Il secondo referendum truccato contro i Savoia…

 

Se è vero, come diceva Marx, che la storia si presenta prima come tragedia e poi come farsa, la vicenda del referendum truccato a Sanremo per impedire la vittoria di Emanuele Filiberto di Savoia al festival della canzone italiana, ne rispetta tutti i canoni.
Il 2 giugno del 1946, dissero in quel tempo i monarchici, il referendum tra monarchia e repubblica fu truccato a vantaggio della repubblica; e il re di maggio, Umberto II di Savoia, nonno di Emanuele Filiberto e figlio dell’ultimo re in carica, Vittorio Emanuele III, dovette andarsene in esilio. Di quei brogli elettorali si è parlato a lungo, l’ombra è rimasta sulla repubblica come una specie di peccato originale; il dubbio non è mai stato dissipato.
Ma la vittoria negata al re si sarebbe ripetuta 64 anni dopo anche a Sanremo, che è diventata la capitale della nostra identità nazionale e dell’autobiografia popolare; una specie di luogo simbolico in cui si elegge quello che un tempo si chiamava il reuccio della canzone, seppure dalla durata di un solo anno. Racconta Pupo, l’eterno puer della canzone italiana, che nel 2010, il brano Italia amore mio cantato con Emanuele Filiberto e Luca Canonici al festival di Sanremo, stava vincendo la rassegna canora, con picchi d’ascolto e record nel televoto; quando arrivò dal Quirinale, da Napolitano e dal suo staff, una specie di veto repubblicano su quella canzone dal titolo programmatico e sull’erede al trono vincente al festival. E improvvisamente il televoto lasciò al secondo posto la canzone patriottica e monarchica per far vincere ancora una volta la Repubblica. Napolitano, secondo la versione pupesca, temeva un rigurgito monarchico: all’epoca al governo c’era Silvio Berlusconi e l’Italia si apprestava a celebrare i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, quando fu proclamato a Torino, il 17 marzo del 1861, il regno sabaudo. Insomma, il clima in quell’anno sarebbe stato favorevole a una revisione della nostra storia, il palcoscenico era il più seguito a livello popolare. Poteva dunque insinuarsi una specie di revanscismo monarchico. D’altra parte non era stato il mundial vinto dall’Italia nel 1982 a sdoganare nelle piazze e in politica la ripresa del tricolore e dell’amor patrio? Napoli è sempre stata città monarchica e ai tempi del referendum lo confermò; e poi dette alla repubblica il suo primo presidente, Enrico de Nicola, che era, guarda la combinazione, monarchico e aveva votato monarchia al referendum del 2 giugno… Ma col passare degli anni, la nostalgia monarchica in Napoli ha preso un’altra piega, quella borbonica, anche perché quella Napoli era assai più gloriosa e importante di quella postunitaria sotto il tallone piemontese e garibaldino.
Pupo ha rivelato la magagna presunta al Festival con tredici anni di ritardo e alla morte di Napolitano, non si sa se per rispetto o per furbizia. E l’ha rivelata proprio al quotidiano la Repubblica che poi fu fondato da un giornalista che all’epoca aveva votato monarchia e che si era sempre comportato da monarca nel suo giornale. Parlo di Eugenio Scalfari. Vedi i casi della vita…
Naturalmente l’ex portavoce del Capo dello Stato, Giovanni Matteoli, ha smentito la tesi di Pupo, parlando di fandonie e di ridicoli complotti. Resta però un mistero il golpetto del televoto dove nel giro di pochi minuti il responso delle urne fu rovesciato ed Emanuele Filiberto perse di nuovo il trono, insieme al ministro della Real Casa, Pupo, al secolo Enzo Ghinazzi l’aretino, proveniente da Ponticino, che faceva le veci di Falcone Lucifero ai tempi del Re in esilio.
I dietrologi e i maligni potranno aggiungere che Napolitano aveva un antico conto in sospeso con i Savoia. Per anni nel Partito Comunista rinfacciarono a Napolitano la sua spiccata somiglianza con Umberto II di Savoia. Pure il titolo di Principe di Napoli, di Umberto si adattava a Napolitano, che era tale di nome e di fatto. Un fantagossip che circolò per decenni s’inventò che Giorgio fosse addirittura un fratello separato dalla nascita di Umberto. Ma sui figli spuri è ricca e movimentata la retro-storia dei Savoia…
Togliatti stesso ironizzò su quella somiglianza tra il compagno Giorgio e il re in esilio e reputò improbabile affidare al sosia del re un ruolo centrale nel Pci. Invece il destino beffardo dette proprio a Napolitano la possibilità di essere il primo comunista ad assumere la carica più alta della repubblica italiana, andando ad abitare proprio il Quirinale da cui erano stati sfrattati i Savoia. A far crescere la diffidenza nel Pci verso Napolitano si univano i suoi modi cortesi da figlio della buona borghesia napoletana e la sua passione per il palcoscenico e i ruoli di attore, sin dai tempi in cui era iscritto al Guf, i gruppi universitari fascisti. A cui si è aggiunto negli anni al Quirinale, l’appellativo di Re Giorgio che pareva alludere a tutto questo. Per dissipare queste dicerie, e rimuovere il significato di queste somiglianze, Napolitano avrebbe dunque bloccato o fatto bloccare il suo “nipote virtuale”, Emanuele Filiberto nella gara canora, temendo un effetto politico e simbolico. Di certo possiamo dire che non difettava a Napolitano un certo interventismo diffuso…
È divertente pensare che in piena bagarre politica sulla riforma costituzionale e sulla necessità di ridisegnare i ruoli del presidente della repubblica e del premier, risalga l’opzione in ombra della monarchia, grazie a Pupo, che come il pupo proverbiale della favola, ha rivelato: il re è nudo…
Questo Paese cancella la sua memoria storica; così la storia viene a visitarci con i fantasmi, evocati dal candore perfido di un Pupo

