Quando e perchè una persona cambia…

“Un essere umano cambia quando cambiano i suoi desideri la cui somma si chiama speranza, i quali, invece di tendere verso i bisogni, salgono e divengono aspirazioni, così che, invece di sentire il desiderio irresistibile dell’ennesimo paio di scarpe o di una borsa o di una camicia, o di una carica o di un riconoscimento o di un applauso, inizia a sentire il desiderio di meno scarpe, meno borse, meno camicie, meno cariche, meno riconoscimenti, meno applausi, meno tutto, solo cose vere, per favore, solo cose e persone vere, per favore: musiche vere, pagine vere, amici veri, relazioni vere. Vita autentica.”

Vito Mancuso, Il coraggio e la paura

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Bellezza e Amore…

 

Noi siamo ossessionati dalla bellezza al punto da dimenticare che l’amore non ha nulla a che fare con la bellezza. L’amore non ha la bellezza come presupposto:l’amore la crea.La bellezza è una cosa finita, l’amore è un ‘emozione sentimentale astratta. La bellezza non può venire prima dell’amore, ma è l’amore che rende belle le cose,e bellissime le persone che amiamo.

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Lavorare ed essere felici..

 

Un ragazzo ,libero dal desiderio di possedere e dal fardello della competizione economica, cresce con la voglia di fare ciò che bisogna fare ed è capace di essere felice nel farlo.E’ il lavoro inutile che rattrista il cuore. La gioia dell’infermiera, dello scolaro, del cacciatore abile, del bravo cuoco, di colui che ha grandi capacità creative, di ognuno che, facendo il lavoro che deve fare, lo fa al meglio, allora questa gioia ,che dura nel tempo è la più profonda forma di affetto umano e di socialità; insomma è tutto.

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A Firenze, in mostra agli Uffizi fino a settembre, le celebri riviste del Novecento, nella città in cui sono nate per volere dei giovani intellettuali , che volevano cambiare il mondo .

