Dopo le feste…

 

E quando tutti se ne andavano
e restavamo in due
tra bicchieri vuoti e portacenere sporchi,
com’era bello sapere che eri lì
come una corrente che ristagna,
sola con me sull’orlo della notte,
e che duravi, eri più che il tempo,
eri quella che non se ne andava
perché uno stesso cuscino
e uno stesso tepore
ci avrebbero chiamati di nuovo
a svegliare il nuovo giorno,
insieme, ridendo, spettinati.

Julio Cortázar

 

noi due

La mente non comprenderà mai il mondo, se non che non può far altro che subirlo, e accettarlo-

 

Il mondo è come un foglio di carta sul quale  viene digitato qualcosa. La lettura e capirne il senso dipenderà da chi legge, nonostante il foglio sia uguale per tutti, sempre presente, percepito raramente. Quando il nastro viene rimosso, la digitazione non lascia traccia sulla carta. Così è la mia mente: le impressioni continuano ad arrivare, ma non rimane traccia.

 

il-mondo-incomprensibile-di-max-slobodda

Foto di Max  Slobodda

 

Una scatola di stelle

 
Emma sapeva cosa avrebbe trovato sotto l’albero, d’altra parte i regali li aveva chiesti a mamma e papà. Di sorprese non ce ne sarebbero state e all’esistenza di Babbo Natale non ci credeva più.

«Tutte stupidaggini… favolette per bimbi sciocchi» aveva detto alle sue compagne di classe. Molte le diedero ragione, solo Alice storse il naso: «Invece, a me piace pensare che Babbo Natale arrivi con i suoi doni. La sorpresa di non sapere cosa ci sarà dentro il pacchetto infiocchettato è il vero regalo. È l’attesa di scoprire cosa ti meriti e cosa davvero ti fa felice… capisci?».

Emma sbuffò infastidita: «Credi ancora a queste cose? Povera ingenua!».

Alice abbassò gli occhi. Era una sognatrice e spesso tutte le altre ragazzine la prendevano in giro per le sue idee fantasiose. «Sai Emma» le disse, certe volte accade di vedere cose brillare senza un motivo. Sono i doni della fantasia e dell’immaginazione. Doni preziosi che non hanno prezzo».

Emma indietreggiò pensando che Alice fosse impazzita e si ripeté con convinzione che le sue preferenze erano ben altre: giochi elettronici, bei vestiti e smalti lucidissimi per pitturare le unghie, come quelle delle star. Altro che magie! Eppure, nonostante dimostrasse sicurezza e arroganza, si sentì a disagio di fronte ad Alice.

In effetti a Emma mancava qualcosa che avrebbe riempito il vuoto che sentiva dentro. Nello stomaco. Nella mente. Cercava ciò che non c’era. Che non possedeva. Ma cosa, ancora non lo sapeva. E di certo non era uno dei doni che aveva chiesto ai suoi genitori. La vigilia era alle porte e quando Emma uscì con sua madre per fare gli ultimi acquisti vide una gatta gironzolare proprio sotto casa. Lasciava impronte a forma di stelline dorate… no, le zampe non erano sporche, eppure le macchie stampate sul marciapiede erano proprio a forma di stella.

«Guarda mamma….che strana quella gatta, lascia delle stelline. Le vedi? Mi piacerebbe raccoglierle» esclamò sgranando gli occhi.

«Ma che dici? Hai le traveggole? Non accarezzarla, Può graffiarti» rispose seccata la donna.

Come era possibile che sua madre non avesse visto quelle orme a cinque punte?

Mentre la domanda le frullava nella testa, vide la gatta strofinare il muso sui pantaloni di un omone dalla barba lunga e gli occhiali scesi sul naso. Indossava un cappotto rosso e liso, un cappello floscio e le scarpe erano slabbrate. Si fermò a guardare la scena, mentre sua madre continuò a camminare a passo svelto verso i negozi del centro. In quel momento arrivò Alice e senza alcun indugio si mise a parlottare con quell’uomo e subito dopo diede una carezza alla gatta che immediatamente iniziò a fare le fusa.

Emma rimase di stucco, la sua compagna di classe conosceva quell’uomo, un barbone come tanti che aveva una gatta davvero stramba.

«Alice, conosci quel barbone?» chiese quasi schifata.

