Il Financial Times si è accorto del nostro “inglese farlocco” .Negli Stati Uniti o nel Regno Unito nessuno capisce cos’è un “self-bar” o un “lifting”, o cosa fa una persona in “smart working

 Adriano Celentano e Claudia Mori al Festival di Sanremo nel 1968 (ANSA/OLDPIX)

In un articolo uscito questa settimana il Financial Times ha definito “inglese farlocco” – così, in italiano – quelle parole di uso comune nella nostra lingua che sembrano provenire dall’inglese ma che fuori dall’Italia nessuno capisce, perché hanno un significato diverso oppure nemmeno esistono. La giornalista Amy Kazmin ha scritto di quanto sia strano per lei vedere per esempio i distributori automatici di bevande e snack chiamati self-bar, parola ibrida che non esiste in inglese, oppure sentire parlare di pullman (che prende nome dall’imprenditore George Pullman) e autostop, due parole che gli italiani usano sempre, ma i cui veri corrispettivi inglesi sono intercity bus e hitchhiking.

 Con la canzone “Prisencolinensinainciusol” del 1972 Adriano Celentano inventò un linguaggio che scimmiottava i suoni e la cadenza dell’inglese, e in particolare dell’inglese americano, con risultati formidabili che ciclicamente peraltro attraggono l’attenzione degli utenti anglofoni sui social network, grazie a nuovi momenti di viralità del video. Ma quello di cui parla Kazmin è un’altra cosa: si tratta di termini composti dall’unione di parole inglesi esistenti, oppure di parole usate comunemente in inglese che in italiano hanno assunto significati completamente diversi, che vengono definiti pseudoanglicismi.
 Altre due espressioni di questo tipo sono smart working per indicare il lavoro da casa (che in inglese si chiama remote work e che in italiano diventa anche “lavoro in smart“) e green pass, ossia il documento che attesta la vaccinazione contro il Covid-19. Anche i beauty case, i bloc notes, le baby gang e i telefilm sono chiamati diversamente nei paesi anglofoni, nonostante qui abbiano nomi inglesi.

Il Financial Times ha chiesto chiarimenti alla linguista Licia Corbolante, secondo la quale l’infatuazione degli italiani per l’inglese è iniziata durante la Seconda guerra mondiale, quando le truppe alleate ebbero un importante ruolo nella liberazione del paese dal nazifascismo. Come in molti altri paesi del Sud Europa, l’insegnamento dell’inglese non è centrale nel sistema scolastico italiano (nelle scuole primarie è formalmente obbligatorio soltanto dagli anni Duemila), e intere generazioni non l’hanno imparato correttamente, nonostante la musica e la cultura anglosassone fossero molto popolari. Anche per questo è stato possibile il diffondersi di quello che il Financial Times definisce “inglese farlocco”, che in certi casi, pur essendo formalmente scorretto, ha assunto la funzione di segnalare cosmopolitismo ai propri interlocutori. “Se usi l’inglese trasmetti l’idea di modernità, freschezza, progresso tecnologico e, in un certo senso, status»” e quindi le parole inglesi diventano “come contenitori vuoti che possono essere riempiti con qualunque significato si voglia attribuire loro” spiega Corbolante. La lingua italiana infatti non è solo piena di ibridi che all’estero non hanno senso, ma anche di parole che esistono ma che da noi prendono significati alternativi, come ad esempio la parola golf, che in inglese indica solo lo sport, ma che in italiano si usa come sinonimo di maglione (sweater in inglese). In inglese, to lift significa “sollevare” e viene anche usato per indicare l’azione di alzare pesi in palestra, mentre il lifting in italiano è una procedura estetica, che in inglese si dice facelift. Poi ci sono i nomi dati alle leggi, come il Jobs Act di Matteo Renzi, o a eventi particolari come i click day, ossia giorni in cui si può prenotare online qualcosa che di solito ha a che fare con la pubblica amministrazione. Gli italiani sono così abituati a “inglesizzare” le parole che il termine francese stage, che significa tirocinio e si dice “staj”, viene spesso pronunciato all’inglese, “steig”, che però significa palco. Anche la parola hotspot in inglese indica tante cose, fra cui la funzionalità presente nei telefoni di fornire una connessione internet per altri dispositivi, ma non viene mai usata per indicare i luoghi dove vengono portate e identificate le persone migranti appena arrivano in un nuovo paese. Il termine in realtà si è diffuso a partire da un documento della Commissione Europea del 2015 chiamato Agenda per la migrazione, e quindi non è una parola che è stata creata e viene usata solo in Italia, anche se qui è molto diffusa con questo significato. A queste parole, che sono solo una parte dei termini che rientrano nella categoria dell’inglese “farlocco”, si aggiungono anche tutte quelle espressioni che provengono dall’italianizzazione di parole inglesi, come “brieffare” e “schedulare un meeting”, usate quando nell’ambito lavorativo si vuole riassumere ad un collega il lavoro che è stato fatto o si vuole pianificare una riunione. Fra i giovani, molti di questi termini provengono dal linguaggio di internet. Ad esempio, una “boomerata” è una cosa che farebbe un boomer, cioè una persona nata fra gli anni Quaranta e Sessanta. In questa categoria rientrano anche tutti i termini derivati dall’espressione cringe, che in inglese descrive una sensazione di imbarazzo e disagio e che in Italia i ragazzi talvolta declinano in “cringiare” o “fare una cringiata”. Di fronte all’uso considerato da alcuni spropositato dell’inglese nella lingua italiana, anche quando si tratta di termini che non esistono in altri paesi, alcuni membri di Fratelli d’Italia avevano proposto a marzo di vietare l’inglese in qualsiasi comunicazione pubblica, con multe fino a 100mila euro. L’articolo del Financial Times fa però notare come l’attuale governo abbia istituito un ministero per il Made in Italy e che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si sia definita più volte un underdog, cioè una persona che all’inizio era considerata una perdente ma che poi ha vinto.