Le mitiche riviste del nostro Novecento sfilano in rassegna nella loro città d’origine, Firenze, in mostra alla Galleria degli Uffizi fino a settembre: Leonardo, Lacerba, La Voce e poi tutte le altre, futuriste e no. I nomi dei protagonisti sono Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini, Ardengo Soffici, Tommaso Marinetti; ma anche Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Leo Longanesi, Curzio Malaparte, Massimo Bontempelli, fino a Benedetto Croce e altri. Stavolta, il ministro dei beni culturali che inaugurava la mostra non era un occasionale passante: Gennaro Sangiuliano è autore di un’ampia biografia di Prezzolini, ora ristampata da Mondadori. Per capire quando e come furono concepite quelle riviste, bisogna risalire a un giorno di primavera dell’inizio secolo, il ‘900, a Firenze.
Il 12 aprile del 1900 quattro ragazzi pazzi decisero in una cantina di cambiare l’uomo, l’Italia e il mondo. Neanche vent’anni ciascuno ma con l’ambizione folle di rinnovare l’arte, la filosofia e l’umanità, dopo aver seppellito in fretta la religione. Li ho immaginati quei quattro ragazzi che celebravano da iconoclasti l’avvento del nuovo secolo, passeggiando nel fango, tra brume leggere, lungo le rive dell’Arno. Li ho visti nel diario di Giovanni Papini dedicato al 1900 e nel diario parallelo di Prezzolini. I quattro amici erano Alfredo Mori, un giovane talento filosofico proveniente da una famiglia di pazzi e suicidi; Ercole Luigi Morselli, che invece studiava psichiatria, ma anche lui pazziava tra poesia e filosofia; poi Giuseppe Prezzolini, soprannominato Tormento, più freddo e distaccato di Papini, più cinico e realista, che professava di non credere in nulla, a cominciare da se stesso, “amore infrenato di libertà e d’indipendenza”, “assenza completa di sentimentalità”, secondo Papini; infine lo stesso Papini, con “i capelli ricciuti come un’aureola”, “gli occhi miopi e bulbosi” che pesca dai cassetti ritagli di giornali “con mani rapaci e poi li sbandiera e gli occhi gli splendono”, feroce stroncatore del prossimo, “dioneguardi se guardasser lui gli altri come lui guarda gli altri”(Prezzolini dixit). Quella confraternita avida di libri e di saperi, fiorisce nel primo anno del Novecento all’ombra di un filosofo che riassume la pazzia iconoclasta e la filosofia col martello che li pervade, un filosofo morto giusto nel 1900, lasciando ai posteri la vertigine di quel lutto: Friedrich Nietzsche, il dionisiaco. In quei quattro ragazzi d’inizio secolo c’è il riassunto eroico del Novecento: la voglia di cambiare radicalmente le cose, la velleità di fondare l’uomo nuovo e nuovi saperi, di liquidare il passato e rovesciare il mondo come un calzino. A cominciare dall’Italia che a Papini sembrava “un paese senza vita, senza unità ideale, senza scopo comune. Tutto smorto, tutto assonnato. Ognun per sé e qualche camorra per molti”.
Fu così che agli albori del ‘900 i quattro amici, dopo una gran bevuta di marsala nel sotterraneo della casa di Prezzolini, scrissero il “Proclama degli spiriti liberi” che riassumeva il progetto faustiano del secolo: abolire i legami, i dogmi e i principi, mettere tutto in comune, aborrire il matrimonio, creare, leggere, dipingere, suonare. Ma soprattutto far dell’Io il nuovo Dio. Questo era il programma di Papini, che aveva dato a quel Proclama un’ubicazione cosmica: risultava infatti scritto sì nella cantina di via Cherubini 3 ma in “Firenze (Italia Europa Terra Sistema Solare Universo)”. Tutta la rivoluzione sarebbe nata o meglio sarebbe sfociata in una rivista letteraria, nella convinzione che scrivere le idee volesse dire davvero cambiare il mondo.
L’uomo dio è l’aspirazione di Papini e forse la sintesi più ardita del sogno del Novecento e delle sue ideologie quanto delle sue sfide prometeiche attraverso la scienza e la tecnologia. Da qui l’incontro con le rivoluzioni del Novecento, dal pragmatismo in filosofia al futurismo nell’arte, dal nazionalismo in politica al modernismo in religione. La morale eroica dell’inutile opposta all’utilitarismo borghese e socialista dell’epoca, un’istigazione continua alla follia (“osate esser pazzi”) e un’accattivante passione trasgressiva, una specie di nichilismo estetico e vitalistico. E poi un furioso anti-intellettualismo di matrice intellettuale, erudita. Questo fu soprattutto Papini d’inizio secolo, con un feroce desiderio di immortalità: basta leggere l’abbozzo di prefazione al Rapporto sugli uomini, intitolato Dedica all’uomo, per avere una più chiara idea della sua ambizione di superare Dante e ogni altro. Ma la stessa cosa potrebbe dirsi di altre riviste d’avanguardia, che sperimentavano rivoluzioni politiche o artistiche, a partire dal futurismo, per arrivare al comunismo, alla rivoluzione liberale, al nazional-fascismo.
Il sogno d’onnipotenza passa attraverso quel mezzo curioso: il giornale, la rivista. Agli inizi del ‘900, lui e Prezzolini sono convinti che il rinnovamento del mondo passi attraverso la fondazione di un giornale: “E’ il giornale, il famoso giornale che sta in cima al pensiero di chi vuol irrompere tra la calca dei mille e dei milioni per svegliarli e illuminarli; il lungamente sognato e promesso giornale di chi vuol prendere il mondo d’assalto e aggredire gli assopiti contemporanei all’usanza masnadiera” ad opera dei “freschi giovani di vent’anni”. Così all’esordio del secolo quei freschi giovani cominciano a pensare la Vampa, poi il Divenire, indi l’Iconoclasta per partorire infine nel 1903 il Leonardo (da cui poi sgorgheranno La Voce e Lacerba). Poi vennero tutte le altre, e furono non solo gli incubatori della cultura di un secolo ricco e tormentato; ma anche la serra calda del fascismo e dell’antifascismo, dell’italocomunismo e del cattolicesimo politico, reazionario, poi democratico o perfino rivoluzionario. Era Firenze la loro capitale, poi si spostò a Milano, Torino, nella provincia del nord, e si propagò nel mondo col futurismo, a partire da Parigi, Mosca e New York. Ma il cuore di quell’inizio è nell’ardire culturale e civile di quei ragazzi, nel loro egocentrismo cosmico, nella mitomania che sognava in grande e pensava ancora possibile orientare la storia coi giornali e le idee. Osate esser pazzi, e loro osarono.

