Stelle…

L’uomo occidentale è talmente circondato da idee e bombardato da opinioni, concetti e strutture di informazione di ogni tipo, che diventa difficile fare esperienza di qualsiasi cosa senza il filtro di queste strutture. Il mondo naturale – la nostra fonte tradizionale di comprensione diretta – sta scomparendo rapidamente.

Gli abitanti delle nostre città moderne non possono nemmeno vedere le stelle. Questo umiliante promemoria del posto che l’uomo ha nel grande disegno delle cose, e che un tempo gli esseri umani vedevano ogni ventiquattro ore, gli è negato. Non è sorprendente che l’uomo abbia perso l’orientamento, che abbia perso le tracce di chi sia veramente e di che cosa sia davvero la sua vita.

stelle

 

Le cose belle…

 

Hai tante cose dentro di te e la più nobile di tutte, il senso della felicità. 

Ma non aspettarti la vita da un uomo.

Per questo tante donne s’ingannano.

Aspettala da te stessa.

Non sarai mai felice se continui a cercare in che cosa consista la felicità.

Non vivrai mai se stai cercando il significato della vita.

Come rimedio alla vita di società suggerirei la grande città.

Ai giorni nostri, è l’unico deserto alla portata dei nostri mezzi.

Non conosco che un solo dovere: quello di amare.

Nel bel mezzo dell’inverno ho infine imparato che vi era in me un’invincibile estate.

 Albert Camus

 

cose belle

 

Un filo di baci, uno dopo l’altro…

 

Era una notte così bella, indimenticabile, sotto una trapunta di stelle, lontani da tutto e tutto, la primavera sbocciava in noi nel tepore della notte. E fu allora che la mia anima riuscì ad evadere la prigione del corpo per andare da te e fondersi con la tua..ed ora è lei che ti tiene in vita, ti nutre e ti riscalda, ti lega a me ancora; e il lungo filo che ci unisce non so da dove arrivi, ma mi piace arrotolarlo di bacio in bacio finchè mi porterà da te e sarò fuori da questo labirinto, là, dove tu mi sorridi, amore mio!

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Ucraina: la guerra segreta tra Dipartimento di Stato e Pentagono- Dove sta la verità?

Di interesse una nota di Joe Lauria su Consortium News in merito ad un articolo di Newsweek (di cui avevamo pubblicato una sintesi) nel quale analisti del Pentagono spiegano, nel dettaglio, come la Russia stia trattenendo l’uso della forza, usando le forze aeree e i missili per lo più a supporto delle forze di terra ed evitando i bombardamenti indiscriminati sui civili (qui l’integrale di Newsweek).

Secondo Lauria, quanto riferito dagli analisti a Newsweek (che riferiva informazioni che contrastavano la narrativa, imperante, del Dipartimento di Stato) sarebbe uno dei tanti indizi di una guerra sottotraccia che si sta consumando tra il Dipartimento di Stato e il Pentagono, cioè i militari, alieni da certe follie belliciste dei neoliberisti che presiedono al Dipartimento di Stato, i quali, insieme ai neocon, stanno spingendo per un ingaggio diretto della Nato nel conflitto ucraino, col rischio di innescare l’Armageddon.

Altro indizio di tale contesa, secondo Lauria, sarebbe la smentita, sempre proveniente dal Pentagono, della preparazione di un attacco chimico da parte della Russia nel teatro di guerra, tasto sul quale invece l’amministrazione Biden sta battendo molto.

Così Lauria: “La Reuters ha riferito: ‘Gli Stati Uniti non hanno ancora visto alcuna indicazione concreta di un imminente attacco russo con armi chimiche o biologiche in Ucraina, ma stanno monitorando da vicino i flussi di intelligence, ha affermato un alto funzionario della Difesa statunitense’”.

“Il funzionario del Pentagono ha affermato: ‘Non c’è alcuna indicazione che ci sia qualcosa di imminente al riguardo in questo momento’. Né il New York Times né il Washington Post – commenta Lauria – hanno pubblicato l’articolo della Reuters, apparso nel più oscuro US News and World Report”. 

Forse la dialettica evidenziata da Lauria è esagerata, ma forse anche no.  perché non c’è due senza tre… agli inizi di marzo, infatti, il Dipartimento di Stato aveva chiesto alla Polonia di fornire i propri jet da combattimento agli ucraini, richiesta a cui Varsavia, dopo aver nicchiato, ha acconsentito, a patto però che l’iniziativa fosse addebitata alla Nato.