da Il Post.it

Quanto durerà la tregua tra governo ed establishment?

Cos’è lo spread? No, non è il differenziale di rendimento ecc. Spread vuol dire in sigla Scusa Per Rovesciare Esecutivi Antipatici Destrorsi. Lo spread è un fantasma che si manifesta solo in presenza di governi eletti dal popolo ma disprezzati dalla Cappa. E poi sparisce. Un tempo investì Berlusconi, e lo mandò fuori strada, propiziando l’avvento dei tecnici col protettorato della sinistra; ora accenna a investire la Meloni e il suo governo ma chi lo dice è complottista e si inventa nemici a scopo preventivo. Il razzismo dello spread si chiama rating, e il tribunale della razza che decreta l’espulsione per indegnità sono le agenzie apposite chiamate a valutare la purezza del sangue, che nell’era mercantile coincide coi flussi finanziari. Nell’era finanziaria il colpo di stato coincide col colpo di spread. Il motivo è sempre lo stesso ma pesa solo su alcuni governi: il debito sovrano.
La variante principale allo spread è giudiziaria: quando non puoi inguaiarli con l’economia, li incrimini sul piano giudiziario. C’è un’internazionale giudiziaria che colpisce puntualmente su basi pregiudiziali e ideologiche, chi nel proprio Paese non sia allineato alla cordata radical-liberal-progressista. Non c’è governo Antipatico Destrorso che non sia passato da queste forche caudine, dall’una o dall’altra, meglio se da ambedue. Lo stiamo vedendo da noi, e non solo, sulla questione migranti.
Ora, si possono arguire due teorie opposte: in ogni parte del mondo, dagli Usa al Brasile, dall’Europa all’Oriente, la destra è sempre guidata da incapaci, criminali o demagoghi; oppure a giudicarli in questo modo sono alcune sette finanziarie, giudiziarie, mediatiche che non accettano i loro governi anche se votati in libere e democratiche elezioni dalla maggioranza del popolo sovrano. Se è valida la prima ipotesi, si può dedurre una teoria razzista che decreta l’inferiorità etnica della destra, ovunque guidata da gente inferiore per moralità, intelligenza, senso della legalità. Se è valida invece la seconda ipotesi, si può dedurre che c’è una pregiudiziale ideologica che diventa antropologica contro di loro, e si scatena ogni volta che vanno al governo. A voi la scelta.
Naturalmente essere nel mirino finanziario-giudiziario non può fungere da alibi per i propri errori e le proprie incapacità. E restarne vittime non è necessariamente una decorazione al merito, ma può esserci anche demerito.
Però resta l’anomalia di questa legge politico-giudiziaria-finanziaria che perverte le democrazie e sovverte governi ed esiti elettorali. Vari sono gli esempi di questa clamorosa divergenza tra i due piani. È il caso di Donald Trump, incriminato come se fosse il più Grande Delinquente d’America, e allo stesso tempo il più gradito dal popolo sovrano alla guida degli Stati Uniti. Come spiegare questa divergenza? Anche qui due tesi opposte: 1) il popolo preferisce i peggiori, chi promette soluzioni semplificate; dunque va guidato e corretto, la democrazia così com’è non funziona, va messa sotto tutela. 2) le oligarchie mediatico-politico-giudiziarie, e vasti settori della finanza hanno interessi divergenti anzi opposti rispetto a quelli popolari e vogliono imporre la loro volontà, servendosi anche di alibi ideologico-umanitari.
Il meccanismo avviene più o meno così in tutto il mondo. Nei rari casi in cui si verifica un cortocircuito in campo avverso, la riabilitazione avviene senza colpo ferire: prendete il caso del pregiudicato Lula in Brasile. Per lui dopo le gravi condanne, c’è stata assoluzione senza ombre; ha piena legittimità a governare, le accuse e condanne passate vengono smacchiate in modo indelebile.