«Sì, è molto buono e gentile» le rispose.

«E la gatta? Hai visto che lascia delle stelline sul marciapiede? Vorrei raccoglierle» Emma sperava che almeno lei lo confermasse.

Alice si mise a ridere e se ne andò saltellando lasciando Emma a bocca aperta.

Una vocina le arrivò alle orecchie: «Ti piacciono le mie stelline?».

Emma si guardò intorno, l’uomo era scomparso ed era rimasta solo la gatta: «TU PARLI?» esclamò irrigidendosi.

«Quando è il caso…parlo» rispose la gatta.

Emma cominciò a tremare: «No… no… non è possibile. Sto impazzendo… come Alice».

«Non avere paura, lascia che il tuo cuore ti indichi la via giusta. Quella dei desideri più belli. È Natale e tutti dobbiamo esser più buoni e sinceri» disse la gatta dileguandosi tra la folla che riempiva le strade colme di luci colorate e addobbi argentati. Sul marciapiede rimasero solo le sue impronte dorate.

La sera della vigilia il freddo pungeva più degli spilli. Le previsioni del tempo davano nevicate abbondanti e questo preoccupò Emma che continuò a chiedersi dove mai si rifugiasse quell’uomo barbuto e soprattutto dove fosse finita la gatta parlante con le sue orme a stella. Mentre scartava i regali non riuscì a gioire di quei doni tanto desiderati e le vennero in mente le parole di Alice.

D’un tratto qualcuno suonò al campanello ed Emma corse ad aprire. Sul pianerottolo c’era una piccola scatola. Quando l’aprì vide volare mille stelle dorate, identiche alle orme lasciate dalla gatta. Immersa in quella pioggia natalizia sentì il cuore riempirsi di gioia. Era il dono più bello e inaspettato che avesse mai ricevuto. Corse in casa e andò verso la finestra. Guardò la neve scendere e in mezzo alla strada vide l’uomo con il cappotto rosso e la gatta bianca fermi davanti ad un lampione. Assieme a loro c’era anche Alice. In coro le gridarono: «Buon Natale Emma. Ora hai il dono che meritavi».

MOONY WITCHER

babbo natale1

Nuova educazione sociale…

 

Penso che sia necessario
educare le nuove generazioni
al valore della sconfitta.
Alla sua gestione.
All’umanità che ne scaturisce.
A costruire un’identità
capace di avvertire una comunanza di destino,
dove si può fallire e ricominciare
senza che il valore e la dignità
ne siano intaccati.
A non divenire uno sgomitatore sociale,
a non passare sul corpo degli altri
per arrivare primo.
In questo mondo di vincitori volgari e disonesti,
di prevaricatori falsi e opportunisti,
della gente che conta,
che occupa il potere, che scippa il presente,
figuriamoci il futuro,
a tutti i nevrotici del successo,
dell’apparire, del diventare….
A questa antropologia del vincente
preferisco di gran lunga chi perde.
E’ un esercizio che mi riesce bene:
mi riconcilia con il mio sacro poco.
Pier Paolo Pasolini

PREVARICATORE1

Poichè il mondo appartiene agli uomini tutti, non alla politica in esclusiva, questi dovrebbero essere i timonieri di questa grande nave, che ha perso la rotta.

 

Essere ottimisti quando i tempi sono cattivi non è poi così stupidamente romantico. L’ottimismo nasce dal constatare che la storia dell’umanità è una storia non solo di crudeltà, ma anche di compassione, sacrificio, coraggio, gentilezza . A indirizzare la nostra vita sarà quello che noi scegliamo di evidenziare in questo complesso percorso storico. Se guardiamo solo il peggio, perdiamo ogni capacità di fare qualsiasi cosa. Se ricordiamo quei tempi e quei luoghi- e ce ne sono tanti- dove i popoli si sono comportati in modo magnifico, questo ci stimola dandoci energia per agire, e alla fine la possibilità di mandare in un’altra direzione questa trottola di mondo. E se noi agiamo, tuttavia ,anche solo per una piccola parte, non dovremo attendere molto per questo utopistico futuro. Poichè il futuro è una successione infinita di presenti, e vivere ora come pensiamo dovrebbero vivere gli esseri umani, una sfida a tutto ciò che è brutto intorno a noi,  è di per sè una meravigliosa vittoria-

giasone

 