Così si era detta disponibile a inviare i propri aerei in una base americana sita in Germania dalla quale avrebbero poi dovuto essere trasferiti nel teatro di guerra. Ma il Pentagono, ben conscio che l’iniziativa incendiaria rischiava di innescare un conflitto diretto tra Nato e Russia, ha posto il veto.

Commentando questo nascosto retroscena, Ron Paul scriveva: “Il Dipartimento di Stato sta cercando di farci entrare in guerra e il Pentagono sta cercando di tenerci fuori. Che ironia!”.

Questa guerra, dunque, si combatte su più fronti, alcuni dei quali riposti e invisibili al grande pubblico, ma non meno cruciali. Uno dei fronti è quello economico, con le sanzioni che, nelle intenzioni degli Stati Uniti, dovrebbero piegare o far collassare la Russia.

Obiettivo arduo se Mosca è sostenuta dalla Cina, da cui l’incontro tra Biden e Xi Jinping per tentare di indurre Pechino a rescindere i rapporti con la Russia. Obiettivo mancato, anche se la Cina resta in grandi ambasce, dato che teme che tale posizione gli attiri nuove iniziative restrittive da parte dell’Occidente.

Ambasce, peraltro, amplificate in questi giorni dalla tragedia aerea avvenuta il giorno dopo l’incontro con Biden, che ha causato la morte di 132 persone (per i dettagli si può leggere sul Corriere della Sera l’articolo dal titolo “Aereo caduto in Cina. Il mistero del silenzio dei piloti prima dello schianto”).

Non solo la Cina, anche l’India sta dando grandi grattacapi alle Cancellerie occidentali, dal momento che anche l’altro gigante asiatico si è rifiutato di aderire alla campagna di contrasto alla Russia, dati i suoi legami con Mosca.

Il pressing per convincere New Delhi non sta dando risultati, anzi: a una delegazione britannica di alto profilo, che avrebbe dovuto recarsi in India in questi giorni, è stato chiesto di evitare il viaggio (Guardian). E oggi il ministro degli Esteri cinese Wang Yi si è incontrato con il consigliere per la sicurezza nazionale indiano Ajit Doval (incontro inusuale dati i recenti aspri contrasti tra i due giganti asiatici).

Wang Yi era reduce da una visita in Afghanistan (la prima volta che un funzionario di così alto livello di Pechino si receva nel Paese limitrofo dopo l’ascesa al potere dei talebani). Così è molto probabile che, oltre alla situazione internazionale dominata dalla guerra ucraina e dalle conseguenze economiche della stessa, i due abbiano parlato anche di come stabilizzare la situazione a Kabul, che le sanzioni americane hanno messo in ginocchio.

Sull’Afghanistan riportiamo quanto scrive il sito del Libertarian Institute: “Il governo afghano ha stimato che oltre 13.000 neonati sono morti nel Paese quest’anno, appena sei mesi dopo che gli Stati Uniti hanno ritirato gli aiuti umanitari, sequestrato i conti bancari ufficiali e sanzionato il nuovo regime di Kabul”. Nessuno racconta questa tragedia, perché a uccidere, in questo caso, non sono le bombe russe, ma le più democratiche e liberali sanzioni americane.

Tanto democratiche e liberali che vengono esaltate esplicitamente… Due giorni fa, ad esempio, la scomparsa dell’ex Segretaria di Stato Madeleine Albright, elogiata da tutti i media mainstream perché, prima donna a ricoprire la carica di Segretario di Stato (grazie alla sua amicizia con la First Lady Hillary Clinton), ha avuto il “merito” di aver organizzato la guerra dei Balcani, forgiando la “leadership” Usa del post ’89 (così il Washington Post).

Di lei ricordiamo anche una caduta di stile, ripresa da Democracy Now, molto illuminante, insieme al ritratto del Wp, per quanto riguarda l’attualità, che riguardava le conseguenze delle dure sanzioni inflitte all’Iraq: “‘Nel maggio del 1996, 60 Minutes trasmise un’intervista a Madeleine Albright, che all’epoca era l’ambasciatrice alle Nazioni Unite della presidenza Clinton”.

“La corrispondente Leslie Stahl chiese all’Albright: ‘Abbiamo sentito che mezzo milione di bambini sono morti. Voglio dire, sono morti più bambini che a Hiroshima. E… e, sai, ne vale la pena?’ Madeleine Albright risposte: ‘Penso che questa sia una scelta molto difficile, ma il prezzo… pensiamo che ne valga la pena’”.

