Le regine d’agosto: mosche, zanzare e cicale …

 

 

Nel silenzio immobile della canicola, ronza sovrano un moscone.  Protagonista assoluta della controra, la mosca è la sola che si fa sentire nell’inerzia pomeridiana e mostra a quell’ora una vitalità sconosciuta a uomini e bestie, accasciati dal caldo. Desta speciale invidia la sua totale libertà negata a ogni altro essere vivente. Le senti ronzare nelle stanze dei morti, nel silenzio tombale o celestiale dei pomeriggi estivi, sprezzanti del calore e del cordoglio; le sentivi violare, con sfrontata irriverenza, il sacro silenzio dell’eucaristia, nelle chiese accaldate d’estate, quando neanche i ventagli accennavano un rumore; le sentivi esibirsi nei momenti di massimo silenzio in scuole e caserme, quando non doveva volare una mosca ma lei se ne fotteva. Ai pranzi solenni violano il cibo e le cerimonie. La sublime libertà della mosca, la sacrilega noncuranza del suo ronzare, la divina strafottenza dei suoi giri…
Ora c’è la demuscazione ma l’arma chimica per combattere le mosche un tempo era il flit, l’arma bianca era invece il picchietto. La prima volta che apparve su un giornale un mio lavoro non avevo quattro anni: era il corpo di una mosca schiacciato col picchietto sulla pagina di un quotidiano. Fui incaricato da mia madre di uccidere le mosche in cucina. Non solo per disinfestazione ambientale ma per tenermi impegnato, perché all’epoca ero nullafacente. Lei sosteneva che “le mosche sono giornaliste” nel senso che amano posarsi sui giornali, forse attirate dall’odore dell’inchiostro, e allora stendeva sulla tavola lenzuolate di quotidiani per attirarle nel gioco fatale. Era il tempo in cui la stampa aveva ancora un ruolo importante. L’informazione come esca, la lettura come alibi. Ed io, armato di picchietto con retina in plastica gialla e manico di metallo, provvedevo a sterminarle. Fu il mio primo incarico per un giornale. La prima cosa mia che apparve su un quotidiano fu una mosca schiacciata. L’esordio precoce nell’attività giornalistica cominciò dunque con una stroncatura, firmando mosconi in cronaca nera; ma da killer e non da semplice cronista. Non si conoscevano le generalità della vittima, ma il corpo era sbattuto in prima pagina.

La sottile punizione dell’estate è la zanzara. Le senti spuntare all’imbrunire, cerchi riparo, ogni casa ormai fronteggia l’importuna creatura, dotandosi di zanzariere; a nessun altro animale è dedicata così speciale attenzione. Ma la pungente molestatrice d’agosto riesce a infilarsi nell’attimo fuggente in cui passiamo della porta; entra da fessure impreviste, e mette a rischio la notte. Di guerre domestiche alle zanzare sono piene le notti insonni d’estate. Si vorrebbe capire la loro funzione nel creato, qualcuno rispolvera antichi testi di teologici per dirci che servono per mettere alla prova l’umana pazienza. Ma non possiamo pensare che la loro vita sia in funzione della nostra. Pungono per proprio piacere e godere, per nutrirsi e bere alla spina, e non perché assumono una funzione educativa nei confronti dell’uomo. Non c’è animalista, tuttavia, che non avverta un senso di sollievo davanti a un corpo di zanzara spiaccicato, e persino a una strage di zanzare. I diritti degli animali non si estendono agli insetti, si è indulgenti pure con l’orso e col lupo nonostante mettano a repentaglio la vita umana; ma con la zanzara non c’è indulgenza, neanche un filo di pietà. Sterminio, o arma letale: aria condizionata a palla.

Ogni estate ha la sua canzone regina, ma in ogni estate non finisce mai il refrain della cicala, vera colonna sonora d’ogni agosto. I suoi concerti sono gratuiti e non richiesti, inesorabili, a vasta diffusione. Vivono poco le cicale, ma il loro frinire non finisce con la vita di un singolo insetto; l’una riprende il canto dell’altra, la loro vita è corale: tante singole brevità formano un’eternità collettiva. La cicala canta l’agosto rimando i diurni silenzi nel ventre sopito di una campagna, nell’afosa quiete d’agosto. Pensieri e parole s’arrendono, come asciugate dal caldo e cedono il posto al suo ritmo infinito. La nascosta regina delle calure dissolve le voci, cattura gli uditi, nei suoi lunghi, frenetici monologhi, di rado interrotti da magiche intermittenze. Il suo canto d’agosto scioglie gl’istanti, nell’incessante monotonia sonora, che scorre e si placa, e ancora riprende, uguale, vana e soave, incurante del tempo. Eterni ritorni racconta la sua effimera vita. Da sempre, dai tempi delle favole, si oppone la vanità estetica del suo frinire all’operosità etica della formica, lavoratrice indefessa, che trasporta pesi più grandi di lei. Eppure breve è la vita di entrambi, l’una terrestre, l’altra nascosta tra le fronde degli alberi. Da Esopo a La Fontaine, da Trilussa a Rodari, si è inventata la lotta di classe tra le parassitarie cicale e le lavoratrici formiche; eppure non sappiamo se la cicala sia privilegiata dalla sorte o sia condannata a frinire come in una pena infernale. Le formiche sono laboriose, “un popolo di formiche” furono definiti da Tommaso Fiore i fatigatori della terra, i cafoni delle campagne pugliesi. La cicala, insieme al suo più sobrio parente, il grillo, sono invece considerati i gagà nullafacenti della natura, che si perdono nel dire mentre le formiche si ammazzano nel fare. Sono smartphone della natura perennemente in linea. Cicale sono chiamate le persone che parlano a dirotto; e cicale sono definite le persone inconcludenti dalla vita oziosa, dissipata nel loro infinito ciarlare. Mosche, zanzare e cicale sono le vere regine d’agosto. Noi umani siamo solo comparse di passaggio.

 Marcello Veneziani          

Le regine d’agosto: mosche, zanzare e cicale …ultima modifica: 2024-08-21T17:53:31+02:00da g1b9

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