..e neanche il cielo le dava il respiro…

 

Il cielo sempre uguale sembra non leggere il tormento,il respiro di lei che si fa affanno, scuote il petto, fa tremare le mani che nel tempo passato erano rami che si tendevano verso l’azzurro silenzioso. Ma il cielo non ha porte e, se ascolta, le sue orecchie sono quelle dell’erba o di una pietra. Il cielo è vuoto, un palco in cui si avvicendano il tempo luminoso e quello oscuro, e lo scenario cambia come cambia il tempo, le stagioni, come si accalcano stelle pianeti costellazioni e la luna silenziosa.
E’ un palco senza attori, senza storie, senza qualcuno che le scriva o le racconti. Ha parole secche sulle labbra. Lei sta a guardarlo, a volte. E’ lontanissimo, assente, ormai vuoto di senso.
Il cielo era preghiera. Era la pioggia che scivolava sopra i vetri,
un pianto grande come il mondo, e poi era il silenzio in cui si apriva il velluto piccolo dei fiori.
Era parole di carta, era canzone sussurrata, era il sentiero erboso pieno di pietre e di sterpaglie che si arrampicava su scale misteriose.
Il cielo era lei, la sua voglia di cantare sottovoce, di stringere le mani della gente, era il suo sguardo stupefatto quando nubi caracollavano nell’aria e poi brucavano le stelle.
Forse il cielo finisce, come la speranza.

cielo ricco

 