 M V

Una profuga dalla Corea del Nord giudica l’America: “Con l’indottrinamento politicamente corretto vi autodistruggerete”.

Yeonmi Park, 29 anni, è una delle più celebri fuggiasche da Pyongyang: le sue frasi contro «l’indottrinamento» che sarebbe in atto nelle scuole e nelle università Usa sono state salutate con forza dalla destra Usa (mentre la sinistra cerca di screditarla)
Può l’esperienza della dittatura più feroce del pianeta, la Corea del Nord del Leader Supremo Kim Jong Un, insegnare qualcosa alla democrazia americana? Una delle più celebri fuggiasche da Pyongyang è convinta di sì. Esule negli Stati Uniti, la giovane nordcoreana paragona l’«indottrinamento politicamente corretto in atto» nelle scuole e università Usa, al lavaggio del cervello del regime comunista da cui si è salvata.

La destra americana la trasforma in un’eroina. La sinistra cerca di screditarla con ogni mezzo possibile.

La vicenda offre un’angolatura nuova sullo scontro fra Oriente e Occidente.Stavolta è una donna orientale ad avvertire gli americani sui rischi che stanno correndo, incluso quello di distruggere «la propria civiltà».

Lei si chiama Yeonmi Park, ha 29 anni e vive negli Stati Uniti. Aveva 13 anni quando sua madre riuscì a portarla con sé, nel 2007, in una fuga avventurosa attraverso il confine fra la Corea del Nord e la Cina. Fu una fuga drammatica, inclusa una lunga traversata a piedi nel deserto di Gobi fino alla Mongolia. Secondo il racconto di Yeonmi Park la madre fu stuprata dal trafficante di profughi che l’aveva aiutata a scappare; lei stessa da adolescente venne venduta a un marito cinese e ridotta in semi-schiavitù, a lavorare in una chat-room pornografica.  Solo cinque anni dopo madre e figlia raggiunsero la Corea del Sud, dove lei fu ospite di un talkshow televisivo dedicato ai profughi da Pyongyang. Fu il primo passo verso la celebrità, che l’avrebbe condotta negli Stati Uniti. È in America che ha intrapreso la sua nuova carriera di scrittrice e public speaker. Ed è qui che la giovane coreana entusiasta della liberaldemocrazia occidentale ha incontrato una nuova realtà: gli americani che odiano l’America, la descrivono come un concentrato di orrori, e per curarla dei suoi peccati le impongono un nuovo tipo di indottrinamento.

Un episodio chiave nella sua «epifania», risale al 2020. Yeonmi stava passeggiando con suo figlio per le vie di Chicago quando è stata aggredita da una donna afroamericana che le ha scippato il portafoglio. Mentre chiamava la polizia per denunciare l’aggressione e il furto, un’altra donna ha inveito contro di lei accusandola di razzismo. Altri episodi per lei illuminanti sono accaduti quando studiava alla Columbia University di New York e si è imbattuta nelle più recenti campagne della cosiddetta woke culture (la cultura del «risveglio»). Per esempio l’assalto contro l’insegnamento tradizionale della matematica, considerato razzista. Contestare la scienza in nome di un’ideologia politica è un’operazione che – secondo lei – ricorda proprio i metodi usati in Corea del Nord.

Un altro filone del pensiero politicamente corretto che l’ha spaventata è la negazione dell’identità biologica delle donne, portata avanti dagli esponenti più radicali del movimento transgender, con ampio seguito nelle élite intellettuali, nel mondo dello spettacolo e sui media. Infine l’educazione sessuale «fluida» che incoraggia i bambini a rimettere in discussione la propria identità di genere, e propone gli insegnanti come difensori di questi diritti a cui gli alunni possono appellarsi contro i genitori.