Ma la questione assume anche altri risvolti. Per esempio nel nostro Paese Giorgio Napolitano è stato celebrato in modo unanime dalle Istituzioni, i media, papi e politici, come uno statista d’eccezione e un Grande Padre della patria (non sovietica o ungherese ma proprio italiana). Sui social, invece, lo stesso Napolitano è stato vituperato e criticato in modo radicale, offensivo. Funerali di Stato, non di popolo; tanti vip, poca gente; beatificato dal mondo di sopra, condannato dal mondo di sotto. Anche qui una clamorosa divaricazione tra i due piani. Da una parte la Cappa (in questo caso si è aggiunto anche il governo Meloni), dall’altra il popolo. Gli scontenti. Buon senso vorrebbe che si cercasse perlomeno una via di equilibrio tra gli opposti, senza panegirici né contumelie, con realismo e senso storico.
Il meccanismo è sempre lo stesso. Rivince in Slovacchia Robert Fico (non è parente dell’omonimo neo-melodico grillino napoletano), e viene massacrato dai media perché non è allineato alla Cappa euro-atlantica; però, piccolo particolare trascurabile, la gente lo preferisce ai suoi avversari, lo vota. Si voterà in Polonia e poi in Ungheria? E tu vedi già schierati i media sinistri (per es. il tg3) con i loro peana trionfali per le opposizioni di sinistra che dai loro reportage, sembrano lì finalmente a un passo dalla vittoria, pronte a liberare il paese dall’oppressione e dalla depressione. Poi leggi le intenzioni di voto del popolo sovrano polacco o ungherese, e noti che è l’opposto, stravincono i governi di destra; evidentemente non si sentono né oppressi né depressi da Morawiecki, Duda e Orban. Un divorzio totale, vistoso, tra la rappresentazione e la realtà, e sempre nello stesso senso: la rappresentazione va a sinistra e paraggi, la rappresentanza del reale va a destra e dintorni…
C’è chi fa notare che la Rai e in buona parte Mediaset sono oggi filo-governativi. Dunque non c’è questa egemonia radical nell’informazione. È vero nei tg, nelle nomine e negli spazi politici lottizzati. Ma l’orientamento, le inchieste, la fattura e l’ispirazione di fondo sono in realtà allineati al mainstream e ai suoi santuari. E tali restano oltre l’ossequio ai governanti di turno.
Quanto potrà durare questa biforcazione così drastica? Si arriverà a una resa dei conti, con l’eliminazione o la sconfitta di uno dei due antagonisti, o si arriverà infine a un compromesso, a una tregua?
Nel mezzo veleggia la barchetta Italia, e ancora non sappiamo se si andrà allo showdown o se è rinviato a una prossima occasione per avverse condizioni atmosferiche. In ogni caso è solo questione di tempo…

Marcello Veneziani 

Le nostre stelle cadenti…

 

Ricordi ancora le stelle cadenti che, come cavalli veloci attraversavano il cielo e all’improvviso superavano gli ostacoli dei nostri desideri … ricordi? E noi quanti ne esprimevamo! Infatti là un numero infinito di stelle era tutto un brillare folgorante: ogni volta che alzavamo lo sguardo a loro noi rimanevamo sbalorditi dalla dolcezza della loro audace commedia,poichè nei nostri cuori ci sentivamo al sicuro, guardando quei corpi luminosi disintegrarsi, comunque coscienti che noi saremmo sopravvisuti alla loro caduta. Tuttavia ci abbracciavamo forte forte, come se dovesse accadere chissà quale cosa.. ricordi quante notti sono trascorse così, amandoci fino a quando nel cielo brillava sempre quell’unica stella dell’aurora?