Un albero ,lo guardo e penso che…

 

Se si osserva la natura con attenzione, da lei si apprende molto. Soffermarsi su un albero e analizzare la sua vita si può vedere una specie di santità. Ecco perchè i santi sono forse come gli alberi. Essi non chiamano nessuno, nè scacciano nessuno. Danno ospitalità a chiunque abbisogni di un riparo, che sia un uomo, una donna, un bambino, un animale. Se ti siedi sotto un albero, egli ti proteggerà dalle intemperie ,da un sole cocente come da una violenta pioggia ; inoltre ci regala fiori e frutti. Tuttavia, anche se un essere umano gioisce per tutto questo e un uccello si nutre di lui, all’albero tutto questo non interessa; il suo essere e ciò che fa sono là per chi va e ne beneficia.

sotto l'albero

Non è sottile la differenza tra memoria e ricordo…

Voglio raccontare la differenza tra memoria e ricordo. E inizio citando un autore  nato giusto due secoli fa. Il ricordo, spiegava Soren Kierkegaard nell’opera In Vino veritas, non è la memoria. Il vecchio, ad esempio, perde la memoria ma gli resta qualcosa di profetico e poetico, i ricordi. Il ragazzo, invece, ha una forte memoria e pochi ricordi. Miopia e presbiopia delle menti. Il ricordo suscita il sentimento della perdita, la nostalgia.  “Un fatto nella vita che sia ricordato, è già entrato nell’eternità”. Chi ricorda non è indifferente, mentre la memoria può essere anche un magazzino di date e di fatti. La memoria, poi, è soprattutto pubblica e storica, il ricordo è soprattutto intimo e affettivo: commemori i defunti, ricordi i tuoi cari. Ricordo, lo dice la parola, chiama al cuore; la memoria è più una facoltà intellettiva. È sbagliato usare le parole memoria e ricordo per evocare solo gli orrori, quasi che la storia sia il cimitero del Male. Ci sono memorie importanti del passato che non sono funeste e ci sono ricordi teneri e dolci: quel che è vivo in loro si fa tradizione. Salviamo i ricordi e la memoria dall’identificazione con l’Orrore. Altrimenti verrà solo voglia di cancellare il passato.

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Il bambino chiese alla bambina di dire nel barattolo: “Ti amo”, senza fornirle altre spiegazioni.

E lei non gliene chiese, né disse ‘che sciocchezza’, o ‘siamo troppo giovani per l’amore’; e non suggerì neanche alla lontana che diceva ‘ti amo’ perché glielo aveva chiesto lui. Invece, gli rispose: “Ti amo”.
Il messaggio viaggiò per lo yo-yo, la bambola, il diario, la collana, la trapunta, il filo da bucato, il regalo di compleanno, l’arpa, la bustina da tè, la racchetta da tennis, l’orlo della gonna che un giorno lui avrebbe dovuto toglierle…
“Che schifo!”
Il bambino coprì il suo barattolo con un coperchio, lo staccò dalla corda e collocò l’amore della bambina per lui su un ripiano nel proprio armadio. Ovviamente, non poté mai aprire il barattolo perché altrimenti avrebbe perso il contenuto.
Gli bastava sapere che era lì.

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La nave dei filosofi nel buio della notte russa…