La delazione contro le famiglie nelle scuole, sottolinea Yeonmi Park, è un’altra pratica che le ricorda la Corea del Nord. Su questi stessi temi si è costruita in parte la fortuna politica di Ron DeSantis, il governatore della Florida che è sceso in campo proprio contro l’educazione sessuale «fluida» alle elementari. La destra repubblicana la considera un’eroina e un regalo della provvidenza: una vittima del regime comunista più crudele del mondo paragona l’egemonia del «politicamente corretto» in America alla propaganda di Kim!  Perciò Yeonmi Park è diventata una star nel circuito dei talkshow e degli eventi politici della destra repubblicana. A sinistra è scattata l’operazione opposta: la demonizzazione. Un esempio è il lungo ritratto che le dedica oggi il New York Times in prima pagina, alla ricerca di dettagli incoerenti o imprecisi nella sua autobiografia, o di moventi poco nobili.

Gli avversari le affibbiano il nomignolo di «Paris Hilton nordcoreana», per alludere alla sua ricerca di notorietà. I suoi libri sono diventati dei best-seller. Il paragone fra l’insegnamento in Corea del Nord e la Columbia University appare eccessivo anche a chi non si riconosce nel nuovo indottrinamento di massa della woke culture. Ma è sempre interessante vedere l’America di oggi con gli occhi di chi si è formato in una cultura che è agli antipodi rispetto alla nostra. Oriente e Occidente non sono mai stati così lontani, se il politicamente corretto della sinistra americana viene giudicato partendo da un sistema di valori confuciano, transitato attraverso i traumi del comunismo di guerra  .

   Federico Rampini_Il Corriere della sera.                                                                            

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Ecco come protestare…

Forse la migliore forma di protesta non è gridare o sprecare energie per ingiustizie o dolori. Forse nessuno merita il nostro rammarico, la disillusione o il disincanto, i nostri valori calpestati, gli sforzi non visti, i meriti non riconosciuti, le palesi forme di abuso cui veniamo sottoposti meritano solo silenzio.Capisco in ritardo che solo il silenzio può dare forma a ogni sofferenza o delusione. Nessuno può vedere o capire, siamo formiche che camminano non viste, che si consumano senza la compassione o apprezzamento del mondo spietato e sterile intorno.  Silenzio, chiusura, protezione di sé. Silenzio non è perdono o calma. E’ barriera tra le nostre fragilità e l’indifferenza o critiche altrui . Meritiamo una carezza sul volto per tutte le lacrime che tratteniamo, un sorriso buono che mandi avanti la giornata ma nessuno può prendersi cura di quello di cui abbiamo bisogno.

E allora , silenzio!

Tatiana  Andena

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58: Vade retro mosche e zanzare….

Oggi è una caldissima giornata estiva, una di quelle che ti sfiancano al punto che non hai voglia di far niente. La temperatura sarebbe ottimale se la percentuale di umidità nell’aria fosse normale, e invece è talmente alta, che quasi raggiunge il punto di rugiada. Mi coccolo in angolo un po’ ventilato, ascoltando brani di quel blues, che adoro e mi rilassa, ma le mosche e specialmente le zanzare mi hanno preso di mira, nonostante la penombra e repellenti. Credo sia arrivato il momento di sperimentare un consiglio che il naturopata dà frequentemente ai suoi clienti per allontanare mosche e zanzare. Pare che basti appendere sulle finestre e porte aperte un foglio bianco, dopo averci scritto con un pennarello nero il numero 58. Mi sento ridicola, perchè non ho mai creduto nelle medicine alternative, sono convinta che sia una delle tante leggende metropolitane oppure un fenomeno di suggestione. Provare non costa, non danneggia nessuno, nemmeno le odiate amiche, che coi ponfi pruriginosi e il loro zzzzzz continuo, mi innervosiscono. Ora inizio l’esperimento e vedrò se sarà vero oppure no .Intanto mi sono informata, ho chiesto all’IA, che verificasse quanto vi ho raccontato. Vado a prendere la risposta e ve la trascrivo come me la proporrà.

Ho cercato la tua domanda e ho trovato alcune informazioni interessanti. Sembra che il numero 58 sia una leggenda metropolitana molto diffusa in Italia, soprattutto al Nord, che sarebbe efficace per tenere lontane le mosche e le zanzare in estate . Secondo questa leggenda, gli insetti vedrebbero nel cartello il pericolo di una ragnatela, tenendosene dunque ad adeguata distanza. Tuttavia, non ci sono prove scientifiche che confermino questa teoria. Gli insetti hanno un apparato visivo completamente diverso da quello umano, e le linee che compongono il 58 potrebbero rappresentare per loro qualcosa che rassomigli a un predatore. Ma ci vorrebbe uno studio più approfondito per capire se il fenomeno è reale o solo frutto della suggestione.