Con la vecchiaia si restringe il mondo…

Venti contro venti. L’anno che verrà si annuncerà una svolta importante nella storia sociale e anagrafica del nostro paese: si sfiorerà la parità tra venti milioni di lavoratori e venti milioni di pensionati. Il terzo restante, tra bambini, casalinghe, disoccupati, agiati e sommersi, completa la popolazione italiana. Tra pochi anni, poco più di una decina, avverrà il netto sorpasso degli anziani in quiescenza sui lavoratori. Ma non solo: le risorse pubbliche sono già assorbite per metà dalla previdenza (il 48%) e per oltre un quinto dalla sanità (21,8%). Insomma le risorse pubbliche vanno per il 70% in prevalenza sugli anziani, più che sui giovani, sulle politiche sociali (18,2%) o sull’istruzione (11,6%). A indicarlo è il Rapporto 2022 del Think Tank «Welfare, Italia».
Può far piacere sapere che grazie alla longevità e al benessere tanti italiani potranno godersi a lungo la pensione. Ma il fatto che per ogni lavoratore ci sia un pensionato, è una prospettiva socialmente ed economicamente preoccupante: il sistema previdenziale e pensionistico così non può reggere, è sempre più vicino al collasso; e l’Italia senza giovani e senza bambini, sprofondata nella terza età, non ha futuro. Ma non vorrei ripetere la solita denuncia sul paese di vecchi e nemmeno il pistolotto confortante per cui essere anziani oggi è cosa ben diversa da ieri, perché i pensionati hanno energie, sono in larga parte benestanti, anche se sono più soli e depressi.
Ma resta un nodo: quando si diventa vecchi, ovvero qual è il punto di passaggio alla senilità? Non cerco una risposta medica, scientifica o statistica, ma esistenziale, legata cioè alla realtà della vita.
Se dovessi definire, da vecchio ancora giovane, qual è l’aspetto saliente della vecchiaia, direi in una sola frase: si diventa vecchi quando si restringe il mondo e non solo il tempo futuro a tua disposizione. Si restringono le possibilità e le risorse, che si fanno meno accessibili, meno vaste e meno vigorose; si restringono molte facoltà, fisiche e mentali, si impoveriscono le energie e il fuoco che le ravvivava; si restringono i nomi che ricordi, insieme con i neuroni si accorciano le possibilità mnemoniche e le sinapsi; si accorcia la durata e la resistenza a ogni cosa, non solo urinaria, muscolare o respiratoria; si restringono le opportunità, le cose che puoi fare, che puoi bere e che puoi mangiare; si restringono i piaceri e le performance vitali, le pulsioni naturali; si restringe il campo visivo e uditivo, ma anche gli altri sensi battono la ritirata, come i riflessi; si restringono i luoghi a cui puoi accedere, gli stadi e gli stati che prima raggiungevi; sei condannato alla prossimità; si restringe il numero delle persone che conosci e frequenti perché i morti e i malati svuotano il tuo mondo; si restringono le aspettative e la vita attiva, passando sempre più da protagonisti a spettatori, comparse, figure di passaggio. Si diventa sempre più spettatori e sempre meno attori e non solo nel senso cine-televisivo, da divano; anche nella vita si restringe lo spazio delle tue relazioni, vivi la vita degli altri, sei come alla finestra; i fatti ti riguardano sempre meno; sei solo uno spettatore, non sei più dentro la scena ma fuori. Se guardi una bella ragazza, sai che la cosa non ti tocca più direttamente; sei fuori, la osservi come se la vedessi in un video, non ti può riguardare. E così molti atti vitali sarebbero inappropriati e malvisti; devi mantenere la sobrietà, ovvero lasciar vivere gli altri al posto tuo. Si restringe anche il ruolo sociale, la rilevanza, la considerazione.
Non è dunque solo il tempo ad accorciarsi, che già genera qualche infelicità se non angoscia; ma il mondo si fa più piccolo, il campo delle possibilità si restringe sensibilmente e progressivamente. Si contrae, si accartoccia e si avverte che il processo è irreversibile, è un punto di non ritorno, di sola andata, in discesa. Senza possibilità di rivincita o di risalita. Questa è propriamente la vecchiaia, oltre gli acciacchi: il mondo ristretto; vivere, fare, essere meno. Vivere col segno “meno”.
Ci sono poi eterei risarcimenti, sottili compensazioni e tenui conforti: è possibile raggiungere una certa sazietà di vita e un gentile distacco dalle cose; c’è libertà di sottrarti a ciò che non ti piace e di vivere, hai meno obblighi e meno ansie, devi dar conto sempre meno, hai possibilità maggiori di contemplare la vita, di apprezzarne le sfumature, che nella fretta e nella furia delle tante possibilità vitali sfuggono ai più giovani. La lentezza dei vecchi non deriva solo dal peso degli anni e dei malanni, ma anche dal più lungo tempo a disposizione, il tempo libero che si allunga mentre si va accorciando la vita, gli affanni cedono il posto alla calma. C’è poi la bellezza della nostalgia, la dolcezza amara dei ricordi…Con la senilità sorge la tendenza naturale a farsi più spirituali, più leggeri pur nell’età grave, cercatori ostinati di luce rispetto al buio, alla sera e alle notti; ridimensioni l’importanza delle cose, e lo stress che ne scaturiva, fino a cogliere la loro irrilevanza; dai meno peso a molte faccende e vicende un tempo importanti e dai più peso ad altre che passavano inosservate.
Si, ci sono anche vantaggi e conquiste col passare degli anni, che un tempo andavano sotto il nome di saggezza, la saggezza dei vecchi. Magre consolazioni? Non saprei, segnano il passaggio dalla ricerca della felicità alla ricerca della serenità, ma la vita va accettata in tutte le sue stagioni e ogni stagione nel modo proprio che le si addice. Con amor fati.

I giovani nella nuova era…

 

I ragazzi di oggi sono gia abbastanza diversi dai loro genitori, famiglie poco unite, affetti indecifrabili, vita senza valori e punti di riferimento molto scarsi, ma il gran numero di bambini che nasceranno avrà conoscenze approfondite di elettronica, conoscerà la potenza energetica dell’atomo per poterla sfruttare a beneficio proprio, cosi come molte forme di energia. Essi cresceranno tra scienziati, ingegneri, intelligenze artificiali, robot, sicuramente perderanno molte prerogative derivanti da riflessioni spirituali, etiche ed emozionali. Le nuove generazioni vivranno in una nuova era, che avrà la forza di distruggere la civiltà a meno che non tralascino l’insegnamento delle leggi spirituali e continuino a seguirle.

i giovani e il futuro1

Se manca una persona…

 

Molta gente immagina che , quando si perde un amore, la mancanza si percepisca allo stesso modo di quando si decide di smettere di fumare. Il primo giorno è realmente dura, il giorno seguente un po’ meno e così via, più facile e sempre più facile man mano che si va avanti. Invece non è così- Succede come quando viene a mancare l’acqua. Ogni giorno , che passa, la mancanza della persona si sente sempre di più-

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