Marcello Veneziani

Sulla Scala piovono bombe di idiozia…

Ma è possibile che nel dicembre del 2023, in un mondo così radicalmente cambiato, stravolto e smemorato, che non ricorda nemmeno quel che è successo pochi giorni fa, totalmente immerso in temi, problemi e scenari che non hanno precedenti, la piccola, spocchiosa setta degli intellettuali engagé non abbia nulla di meglio da fare che riproporre la questione del fascismo e dell’antifascismo? Prendete un caso esemplare, di uno che campa ormai da alcuni anni all’ombra del Ducione, Antonio Scurati – d’ora in avanti denominato S. – che si è buttato a corpo morto e mente delirante sulla carcassa del fascismo. Ha scritto l’altro giorno per la Repubblica un articolo sul fatto del giorno, ambientandolo in piena seconda guerra mondiale. Soffrendo di allucinazioni anche auditive, il suddetto si è chiesto se l’altra sera alla Scala di Milano, il presidente del Senato Ignazio La Russa (mai citato per nome e cognome, per non sporcarsi) “ha sentito il fragore delle bombe” lanciate dagli inglesi la notte del 15 agosto del ’43 e arrivate sul teatro, secondo lo S., addirittura la sera del 7 dicembre del 2023. Non ci è parso di vedere l’Innominato in agitazione per il bombardamento in corso, come d’altronde il pubblico restante e i suoi compagni di palco. Magari annoiati, pensierosi, ma non atterriti. Visto che ci siamo, noi invece abbiamo sentito udire dal loggione: “A morte Francesco Giuseppe!” Delirio per delirio…

