Aiuto, si è ristretta l’intelligenza

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Aiuto, si è ristretta l’intelligenza

Ragazzi, si sta accorciando il Quoziente Intellettivo. L’intelligenza si restringe, il regresso colpisce le menti. E non si tratta di una tesi avanzata da reazionari antimoderni. Una denuncia di Cristophe Clavé ci ha messo la pulce nel cervello. “Il QI medio della popolazione mondiale era sempre aumentato – scrive lo studioso di strategie d’impresa- nell’ultimo ventennio è invece in diminuzione, a partire dai paesi più sviluppati”. Sono andato a indagare e ho avuto altre conferme. Per esempio la ricerca di due studiosi norvegesi, Brent Bratsberg e Ole Rogeberg, pubblicata dall’Accademia Nazionale delle Scienze sulla rivista Procedings, che in un arco temporale ampio di 40 anni e su un campione largo di 730 mila giovani confermano quella conclusione: si è invertito l’effetto Flynn, lo scienziato che conduceva studi sul Quoziente Intellettivo e ne vedeva lo sviluppo continuo nella popolazione nell’arco del ‘900. E invece, secondo i ricercatori è in atto da più di quattro decenni una regressione costante e crescente del QI. Fra i nati a metà degli anni ’70 e i ragazzi nati nel 1991 ci sono più di 5 punti di differenza. E cala ancora il Quoziente con i nati dopo il duemila. Studi analoghi compiuti negli Stati Uniti, in Germania e nel Regno Unito confermano il trend negativo. Cosa sta succedendo e soprattutto perché?

Tralascio le motivazioni genetiche, ambientali e alimentari; le ricerche ammettono che esse spiegano solo in parte il declino progressivo dell’intelligenza umana. Mi soffermo sul nostro sistema di vita, di relazione, di educazione, il rapporto con le tecnologie, a cominciare dalla prima, il linguaggio. Clavé insiste sull’impoverimento del linguaggio. È un dato accertato: oggi usiamo un lessico molto più povero del passato, con meno vocaboli; magari pratichiamo più lingue ma conosciamo meno la lingua madre. E al contrario del “volgare illustre” che auspicava Dante, usiamo un volgare plebeo, basic, sincopato, tecnico-commerciale, povero di tempi, modi e forme espressive.

Lo scarso lessico atrofizza l’intelligenza, che si esercita meno nella scelta dei vocaboli e dei tempi più appropriati. E ci facilitano i tutorial, i correttori automatici. Meno fatica, meno doveri, più liberi: ma la libertà qui coincide con l’impoverimento della mente. Strada facendo si capovolge in una maggiore malleabilità a essere veicolati dai regimi di sorveglianza, dai sistemi totalitari. Basta leggere 1984 di Orwell o Fahrenheit 451 di Bradbury per capire la sequenza tra parole ridotte e manipolazione, pensieri impoveriti e precotti, morte del senso critico.

Ma spingiamoci oltre. Noi viviamo in un mondo che ci sembra sempre più globale ed esteso, senza confini; eppure è un mondo da una parte sempre più ridotto e dall’altra sempre più delegato. Si spegne il confronto col pensiero e con la storia, con la religione e con la tradizione, con le differenze e le identità, tutto si riduce al solo presente globale vigente. Un mondo sempre più piccolo. I modelli vengono ridotti a un solo canone e quando diventa ideologico assume le vesti del politicamente corretto; il resto è vietato, cancellato. Non c’è passato, e di conseguenza non c’è futuro che non sia la continuazione infinita e uniforme del presente e delle sue prescrizioni. C’è una durata automatica, priva di possibili divergenze; non c’è possibilità di paragone con altri sistemi di idee e di vita. E l’idea stessa di educazione viene respinta a priori o distorta in corso d’opera.

E poi, una vita amministrata, sempre più mediata e surrogata dai mezzi di cui disponiamo, delegata alla potenza tecnologica e a un benessere preconfezionato; una vita che si cimenta sempre meno con l’imprevisto, le variazioni, le necessità che aguzzano l’ingegno. Nella vita artificiale e prefabbricata – lo denunciava già tanti anni Saul Bellow e faceva il paio con “la chiusura della mente americana” di cui scriveva Allan Bloom – l’intelligenza perde gli stimoli, agisce in automatico, deve solo apprendere le procedure, senza mai uscire dal programma e dall’unica via prescritta. Una mutazione letale per la mente.

Insomma l’intelligenza si accorcia perché si stanno restringendo i nostri mondi e le nostre possibilità anche se a prima vista si direbbe esattamente il contrario: meno originalità e più uniformità, schiacciati sul presente e sul Modello Unico di Vita, deprivati del pensiero, della cultura e dei saperi umanistici, sempre più “ammaestrati” e ridotti ai riflessi condizionati. Il mondo ci arriva comodamente a casa nostra, basta pagare.

Per dare una periodizzazione storica a questo declino potremmo dividerla in tre fasi. La prima, indicata dai ricercatori, parte dalla metà degli anni Settanta, quando gli effetti del benessere e delle comodità correlati alla contestazione globale hanno prodotto una prima tendenza involutiva della nostra intelligenza e un rigetto dell’educazione. La seconda degli ultimi vent’anni, con l’espansione prodigiosa del web, ha ulteriormente ridotto la sfera del pensare e parlare in relazione all’agire, inserendoci in procedure automatiche e puramente tecnologiche. I flussi informativi hanno sostituito i percorsi formativi.

La terza è ancora in corso: presto capiremo quali effetti avrà sulla nostra intelligenza e in particolare su quella dei ragazzi, la clausura planetaria per il lockdown, la scuola a distanza, l’interruzione di ogni forma di relazione civile, sociale, culturale, salvo quelle che arrivano dal video.

Insomma stiamo entrando a occhi bendati e orecchie tappate nell’era globale della stupidità. E non si notano in giro Grete che denuncino e mobilitino la gente per l’intelligenza in pericolo.

Marcello Veneziani , Panorama n. 15 (2021)