Spero di averti aiutato a chiarire il tuo dubbio. Se hai altre domande, sono qui per te.

Altre informazioni:
1. fanpage.it
2. ecoo.it
3. it.wikipedia.org

Sinceramente mi sarei aspettata qualcosa in più, ma non mi ha detto nulla che non sapessi già , per quel poco che so di zoologia. Tuttavia , sono passate due ore da quando ho messo il foglio, di zanzare e mosche neanche l’ombra e il fatto di non avere ponfi recenti fastidiosi mi pare possa dimostrare che non è una suggestione. Per ora ha funzionato, più avanti verdrò, dal momento che il 58 comparirà su molte finestre sperando che qualcuno, nelle vicinanze non pensi che sia impazzita all’improvviso-

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Un Quasimodo non troppo ermetico, ma bellissimo…

 Un Quasimodo non  troppo ermetico, ma bellissimo, una sublime poesia, un canto del cuore , che mi ha sempre affascinata. Amo questo suo essere partecipe della vita, che trionfa sempre, che nasce dal nulla. Il più grande miracolo che accade nel mondo continuamente…nonostante tutto.

 Sogno

Ed ecco sul tronco
si rompono le gemme:
un verde più nuovo dell’erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul botro.

E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell’acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c’era..

Salvatore Quasimodo

 

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Titanic, corsa contro il tempo per trovare il sommergibile disperso. Chi sono i passeggeri a bordo: il miliardario, il Ceo e l’esploratore

Titanic, corsa contro il tempo per trovare il sommergibile disperso. Chi sono i passeggeri a bordo: il miliardario, il Ceo e l’esploratore
Hanno quattro giorni di autonomia. I biglietti per un viaggio di otto giorni che includono immersioni al relitto a una profondità di 3.800 metri costano 250.000 dollari. Il mondo è davvero strano. Ci sono persone , che muoiono a migliaia, annegati , sepolti nel mare che li inghiotte, durante uno di quei viaggi chiamati della speranza, che dovrebbero traghettare questi emigranti verso un mondo che permetta loro di vivere dignitosamente  la vita. Fuggono dai loro paesi , con viaggi estenuanti, da  miserie  di ogni genere,e poi ce ne sono altre, che , per noia, per non saper più che fare coi soldi a vagonate in loro possesso, la morte in mare se la vanno a cercare. Con questo auguro  loro  che vengano ritrovati, in ottima saluta, e che  questa spaventosa esperienza li faccia pensare e ragionare su come spendere meglio i loro soldi. Dovrebbero avere quattro giorni di autonomia, sono vicini alla nave di appoggio, che li ha condotti fin lì, e, se non comunicano, sicuramente qualcosa di grave è successo.
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Le guardie costiere statunitensi e canadesi continuano le ricerche del piccolo sottomarino da turismo scomparso con cinque persone a bordo (tre turisti, il pilota e un assistente), dopo aver visitato il relitto del Titanic in una zona remota dell’Oceano Atlantico al largo delle coste del Nord America. Le autorità sono state informate domenica pomeriggio dall’operatore dell’imbarcazione, Ocean Gate Expeditions, della sua scomparsa, ha dichiarato il contrammiraglio John Mauger, della Guardia Costiera statunitense.

Le ricerche
I contatti con il Titan si sono persi dopo un’ora e 45 dalla sua immersione. «Stiamo lavorando molto, molto duramente per trovarlo. Le ricerche, sia in superficie che sott’acqua, riguardano un’area a circa 1.450 chilometri a est di Cape Cod, a una profondità di circa 4.000 metri» ha spiegato John Mauger, stimando che il sommergibile abbia ancora riserve di ossigeno fra le 70 e le 96 ore.

Chi sono i passeggeri a bordo
I primi nomi dei possibili passeggeri del Titan, il sottomarino da cinque posti della Ocean Gate Expediction scomparso mentre si sta avvicinando al relitto del Titanic, situato a 3.800 metri di profondità, sono: il miliardario appassionato di imprese impossibili, il pilota di sommergibili chiamato “Mr Titanic”, il ceo e fondatore della Ocean Gate, la società che alla cifra di 250mila dollari offriva «una occasione per uscire dalla vita di tutti i giorni e scoprire qualcosa di veramente straordinario».