Avete mai sentito parlare della Nave dei filosofi? Se associ il filosofo alla navigazione ti sovviene l’immagine famosa di Platone che naviga tra Atene e Siracusa per dare inutili consigli al Tiranno, che gli costeranno cari. O quella di Seneca verso l’esilio in Corsica perché accusato di adulterio  O più recenti immagini di Martin Heidegger che in età matura torna all’origine del pensiero e va per la prima volta in Grecia, in crociera; o Ernst Junger che va a riscoprire la natura in Sardegna e poi scrive dei suoi soggiorni. Ce ne furono altre di navigazioni dei filosofi, ma si trattava solitamente di viaggi solitari, a volte con moglie al seguito, di solito volontari o per prevenire repressioni di regime. Ma cent’anni fa, il 1922, avvenne la prima deportazione in massa degli intellettuali, pensatori, scienziati sociali e scrittori. Avvenne in Unione Sovietica quando c’era ancora Lenin, a dimostrazione che il Terrore, il gulag, la deportazione e la persecuzione dei dissidenti comincia col fondatore del comunismo e non con Stalin. Per la prima volta nella storia decine di intellettuali e loro congiunti ritenuti dissidenti rispetto al regime sovietico vengono imbarcati e deportati. Lasciano le loro città, le loro terre, vengono privati dei loro libri e spediti nell’altrove. A dare il via è lo stesso Lenin che scrive un articolo Sull’importanza del materialismo militante e punta il dito contro “i servi ideologici della borghesia”. “L’espulsione degli elementi controrivoluzionari e dell’intellighentsia  borghese è il primo avvertimento del potere sovietico a questi elementi sociali”, scriveva la Pravda agli esordi della repressione. È il primo evento contro l’élite intellettuale nel Novecento, il precedente storico è il Terrore giacobino dopo la Rivoluzione francese che aveva mandato al patibolo poeti come André Chenier e scienziati, filosofi e chimici come Antoine-Laurent de Lavoisier. Ci furono gli emigrati dissidenti che si rifugiarono a Coblenza, poi bombardata dai rivoluzionari francesi, prima di passare alla Prussia; ma non si trattò di deportazione di gruppo, come accadde invece nella Russia comunista di Lenin. La storia dell’obbligo ritiene che gli intellettuali siano perseguitati dai regimi reazionari, conservatori e autoritari, per non dire dei regimi fascisti; ma la deportazione, persecuzione ed uccisione di intellettuali non allineati attiene in realtà all’assolutismo rivoluzionario, che degli assolutismi fu il più efferato, anche rispetto alle monarchie assolute del passato; e poi al totalitarismo comunista in cui la persecuzione raggiunse l’apice. Se nel nazismo il dissenso intellettuale assunse più le forme di emigrazione, inclusa quella interna e interiore, come del resto era già avvenuto nella Russia sovietica (la stessa definizione di migrazione interiore è di Lev Trotskij e si riferisce al 1924), solo nei regimi comunisti la persecuzione del dissenso fu capillare, radicale, a volte arrivando allo sterminio. Il regime intellettuale per antonomasia, ispirato da filosofi come Marx ed Engels e fondato da intellettuali come Lenin e Trotskij, fu il più spietato con gli intellettuali, considerando i “peccati teorici o ideologici” più gravi di quelli pratici. L’ideocrazia del comunismo fu, da questo punto di vista, l’epilogo materialista e secolare dell’Inquisizione e della persecuzione religiosa per eresia. Ma cos’era e chi trasportava la Nave dei filosofi? Si trattava del mercantile tedesco Oberburgmeister Haken e di un’altra nave tedesca, la Prussen; la prima in particolare fu ribattezzata da Glavaskij “nave dei filosofi”, allontanati per sempre dai luoghi in cui vivevano e lavoravano. Organizzò il loro viaggio il capo della polizia sovietica, Dzerzinskij autore dei dossier contro di loro – erano russi e ucraini – li fece arrestare dalla GPU e offrì la scelta obbligata tra l’esecuzione e la deportazione, previo espulsione, pagandosi il viaggio, senza la possibilità di portarsi con sé nulla, inclusi i loro libri di studio. Le due navi partirono da san Pietroburgo e approdarono a Stettino. Tra di loro c’era tutta l’intelligentsija russa composta da professori, storici, artisti, scrittori e filosofi, contrari al bolscevismo e legati alla tradizione spirituale e religiosa russa. Tra di loro spiccavano tre figure, note ormai alla cultura occidentale. Uno è Sergeij N. Bulgakov che nella sua opera La luce senza tramonto, sosteneva che la rivelazione divina si palesa attraverso il miracolo e la libertà, senza transitare da un sapere. Un altro è Nicolaj A. Berdjaev, che cercava un ponte tra filosofia e religione attraverso la libertà e critica l’elevazione dello Stato a divinità in terra. Interlocutore di entrambi fu Padre Pavel Florenskij che invece sosteneva l’esigenza di un sapere spirituale fondato metafisicamente e figurava uno Stato teocratico in un libero assoggettamento dell’individuo allo Stato; era un po’ quel che sosteneva in un altro contesto non teocratico, il nostro filosofo Giovanni Gentile quando figurava il coincidere del volere individuale col volere universale dello Stato, fino a identificare libertà e autorità. Fu espulso e imbarcato anche il sociologo cristiano Pitirim A. Sorokin, che scrisse poi memorabili saggi di filosofia della società; ma il suo viaggio verso l’Occidente dove morì nel 1968, proseguì in treno. In quella deportazione fu risparmiato Florenskij, perché oltre che filosofo e teologo era anche scienziato e chimico e dunque serviva al regime e in fondo non aveva invocato apertamente la libertà dallo Stato ma un diverso indirizzo d’ispirazione alla guida dello Stato. Alla fine però a lui andò peggio: fini prima alcuni anni nel gulag pur continuando a lavorare per la scienza e la sperimentazione del regime sovietico, e infine fu fucilato nel giorno dell’Immacolata del 1937. I deportati della Nave dei filosofi non fecero più ritorno, si dispersero nell’altrove e nel buio del comunismo.