S. si rifaceva all’inverosimile, surrettizia polemica sollevata dal grottesco sindaco di Milano, che chiameremo Scala senza c, per mantenere lo stile anonimo di S., sul palco reale e sulla presenza del presidente Innominato nel palco reale insieme con Liliana Segre (che citiamo per intero per non incorrere in accuse di antisemitismo). Come di fatto poi è avvenuto, senza carnefici o vittime, né risse o insulti. Anche perché la Segre e La Russa si conoscono e s’incontrano da tanto tempo, siedono nello stesso Palazzo. Gazzarre inverosimili, da teatrino dell’antifascismo più che da teatro della Scala, che possono infiammare solo la mente bacata di qualche maniaco depressivo. Gazzarre fuori luogo, fuori tempo, fuor di senno.  Peraltro in quel palco sono entrati senza obiezione alcuna, personaggi che hanno esaltato l’Unione Sovietica e i carri armati su Budapest e su Praga, per dirne solo uno, più recente. Per non dire di gente che si è sporcata le mani di sangue. E noi stiamo ancora facendo una questione del genere sull’innominabile presidente del senato, incuranti del voto democratico del popolo sovrano, della sua presenza trentennale nel parlamento italiano, dei ruoli già coperti di ministro della difesa, presidente di gruppo e ora di seconda carica dello stato, dopo regolari elezioni. Ma non solo: la questione antifascista viene sollevata proprio nel momento in cui tutti, dico tutti, se hanno un’obiezione da muovere a Giorgia Meloni e al suo governo è quella opposta di essere “camaleonte” e di aver frettolosamente messo a tacere ogni richiamo pur vago, non solo al nostalgismo e, per sposare toto corde l’atlantismo e l’europeismo, la linea Draghi e Zelenski, e abbracciare, come facevano in verità già ai tempi del Msi e di An, la causa d’Israele.  Di che cosa parliamo, tirando ancora fuori la vecchia storia del fascismo? Che attinenza ha con la vita, la realtà, il pensiero di oggi? Perché volete forzare l’ultranovantenne Segre a schierarsi contro un personaggio che ha il torto di provenire dalle fila di un partito in cui militava pure suo marito, candidandosi per giunta insieme all’Innominato? Ma soprattutto perché pensate che quel tema abbia qualche incidenza sul presente? Ma in che razza di mondo vivete, di cosa vi nutrite, cosa vi bevete e vi fumate, prima di sentire il rumore degli aerei su Milano a fine 2023, e magari l’odore di sangue di Piazzale Loreto ancora addosso? Ma avete una percezione vaga della realtà in cui viviamo, vi rendete conto che quella nefasta archeologia del demonio ha portato alla disfatta gli antagonisti della destra perché totalmente fuori contesto, suscitando ormai fastidio e sarcasmo nella gente comune? Se volete porvi problemi di ordine storico fatevi piuttosto la domanda opposta: come mai la gente non ha più memoria storica, come è possibile vivere cancellando la storia da cui proveniamo, non solo e non tanto quella di 80 anni fa, di cui i media parlano ogni santo giorno, ma quella più antica e quella più recente, quella plurisecolare e quella che ha formato il nostro essere italiani, europei, cristiani, cattolici, la nostra lingua, il nostro patrimonio d’arte e di opere, le nostre città e i nostri luoghi vitali?  Interrogatevi sulla scomparsa di ogni riferimento storico al presente, sempre più spaesato e disancorato, una cancellazione dovuta a svariate ragioni, inclusa anche una che vi ostinate a non capire: finché per voi la memoria storica è solo la memoria catastrofica del fascismo e dell’antifascismo, finché la storia è solo il sibilo di aerei che bombardano la Scala, la gente vorrà cancellarla, rimuoverla, dimenticarla. Anche perché è nauseata dall’overdose di somministrazione coatta che a partire dalla Rai, inclusa la Rai dell’era Meloni, viene inculcata alla gente notte e giorno.  Capisco che S. lo faccia per ragioni personali e commerciali, perché vuole passare per il biografo di M. (anche lui impronunciabile): un tempo avevamo come biografo uno storico come Renzo De Felice, ora dobbiamo sorbirci un esorcista allucinato come lui. Che conclude il suo pistolotto cacciando eroicamente i fascisti dalla Scala: “mai saranno di casa in questo tempio laico della cultura”. Eroico! S. svegliati, ti sei addormentato durante lo spettacolo nel ‘43, e hai dormito per ottant’anni. Ti sei perso il mondo, la vita, i tanti criminali e malfattori che sono entrati nella Scala, insieme a tanta brava gente. Ma del suo caso personale alla fine poco importa. Quel che sconforta è che il cosiddetto Partito della Cultura non riesce ancora ad andare oltre l’indignata invettiva contro un cadavere di cui non ci sono più neanche le ossa, tanto tempo è passato. Per restare in teatro, diremo come Ferrucci a Maramaldo: Vile, tu uccidi un uomo morto.

