicevano che si poteva raggiungere il Messico in un’ora. Vi sono strisciato dentro, e ho scoperto che il soffitto era ad arco a sesto acuto ed era formato da pietre perfettamente sovrapposte, ma la mancanza di luce e il grido del sacerdote che mi avvertiva che era stagione di terremoti mi hanno impedito di esplorarla. Quanto fosse lunga e dove conducesse, non saprei proprio immaginarlo. É chiaramente un altro dei grandi misteri delle Americhe.”

Frederick Catherwood fece, inoltre, una strana fine: morì ufficialmente durante una traversata nell’oceano Atlantico, ma misteriosamente non furono mai ritrovati i suoi averi ed il suo nome non comparve nella lista dei presenti né dei defunti per diversi anni. Che sia riuscito ad avventurarsi nella meravigliosa città di Agarthi?

LA LEGGENDA DI AZZURRINA

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La leggenda di Azzurrina è una leggenda popolare medievale italiana, nello specifico romagnola, e narra di una bambina che fu tenuta rinchiusa tra le mura del castello di Montebello di Torriana (in provincia di Rimini).
Ma facciamo qualche passo indietro: correva l’anno 1370, quando il feudatario Ugolinuccio Malatesta di Montebello e sua moglie Costanza diedero il benvenuto a loro figlia: Guendalina Malatesta. Tutto si aspettavano, fuorché l’amara sorpresa: la loro piccola era albina. Capelli bianchi come la luna piena, occhi viola come fiori selvatici… era pieno Basso Medioevo e le persone, ignoranti e bigotte, ci avrebbero messo poco ad additare la bambina come “figlia del demonio”. Per cui i genitori decisero di tenere la figlia sempre al sicuro tra le mura del castello, facendo in modo che ad incrociare la sua strada fossero meno persone possibile.

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blasone dei Malatesta – credits

Si dice che il padre usasse fare seguire la bambina da due guardie, Domenico e Ruggero, per proteggerla dalle maldicenze; e che la madre usasse tingerle i capelli con tinture naturali che avrebbero dovuto donarle un color ebano e che, invece, data la scarsa capacità dei capelli albini di trattenere pigmento, risplendevano di una sfumatura particolare di azzurro, da cui il soprannome “Azzurrina”. La bambina cresceva in salute, al riparo da sguardi indiscreti e usava passare le sue giornate a dipingere, a giocare con bambole di pezza e palle di stracci annodati.

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ritratto di Azzurrina, dipinto dalla pittrice e sensitiva toscana Novella Parigini, in stato di trance

Finché il 21 giugno 1375, giorno del solstizio d’estate, durante una notte tempestosa, Ugolinuccio era lontano in battaglia, e la bambina non riusciva a dormire – forse a causa del temporale o forse a causa della mancanza del padre, chissà – così decise di andare a giocare. Prese la sua palla preferita e si avventurò in giro per il castello. Ad un certo punto si narra che la palla le cadde giù per le scale che portavano nei sotterranei… tutti nel castello udirono un urlo agghiacciante. Accorsero con gran foga, ma della bambina (o della sua palla) nessuna traccia.

Qualcuno rapì la bambina? Oppure fu lei a scappare?

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uno scorcio del castello di Montebello, in cui si dice sia possibile udire la voce di Azzurrina

Nessuno seppe dare risposta a queste domande, ma sono in tanti a giurare, ancora oggi, di aver udito le sue grida tra quelle stanze, il suo pianto, la sua disperazione.
Numerosi “cacciatori di fantasmi”, sensitivi, medium, od anche semplici curiosi, si recano da oltre 60 anni tra le mura del castello di Montebello, e altrettante sono le registrazioni di rumori sospetti, voci, risate, grida, fotografie di sfere luminose, ombre, sagome di bambina. Sul web è facilmente reperibile materiale che cerca di dare una spiegazione a tali fenomeni paranormali, o di smentirli. Sta ad ognuno di noi intraprendere un intimo viaggio nella conoscenza profonda del nostro essere per cercare di carpire i segreti più reconditi nascosti in fondo alla nostra anima. Chi siamo? E soprattutto: da dove veniamo? Ai posteri l’ardua sentenza.