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L’arpa di cristallo…

Le sue dita scorrono veloci e delicate. Sorride, cogliendo la sorpresa e l’emozione di chi lo sta ascoltando. Ci è abituato perché non è un musicista qualsiasi: non suona tasti, corde o archi bensì… bicchieri. Robert Tiso, nato in Gran Bretagna nel 1968 e vissuto per anni in Italia, dopo aver a lungo viaggiato per lavoro è ritornato nel Belpaese agli inizi del 2000 stabilendosi nel Padovano. Con una passione cui non sa più sottrarsi: suonare il cristallofono, un antico strumento musicale formato da più bicchieri di cristallo con una cassa lignea di risonanza da lui stesso costruita. Sono pochi a saperlo fare con la sua maestria. Anche perché l’arte, serbata nel segreto, è stata tramandata da pochi a pochi nel corso dei secoli e Robert l’ha appresa studiando, provando, parlando con chi era disposto a raccontargli qualcosa. Oggi ne ha fatta la sua professione, proponendo a pubblici e privati la sua arte.

Ma cos’è il cristallofono? Quanti di noi da bambini o semplicemente nel lavare bicchieri dopo una cena con amici hanno sperimentato di quale suono splendido sia capace il cristallo: basta un dito umido fatto scorrere leggero in modo circolare sull’orlo del bicchiere per creare un tono sonoro etereo. Bicchieri di diverse misure e spessore producono poi suoni e toni differenti, regolabili aggiungendo per esempio dell’acqua, fino a ottenere le più svariate e famose melodie.

L’arte di suonare il vetro, già nota in Persia nell’XI sec. dove venivano suonati a percussione alcuni strumenti di vetro perfettamente accordati, giunse in Europa forse nel XV sec. con successivi perfezionamenti nel XVIII. Nel 1761, lo statista ed inventore americano Benjamin Franklin vide suonare in Inghilterra alcuni bicchieri d’acqua e decise di inventare l’armonica di vetro, strumento più complesso.

Oggi alcuni hanno ripreso a esplorare le possibilità musicali del vetro perché il suo suono fa bene alla salute. Ha un alto potere rilassante e attiva la fantasia: “Le musiche più adatte sono certo quelle del repertorio classico, come ‘Per Elisa’ di Beethoven, oppure Mozart, Tschiakowsky ma anche musiche moderne come la colonna sonora de ‘Il padrino’, la canzone ‘Yesterday’ o l’inno nazionale inglese. I suoni che ne derivano sono dolci, benefici come chi fa musicoterapia sa bene”.

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Dio si è dimesso…

Dio si è dimesso. Ha diramato un secco comunicato apparso nei cieli e su tutti i display dell’universo in cui ha annunciato le dimissioni. Seccato dalla brutta piega assunta dal mondo, presumo, scocciato dalle bestemmie contro di lui e dalle religioni che lo usano male, avvilito dalla presunzione d’inesistenza a cui è stato ridotto dalla ragione e dalla tecnica, il Padreterno ha deciso di lasciare il mondo al libero arbitrio. Sono sorte due scuole di pensiero per spiegare il suo apocalittico gesto. Gli uni sostengono che Dio si è dimesso perché non sopportava di vedere i bambini massacrati, i cristiani perseguitati, i popoli esodati, i migranti annegati, gli aerei abbattuti, la famiglia demolita, i sessi mutati, il malessere pubblico e privato, la disperazione diffusa, perfino il clima pervertito…La scuola opposta sostiene il contrario, che da quando Dio si è dimesso accade tutto questo, pure l’estate si è fatta trans; ma la notizia delle sue dimissioni sarebbe giunta a noi con un’ora luce di ritardo. In realtà anche prima c’erano stermini e malvagità, non è una novità. Resta il segnale che stavolta Dio non ha rilasciato tavole né dichiarazioni sul Sinai.

Dimettendosi dal mondo, Dio dimostra tre cose: 1) che non è morto, come dicevano i malpensanti, ma è solo deluso; 2) che si dimette dal mondo per dedicarsi ad altri mondi o crearne altri migliori; 3) che il mondo fa (più) schifo senza di lui.

Le dimissioni saranno respinte all’umanità, ma non all’unanimità. E purtroppo non saranno imitate. Dio ci perdoni.

MV

 

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