     Marcello Veneziani         

Dopo il tramonto è sera ad Occidente…

Il tramonto dell’Occidente è alle nostre spalle. Viviamo ormai da tempo la sera dell’Occidente, e cresce il timore della notte che verrà. L’invasione russa in Ucraina, il conflitto in Israele e Palestina, e la percezione netta che il pensiero dominante in Occidente – che pure si configura come Pensiero Unico e globale sia in realtà minoritario nel mondo – accrescono la sensazione di un Occidente assediato, circondato e isolato.
L’Occidente vede all’orizzonte, oltre la minaccia islamista, inquietanti ombre cinesi e persiane, turche e russe, flussi migratori arabi e africani; avverte che pure l’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Onu, non sincronizza i suoi pensieri con l’orologio occidentale e non ne condivide le linee e i canoni. Persino nella Nato il pronunciamento di Erdogan su Israele, ha infranto la compattezza dell’Alleanza militare e mostra una larga crepa sul fronte medio-orientale.
Quel che dalle nostre parti si giudica come un attacco all’Occidente è percepito in modo opposto nel resto del mondo; la mobilitazione antirussa per l’Ucraina riguarda l’Europa e gli Stati Uniti ma non il mondo e le superpotenze asiatiche. E così per Israele, il resto del mondo non condivide la posizione filoisraeliana dei governi occidentali.
Il mondo ha una visuale diversa rispetto a quella occidentale, ha priorità e giudizi differenti, ma soprattutto ha interessi geopolitici, economici e strategici opposti. L’annuncio del Nuovo Ordine Mondiale con cui si aprì la nostra era, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la crisi del Golfo, è ormai un ricordo sepolto nel passato, oggi improponibile. L’idea che gli Stati Uniti siano i gendarmi del mondo, la Superpotenza che stabilisce il diritto e la sua negazione, che sancisce la linea di confine tra stati canaglia e stati democratici, è ormai largamente rifiutata e superata. Ogni pronunciamento euro-americano s’infrange rispetto ai quattro quinti del pianeta, a partire dal Brics, la famosa intesa tra Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica che in realtà è già estesa di fatto a una trentina di paesi.
Dire Occidente è una categoria approssimativa se non sbagliata, perché significa non considerare già in casa propria il cammino divergente della sua parte più popolosa, l’America Latina; dal Brasile alle tentazioni populiste e peroniste, sono forti i conati AntiUsa nel sud America. L’Occidentalizzazione del mondo di cui scriveva Serge Latouche pochi anni fa è ormai nel suo girone di ritorno; dire globalizzazione oggi vuol dire più asiatizzazione dei mercati e africanizzazione dei popoli che estensione del modello americano-occidentale al pianeta. Resistono “isole” ancora legate al mondo occidentale, come il Giappone e l’Australia; ma alla fine quel che ci ostiniamo ancora a considerare come lo Spirito del Mondo e lo Spirito del Tempo (Zeitgeist e Weltgeist) in realtà riguarda solo l’America del nord, il Canada e l’Europa. Una fetta minoritaria del pianeta, un abitante su dieci.
C’è da chiedersi se l’aver interpretato l’invasione in Ucraina e il conflitto in Israele come attacchi all’Occidente, siano stati un segno di lucida prevenzione o un grave errore strategico, militare e politico. Perché l’attacco all’Ucraina, in realtà, è stato un tentativo della Russia di riprendere il controllo della sua antica area imperiale d’influenza, senza insidiare l’Europa o minacciare l’Occidente; semmai temeva che le basi Nato puntate dall’Ucraina sui suoi confini fossero al contrario una minaccia per Mosca. E l’attacco sferrato da Hamas contro Israele non è nato come l’attacco dell’Islam all’Occidente; rischia di diventarlo adesso, dopo il pronunciamento netto degli Usa e dell’Europa a fianco d’Israele, anziché porsi come garanti del diritto dei due popoli ai due stati e la ferma condanna degli orrori e degli stermini ai danni delle popolazioni civili di ambo le parti.
La dichiarazione ripetuta che l’invasione dell’Ucraina come il massacro d’Israele fossero due attacchi all’Occidente acuisce anziché frenare la tensione antioccidentale del mondo; ci dichiara già schierati, cobelligeranti, in attesa di esserlo a tutti gli effetti.
Dall’altra parte, cresce all’interno dell’Occidente una spina nel fianco sempre più lacerante. Prendendo lo spunto dalla sacrosanta istanza di difendere il diritto alla vita di tutti i popoli, la pace e l’umanità, il movimento che scende in piazza contro Israele rischia di diventare un nemico interno dell’Occidente, rafforzato da migranti arabi e neri radicalizzati che inneggiano ad Hamas e all’anticolonialismo. Anche perché questo movimento che si dichiara pacifista e umanitario trae spunto dall’ideologia del disprezzo e della vergogna per la nostra civiltà occidentale, alimentata dai tanti cavalli di Troia: Woke, Black lives matter, cancel culture e tanto odio per la nostra identità, storia, tradizione e religione.
Così l’Occidente dichiara guerra preventiva alle ombre sparse nel mondo, mobilita la fabbrica dell’informazione e della propaganda per dotarsi di un racconto unilaterale; ma patisce al suo interno questa spinta masochista e antioccidentale, sotto le bandiere del pacifismo umanitario.
Così viviamo il paradosso occidentale che mentre va perdendo la sua civiltà e identità, si fa inclusivo e rigetta i suoi stessi confini, pretende poi di difendere il suo ruolo e la sua potenza arbitrale nel mondo. Una specie di Occidente artificiale, come l’intelligenza, privato ormai di una consistenza di civiltà, che vede nemici dappertutto meno quelli che crescono dentro, in casa propria. Ecco l’Occidente a cui “si fa notte innanzi sera”.