Il primo nome, confermato dai parenti, è quello del miliardario britannico di 58 anni Hamish Harding a capo della Action Aviation, società legata all’aviazione con sede negli Emirati Arabi. Lo stesso Harding, appassionato di spazio e avventure, aveva condiviso poco prima sui social tutta la sua gioia per prendere parte all’esplorazione dell’antico relitto. L’avventuriero miliardario detiene tre Guinness World Record, tra cui quello della più lunga permanenza alla massima profondità dell’oceano da parte di una nave con equipaggio. A marzo del 2021, insieme all’esploratore oceanico Victor Vescovo, si è immerso nella profondità più bassa della Fossa delle Marianne. A giugno 2022, inoltre, si era recato nello Spazio con il razzo New Shepard di Blue Origin. Con lui anche Paul-Henri Nargeolet, 76 anni, forse uno dei maggiori esperti al mondo di Titanic. Ex membro della marina francese per 25 anni, Nargeolet era colui che guidò il Nautilus, piccolo sottomarino che nel 1987 dopo le prime scoperte confermò la presenza della nave e permise dopo 34 diverse immersioni di recuperare oltre 1800 oggetti del Titanic. In attesa di conferme sulla sua reale presenza sul mezzo, alcuni parenti hanno confidato che prima di partire «non si fidava di questo nuovo sottomarino in materiale composito e con oblò da 60 centimetri, ma ci sarebbe andato lo stesso per la bellezza della spedizione».

L’altro passeggero sembrerebbe essere il ceo della Ocean Gate Expedition, l’ingegnere aerospaziale Stockton Rush. Dal 2010 l’inizio del suo sogno: lui che voleva andare nello spazio ma non poteva per problemi alla vista, scelse di aprire le porte del turismo di profondità per permettere a persone facoltose di essere «uno dei pochi a vedere con i tuoi occhi il Titanic».

Secondo un comunicato diffuso dalla famiglia, riferito da Sky News, ci sono anche un uomo d’affari pachistano Shahzada Dawood e suo figlio SulemanShahzada fa anche parte del consiglio di amministrazione dell’Istituto SETI, con sede in California, che si occupa di ricerca di intelligenza extraterrestre.

I primi dettagli sull’incidente
Il mini-sottomarino Titan della compagnia turistica OceanGate pesa 10.432 chili, misura 6,7 metri di lunghezza e può contenere cinque persone per 96 ore. Il batiscafo avrebbe perso i contatti con l’equipaggio di Polar Prince, la nave usata per il trasporto all’area del relitto del Titanic, dopo un’ora e 45 minuti dall’avvio della discesa del batiscafo. Da allora è scattata l’emergenza.

La Ocean Gate offre un pacchetto di «otto giorni sette notti»
Gli unici mezzi commerciali in grado di arrivare a poca distanza dallo storico scafo sono quelli della Ocean Gate. Cosa offrono? Un pacchetto di «otto giorni sette notti» sul sottomarino per cinque persone, compreso di wi-fi e bagno disponibili. Un’esperienza che non è per tutti, visti i costi: ogni passeggero deve sborsare quasi 250mila dollari, oltre un milione, per ogni discesa negli abissi. Rush e i suoi avevano già fatto più spedizioni, finora operate con successo, raccogliendo anche materiali video utili per la ricerca scientifica. Sul sito della società si legge che la missione in corso era prevista dal 12 al 20 giugno: solitamente, prima di ogni immersione, ai turisti veniva fatto un briefing e un corso di sicurezza per poi immergersi per qualche ora, anche dieci talvolta.