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Una perla di saggezza non ha tempo…

 

Quando tutto il mondo fu cittadino romano, Roma non ebbe più cittadini; e quando cittadino romano fu lo stesso che cosmopolita, non si amò né Roma né il mondo: l’amor patrio di Roma divenuto cosmopolita, divenne indifferente, inattivo e nullo: e quando Roma fu lo stesso che il mondo, non fu più patria di nessuno, e i cittadini romani, avendo per patria il mondo, non ebbero nessuna patria, e lo mostrarono col fatto.

-Giacomo Leopardi, Zibaldone, 24 dicembre 1820

 

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Sesso e amore e le combinazioni possibili…

 

Due persone che si desiderano “sessualmente” hanno fame l’una dell’altra, fame dei loro corpi .E, facendo all’amore, si saziano.Poi si dimenticano abbandonandosi al sonno. Le persone “innamorate” invece hanno una “duplice fame”.
Fame dei loro “corpi” e fame della loro “anima”.Fanno all’amore, godono dei loro corpi ma vogliono anche fondere le proprie vite, le proprie esperienze, il proprio passato.E la loro fame non si sazia. Risvegliati dal sonno si desiderano nuovamente, lontani si cercano. Il sesso, placato il desiderio, cerca il distacco, l’amore la vicinanza.
L’unico vero profondo regalo che potete fare a due innamorati è farli stare sempre insieme, perché possano cercarsi e ritrovarsi, e godersi infinite volte. Il sesso è un bacio isolato, l’amore una danza vorticosa, una giostra che li trascina.

Francesco Alberoni

 

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Dov’è l’emporio dell’Amore ? On-line si trova?

 

Il mercato ha fiutato nel nostro bisogno disperato di amore l’opportunità di enormi profitti. E ci alletta con la promessa di poter avere tutto senza fatica: soddisfazione senza lavoro, guadagno senza sacrificio, risultati senza sforzo, conoscenza senza un processo di apprendimento. L’amore richiede tempo ed energia. Ma oggi ascoltare chi amiamo, dedicare il nostro tempo ad aiutare l’altro nei momenti difficili, andare incontro ai suoi bisogni e desideri più che ai nostri, è diventato superfluo: comprare regali in un negozio è più che sufficiente a ricompensare la nostra mancanza di compassione, amicizia e attenzione. Ma possiamo comprare tutto, non l’amore. Non troveremo l’amore in un negozio. L’amore è una fabbrica che lavora senza sosta, ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana.

Zygmunt Bauman

 

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La pesca di beneficienza. Quante chiacchiere e quanti spropositi…