Marcello Veneziani                                                                                                                

La miserabile campagna contro la famiglia…

La lezione morale, civile e culturale che la fabbrica delle opinioni ha sfornato in questi ultimi giorni è: la famiglia è fallita, come dimostra casa Meloni. Veniamo da una settimana in cui osservatori, influencer, opinion maker della sinistra italiana e paraggi grillini hanno decretato in coro la fine della famiglia naturale e tradizionale in seguito alla fine della relazione con Andrea Giambruno decretata dalla premier Giorgia Meloni. Parlate tanto di famiglia, e poi vi separate. Anzi, dopo quanto è accaduto in casa vostra, smettetela di presentarvi come i difensori di Dio, patria e famiglia. Revocate quei principi assurdi e impraticabili, come avete dimostrato pure voi nella vostra vita.
Proviamo a ragionare su questa tesi che già in partenza mostra di non avere senso della misura: deduce da piccole vicende grandi svolte epocali. L’argomentazione usata è allo stesso livello di chi si professa non credente perché ci sono alcuni preti pedofili; o chi nega l’amor patrio perché ci sono certi mascalzoni e mariuoli che fanno affari sotto l’alibi altisonante della patria. O chi nega valore alla famiglia perché ci sono emeriti puttanieri in sua difesa. Ossia, dovremmo cancellare i principi su cui si fondano storicamente ogni civiltà e la vita reale dei popoli con la miserabile motivazione dei cattivi esempi in loro nome.
L’amor di Dio, l’amor patrio e l’amore per la famiglia sono stati, nel bene e nel male, e in tutte le contraddizioni, la bussola e il filo conduttore per tenere unita una società, per fondare comunità e legami non provvisori né utilitaristici e per stare al mondo non badando solo ai propri esclusivi interessi egoistici e ai propri desideri individuali. Negare quei fondamenti significa negare il fondo persistente, benché ferito e tante volte calpestato, su cui regge la vita della gente e il sentire comune.
Non è mai esistita una società fondata sulla negazione di quelle basi e del loro intreccio. Noi proveniamo da quel mondo, siamo figli ed eredi di quel modo di vivere e di vedere; i nostri legami più forti e duraturi derivano da quelle basi. Sarebbe assurdo ridurre quei fondamenti alti, vasti e profondi al programma politico, ideologico, elettorale di uno schieramento; sarebbe riduttivo, meschino, del tutto improprio. Ma ancora più assurdo è pensare di poter cancellare quei principi e la vita che ne discende solo perché ci sono esempi malriusciti o solo per contrastare la parte avversa.
Chi difende la famiglia non finge di credere che sia immacolata, senza fallimenti, divorzi e separazioni. La famiglia non è illesa, incontaminata, figuriamoci; ma vive il travaglio del nostro tempo, è dentro il suo trambusto.
Quel che è in gioco è la priorità assegnata ai legami derivati da quell’unione, non solo tra marito e moglie, ma tra padri e figli, tra nonni e nipoti, tra fratelli e congiunti. Famiglia non è solo ménage di coppia, è un insieme vivente transgenerazionale. Chi difende la famiglia non si oppone alle altre unioni e alle altre scelte che ciascuno compie in libertà: ma un conto è rispettare le scelte private di ciascuno, gli orientamenti sessuali e le preferenze, un altro è relativizzare la famiglia, considerarla unione tra le tante, e reputare del tutto irrilevanti la paternità, la maternità, il significato della procreazione e della natività, il legame speciale biologico e spirituale, tra madri e figli, tra genitori e figli, le responsabilità educative verso i minori.
Se una cosa può essere imputata a chi difende nei discorsi politici l’universo familiare è semmai l’incoerenza e l’inefficacia nella tutela: vorremmo da loro più cura, più leggi e strutture a protezione della famiglia. Qualche segnale positivo c’è nell’ultima finanziaria. Ma vorremmo che a livello pubblico e istituzionale la politica della famiglia avesse una reale, decisa priorità a tutela dei suoi legami e dei soggetti più deboli che ne sono parte (i bambini, i vecchi, i malati). Andrebbero tutelate e incentivate la maternità e la natalità, piuttosto che il traffico degli uteri in affitto o altre forzature artificiali che prescindono dalla famiglia e dal suo progetto di vita. Chi sceglie di vivere da solo ne ha tutto il diritto, chi sceglie di unirsi in coppie libere lo faccia pure; chi ha storie omosessuali è libero di averle. Ma la politica sociale e famigliare dovrebbe preoccuparsi di tutelare e promuovere la famiglia, lasciando ai singoli la facoltà di compiere altre scelte. Cosa c’è in questo di ostile, illibertario, repressivo? La famiglia è un bene da tutelare, le scelte individuali sono invece diritti da garantire. Due piani diversi. La tutela della famiglia è sancita anche dalla nostra Costituzione, che tante volte, anche a sproposito, reclamate come se fosse la Bibbia.
La dialettica politica e culturale dovrebbe riguardare il confronto tra i due modelli di società e non la pretesa di ridurti tutto ai soli diritti soggettivi. La famiglia comporta diritti, doveri e responsabilità. Non può essere sostituita da l’Io voglio o dai desideri soggettivi e momentanei. E’ un legame, genera comunità, comporta reciprocità.
Avete tutto il diritto di non condividere questo orizzonte che pure è il mondo reale nel quale siamo nati e cresciuti, ed è ancora – nonostante tutto – l’architrave più solida della nostra società, senza la quale si sfascia. Ma non potete avere la pretesa di dedurre dalla vostra premessa – ognuno decida la sua vita come vuole – la conseguenza di relativizzare, declassare e screditare la famiglia. O attaccarvi ai Giambruno di turno per abbattere le famiglie come fossero ciuffi da tagliare. Le famiglie si sfasciano, dunque è inutile anzi è dannoso difenderle. Ma dove porta questo cupio dissolvi, questa furia di cancellare, di sradicare, di espiantarsi? Le destre passano, con le loro Meloni & partner, ma i legami naturali e famigliari restano finché resta l’umanità. Poi quando l’umano verrà definitivamente rimpiazzato non sarà più affar nostro.