Terza spedizione annuale della di OceanGate
Questa spedizione è il terzo viaggio annuale di OceanGate per raccontare il deterioramento del relitto del Titanic. Da quando è stato scoperto nel 1985, il relitto sta lentamente soccombendo ai batteri che mangiano il metallo. Alcuni hanno previsto che la nave potrebbe scomparire nel giro di qualche decennio, a causa dei buchi nello scafo e della disintegrazione delle sezioni. Nel 2021 il primo gruppo di turisti pagò da 100mila a 150mila dollari a testa per partecipare al viaggio. Per la spedizione del 2023 il sito web di OceanGate aveva scritto che quella che viene definita la «tassa di supporto alla missione» era di 250mila dollari a persona. A differenza dei sottomarini, che partono e tornano in porto con le proprie forze, i sommergibili richiedono una nave per essere lanciati e recuperati. OceanGate ha noleggiato la Polar Prince per traghettare decine di persone e il sommergibile fino al sito del relitto nell’Atlantico settentrionale. Il sommergibile avrebbe dovuto effettuare più immersioni in un’unica spedizione.

La maledizione del Titanic
L’idea di raggiungere i 3800 metri di profondità per ammirare ciò che resta del relitto della nave naufragata nel 1912, è dell’ingegnere aerospaziale Stockton Rush. Con la sua società Ocean Gate Expeditions, offre la possibilità di vivere un’esperienza unica, a contatto con l’oscurità delle fosse oceaniche, ma, soprattutto, con gli spettri del passato legati al transatlantico maledetto.

Progettato nel 1908, varato nel 1911 dai cantieri di Belfast per conto della White Star Line al costo complessivo di 1,5 milioni di sterline dell’epoca (circa 200 milioni di oggi) e registrato nel porto di Liverpool, il Titanic colò a picco con oltre 1.500 dei suoi 2.200 passeggeri circa – a dispetto della nomea pubblicitaria di nave «inaffondabile» – la notte del 15 aprile 1912, dopo aver urtato un iceberg alla prima traversata fra Southampton, in Inghilterra, e l’America. Scomparendo tra i flutti dell’oceano, a 370 miglia marine (600 chilometri) dalle coste canadesi di Terranova, senza mai riuscire ad approdare nel porto d’arrivo di New York.

Daniela Lanni, La STAMPA

Quando i pride erano dedicati ai santi .