La pesca di beneficenza

La settimana che si è appena conclusa ha girato intorno a una pesca; il frutto che la bambina offre con un’angelica bugia a suo padre separato, dicendogli che gliela manda la mamma, allo scopo di riavvicinarli. Quando ho visto per la prima volta quello spot, non era ancora scoppiata la polemica, e in un primo tempo ho pensato, o forse sperato, che fosse uno di quei messaggi ministeriali, tipo pubblicità progresso, per promuovere la famiglia nonostante i divorzi e gli strappi e farlo dal punto di vista dei bambini.
E invece, l’unico vero messaggio d’amore famigliare che la tv ha lanciato non proveniva dal governo, ma era uno spot pubblicitario di Esselunga. Però, se permettete, è una piccola, promettente rivoluzione che nasce dalla società, dal costume, dalla percezione delle vere sensibilità della gente; non dalle istituzioni, dalla politica, e dai suoi assetti mutati. Dopo gli anni della famiglia felice del Mulino Bianco e affini, da anni domina nella pubblicità il messaggio woke, a cui ha dedicato un’analisi l’australiano Carl Rhodes (Il capitalismo woke, edito da Fazi), denunciando “come la moralità aziendale minaccia la democrazia”. In pochi secondi di spot devi sorbirti le solite allusioni al mondo migliore, alla società multietnica, alla fluidità, al globalismo; ci dev’essere come ingrediente d’obbligo tra i protagonisti dello spot un amore gay o lesbico, un nero o una nera, a volte pure un giallo asiatico, e magari un disabile e un riferimento verde, ecosostenibile. Ma la pubblicità prevalente è incentrata sul culto di sé stessi, star bene con sé stessi, la mitizzazione di sé stessi, grazie ai prodotti miracolosi, creme, auto, pillole e integratori.
Poi, d’improvviso, ti imbatti in uno spot diverso; che non torna indietro al mondo dorato dei mulini finti della nonna, alle valli degli orti e alla stucchevole italianità o alla famiglia di una volta. Ma fotografa una famiglia reale d’oggi, con i genitori separati, la bambina un po’ triste ma reattiva, che vuol riannodare i ponti tra il papà e la mamma e lo fa servendosi di una pesca. La benedetta pesca ha la funzione inversa della mela del peccato; riporta in paradiso, nel piccolo paradiso della vita familiare quotidiana, almeno vista con gli occhi di una bambina.
Tenero, toccante spot, ha ragione Giorgia Meloni che elogiando lo spot e il suo messaggio, ha scatenato la reazione opposta dei cani pavloviani: appena dice una cosa la Meloni loro abbaiano e azzannano il bersaglio. Ma anche gli esegeti ufficiali dei giornali ufficiali hanno fatto i pesci in barile, parlando bene e male dello spot ed eludendo il messaggio più forte. Ma se fosse questo modo di pensare positivo, questo amore piccolo per la realtà, questo impulso all’unione, un punto di svolta mentre imperversa il catechismo woke e i suoi santuari?
Intendiamoci: chi fa una pubblicità non è mosso da ideali o spinte etiche, morali: sia i seguaci del woke sia gli artefici dello spot di Esselunga vogliono vendere i loro prodotti. Ma venderli in un modo anziché in un altro è una scelta significativa. E poi, c’è una specie di eterogenesi dei fini, per cui le intenzioni del committente o degli stessi autori a volte sono deviate, intercettano altri percorsi e raggiungono esiti involontari e impensati in partenza.
La bambina dice una bugia a fin di bene; quella che in chiesa si chiamava pia fraus, pia frode, o che Platone definiva salutari menzogne. Lei non lo sa, lo fa d’istinto, ma quella naturale propensione al bene, quella pesca d’amore e di beneficenza, è un messaggio finalmente positivo, nella sua disarmante naturalezza. E’ un continuo, martellante elogio della liberazione e della ritrovata libertà di singoli, i figli sono spariti dal racconto pubblico nel loro legame affettivo, se non come aspirazione di chi non può averli, soprattutto coppie omosessuali o chi pensa a uteri in affitto, fecondazioni artificiali. Qui siamo di fronte a una bambina nata dall’unione di un uomo e di una donna, che ha nostalgia della sua famiglia unita; vorrebbe ritrovare insieme le persone che più ama e che più amano lei; non sarebbero questi i messaggi migliori da lanciare dai video e da tutte le agenzia pubbliche, dalle scuole al web, passando per gli altri media, le associazioni, le istituzioni?
E’ proprio stomachevole, insopportabile fare coming out dei sentimenti più intimi, più veri, più inermi e più teneri, come quelli di una bambina verso i suoi genitori e viceversa? Ma dobbiamo aspettare un supermercato, una campagna promozionale del suo marketing, per veder circolare questi racconti e veder rappresentare questi sentimenti peraltro diffusi? Conosco famiglie giovani che pur con le loro imperfezioni, senza quadretti idilliaci o edulcorati, vivono bene la loro unità famigliare, l’amore ricambiato con i figli. E conosco famiglie di separati che potenzialmente potrebbero trovare in una pesca della provvidenza l’occasione per ripensare alla loro separazione e per riannodare rapporti lacerati. Perché invece la rappresentazione pubblica, cinematografica, pubblicitaria e mediatica ci racconta solo le famiglie in cui avvengono abusi, delitti, litigi e violenze o ci mostra solo modelli opposti a quelli della famiglia naturale e tradizionale? Esistono, e nessuno può negarli, anche altri tipi di unione ma perché devono diventare queste il paradigma delle famiglie e delle coppie?
Mi piace pensare che nel mutato clima, altri frutti spontanei di questo ripensamento della realtà possano sorgere qui e là e raggiungere ambiti finora refrattari, come il cinema, la fiction, il teatro, l’arte. Non si può escludere che in questo riposizionamento dei messaggi, vi sia anche la considerazione astuta, opportunistica, di cavalcare il mutamento politico, l’ondata destrorsa, di solito semplificata con la triade Dio, patria e famiglia. L’astuzia della storia, la mano della provvidenza, il cortocircuito di certe ideologie e il loro contraccolpo; pensatela come volete, ma è lecito pensare che il finale della storia non sia stato già scritto e nel modo che voi dite. I miracoli di una pesca fuori stagione.

Marcello Veneziani

La liberazione dall’inganno…

 

Ricavato da un pezzo unico di marmo, questa scultura rappresenta un pescatore liberato da un angelo da un intrico di reti, allegoria dell’uomo liberato dai suoi peccati. Questo lavoro era così intricato che, nel 18mo secolo il filosofo Giangiuseppe  Origlia lo descriveva come” l’ultimo e più impegnativo test al quale potesse aspirare uno scultore di marmo”.
Queirolo lavorò a questa grande opera da solo, senza nemmeno un assistente o un laboratorio. Addirittura altri scultori si rifiutarono di toccare il lavoro così delicato , per paura che si rompesse nelle loro mani.

Questo capolavoro si trova alla Cappella di Sansevero a Napoli, insieme ad altri miracoli in marmo. nfatti si trovano anche “Il Cristo Velato”(1753) di Giuseppe  Sanmartino e “La verità celata”(1750) di Antonio  Corradini-

Francesco Queirolo (1752-1759)

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Il dormiveglia di Sant’Agostino…

 

“Così il bagaglio del secolo mi opprimeva piacevolmente, come capita nei sogni. I miei pensieri, le riflessioni su di te somigliavano agli sforzi di un uomo, che malgrado l’intenzione di svegliarsi viene di nuovo sopraffatto dal gorgo profondo del sopore. E come nessuno vuole dormire sempre e tutti ragionevolmente preferiscono al sonno la veglia, eppure spesso, quando un torpore greve pervade le membra, si ritarda il momento di scuotersi il sonno di dosso e, per quanto già dispiaccia, lo si assapora più volentieri, benché sia giunta l’ora di alzarsi; così ero io sì persuaso dalla convenienza di concedermi al tuo amore, anziché cedere alla mia passione; ma se l’uno mi piaceva e vinceva, l’altro mi attraeva e avvinceva”.

Questa metafora di Sant’Agostino, tratta dalle “Confessioni” (VIII, 12) è semplicemente meravigliosa. E’ il momento in cui il filosofo di Ippona , che ha deciso di dedicarsi a Dio ,solo a Lui, dopo le dissolutezze di ogni genere, che erano state la sua vita fino ad allora, deve decidere il momento del distacco. E’ convinto, non solo , perso in un innamoramento per il Signore, come non aveva provato, neanche per la donna che aveva amato di più. Tuttavia il distacco da un mondo che lo aveva soddisfatto fino ad allora è difficile. Qui lo paragona al momento del risveglio ,quando mente e cuore sono ancora nell’appannamento del sogno, da cui è difficile allontanarsi. Si vivono quei momenti di incertezza tra il risveglio e le la voglia di non farlo. Succede a tutti noi, poi ci accorgiamo che l’incertezza nella vita non è mai buona compagna. Il tempo fugge e molte occasioni perse non tornano più.

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Le parole vanno comprese nel loro vero significato…

 

Le parole sono importanti (cit.)
La frase detta così è da sinistri, cioè non vuol dire nulla: valori “assoluti” di per se le parole come gli atti non hanno.

Importante delle parole è comprenderne e condividerne il SIGNIFICATO (da signum fero: porto un segnale, un emblema). I cultori delle NEOLINGUE vorrebbero invece imporre significati artificiali cangianti, “più corretti”, “adatti ai tempi che cambiano”, al fine di influenzare i comportamenti mediante mutamenti del senso (tipo cartelli stradali).

 Cerchiamo invece radici e significati autentici.

GLEBA: in latino è la zolla di terra, per traslazione é il campo, il fondo da coltivare. La SERVITU’ DELLA GLEBA già in epoca tardo romana (“colonato” regolamentato da Diocleziano) e nel Medioevo era una figura giuridica diffusa che legava l’abitante del contado a una determinata area, a un terreno che NON possedeva. Era una figura formalmente libera ma con obblighi da schiavo: indissolubilmente connesso alla zolla di cui era servo, al punto da esser venduto, con famiglia, assieme ad essa.  Il proprietario poteva multare il colono che uscisse dalla sua “gleba” senza permesso e anche stabilire in quali modi potesse utilizzare i compensi per i suoi servigi extra (la paga base era in natura).

SERVO DELLA GLEBA NELLA NEOLINGUA DIVIENE: “LA CITTA’ IN 15 MINUTI”.

Non avrete nulla – nemmeno figli – e sarete felici!

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