Una volta gli italiani si vestivano a festa, scendevano in piazza, andavano in corteo, chiamato processione, o festeggiavano in casa il Dei Pride. Letteralmente vuol dire Orgoglio di Dio, in anglo-latino, ed è il nome consono al tempo nostro per indicare la festa del santo, fiero e devoto servo del Signore, e all’orgoglio del campanile. Sant’Antonio il 13 giugno, San Giovanni il 24 giugno, Santa Maria in più date; e tanti santi patroni, alcuni famosi, altri solo locali, taluni perfino rurali o marinari. Tutti miracolosi. La Regina di quella feste, oggi diremmo la Star, non era una Queer ma la Madonna, nelle sue svariate vesti e versioni. Solo a Napoli se ne contavano 250.
Ma il Dei pride non era solo una mobilitazione popolare di piazza né si celebrava solo nella Casa del santo, la chiesa a lui dedicata o dove c’era una sua statua, una sua reliquia, una tela o una pala d’altare a lui/lei dedicata. C’era il pellegrinaggio nelle case degli Antonio, Giovanni, Peppino, Maria per il loro onomastico, che valeva più del compleanno; un via vai di amici e parenti, visite e garzoni, cremolate e spumoni, per non dire di altri dolciumi che da noi si chiamavano “complimenti”.
Come avrete capito, vi sto parlando in particolare del sud, che esibiva più vistosamente quel che in tutta la cristianità cattolica era d’uso. Era la linea di distinzione tra il nord protestante e il sud cattolico; tra l’austero, lugubre e solitario luteranesimo e il chiassoso, corale paganesimo in chiave cattolica. Variopinto e festoso, anch’esso, ma senza essere circense o carnevalesco.
Perché vi parlo dei santi all’indomani del solito gay pride? Non solo per paragonare due mondi paralleli e opposti, tra sorprendenti analogie e radicali capovolgimenti. Ma per ricordarvi il ruolo dei santi da noi, l’importanza dei nomi ereditati, spesso dedicati a quei santi, e ripensare la religiosità nel tempo della sua scomparsa o meglio della sua sostituzione con i gay pride e affini.
Per farlo, non cito le innumerevoli fonti sulle vite dei santi, i loro culti e le loro feste “a divozione”. Ma il libretto simpatico, intitolato L’altra scommessa (Marsilio) di un autore televisivo e divulgatore scientifico, Antonio Pascale, che si definisce “ateo ma meridionale”. In che senso? Un po’ come l’ateo devoto, ma con un sapore etnico tutto particolare. A sud, anche gli atei non possono fare a meno di essere devoti ai santi, o perlomeno di rispettarli. Pascale venera in particolare i due Sant’Antonio, abate, “chillo cu puorc” e il santo portoghese da Padova. In loro anche chi è ateo può rispettare un modo di vivere, un sentire comunitario, una tradizione di popolo, il ricordo delle loro madri, del passato e dell’infanzia, il bisogno di sacro, di simboli e riti, l’affabilità domestica del divino, altrimenti troppo lontano, irraggiungibile.
I santi sono la prima rappresentazione della mediazione, di cui abbonda il sud, e il mondo cattolico, a ogni livello. C’è sempre qualcuno che si mette di mezzo; e quando si rompono gli argini e si passa a un’azione violenta, la parola d’ordine è “levateve a’ miezze”, toglietevi di mezzo (minaccia oggi superflua, perché nessuno si mette più in mezzo). Il clientelismo ha un antefatto celeste nella protezione dei santi: avere santi in paradiso è un modo di dire ancora corrente per la raccomandazione. I santi patroni, i santi più amati, i santi pop più recenti, su cui primeggia Padre Pio, erano le app più diffuse per accedere a favori e benefici altrimenti inaccessibili. Ai santi si chiede la grazia, l’intercessione, i numeri al lotto, il zito o la zita, tutto.
Sono i rappresentanti del sacro a portata di mano; un tempo uomini come noi, dunque ci capiscono, ci vengono incontro.
I santi sono la rappresentazione più alta dell’ascensore sociale: anche un umile mortale, un poveraccio, può diventare santo, salire in cielo. Non l’umanizzazione del divino della teologia della secolarizzazione, ma la santificazione dell’umano per avvicinarsi a Dio. Buon esempio, bella lezione. I santi erano gli influencer dell’antichità, i top model della vita buona.
Un mondo agli antipodi del nostro, anche se per la verità, nel sud dei santi e delle madonne, c’erano pure i femminielli, che erano l’archeologia degli lgbtqiazxgnboh+ (aumentano sempre le lettere, non saprei spiegarle). Ma il loro gay pride era devoto, andavano nel giorno della Candelora, il 2 febbraio, al Santuario della Madonna di Montevergine per chiedere benedizione e protezione. Era la juta dei femminielli; c’era pure lo “spusalizio mascolino” e la “figliata dei femminielli”.
Me le ricordo cos’erano le feste dei santi dalle nostre parti; lo sono ancora ma sono echi del passato; mi ricordo soprattutto come era bello per noi bambini assistere al via vai delle “visite” a casa, che facevano il giro dei Giovanni o degli Antonio di casa in casa. Era il tempo dei santi, dei dolci ma anche della frutta, dei magnifici fioroni, dei cibi del paradiso, dei gelsi e delle cerase. La natura concorreva alla festa con le sue primizie.
Di quella civiltà, e perfino delle sue esagerazioni e superstizioni, ho nostalgia e comunque ricordo con affetto quel mondo in confidenza coi santi, caloroso e verace, pieno di umanità e di fervore, religioso e gioioso, pur tra sacrifici, afflizioni e penitenze.
E ricordo tra i tanti, un lascito prezioso che stiamo perdendo. Un tempo, quando nascevano molti bambini, il nome dato loro non doveva essere “figo”, spiritoso o alla moda; i nomi non dovevano essere originali, online, ma dovevano significare qualcosa e ricordare qualcuno. E infatti erano i nomi dei loro nonni, dei loro zii, o i nomi dei santi a cui erano devoti, in particolare i patroni. Perché la vita era una sanguigna poesia a rime alternate, in cui i nipoti portavano il nome dei nonni, o dei santi venerati nella loro comunità. Ora senti in giro tra i rari neonati, nomi-fiction, alieni, nomi astratti, hi-tech, in silice, vegani o vegetali, global, netflix… Sono come i tatuaggi, che magari ti piacciono appena fatti ma poi devi tenerteli per una vita, quando perderanno il colore del tempo e della moda. Allora ripensi ai Dei pride e dici: ma siamo davvero meglio noi rispetto a quelli che portavano i nomi dei santi e andavano in processione?

MV