Marcello Veneziani   

Senza il Natale, ma Progressisti…

Una notizia clamorosa. Che lascia sgomenti. Che pone interrogativi sulle nostre tradizioni e sulla difesa degli stessi. Al prestigioso Istituto Universitario Europeo di Fiesole, meraviglioso centro ad un passo da Firenze, il presidente ha deciso che, per ottemperare agli obblighi del “Piano per l’uguaglianza etnica e razziale dell’Eui”, la festa più importante del cattolicesimo verrà depennata. Secondo l’indiscrezione raccolta da Sir, l’agenzia che fa capo alla Cei, la Conferenza Episcopale Italiana, “l’ex festa Natale verrà rinominata, per eliminare il riferimento cristiano”. Così si legge in una corrispondenza interna.
Le regole per l’uguaglianza etnica nell’Eui prevedono infatti che, se da un lato le feste religiose vanno inserite nel calendario, dall’altro il linguaggio con cui le si comunica deve essere “inclusivo”. Quindi ora è partita la “caccia” ad una denominazione alternativa. I fan del politicamente corretto però sono disposti, bontà loro, a tollerare “gli aspetti tradizionali e folcloristici possono rimanere parte dell’evento”. Una proposta circolata è “Festa d’Inverno”, ma non convince granché. All’interno dell’Istituto non mancano ovviamente le perplessità e c’è chi ritiene che Natale sia un nome legato alla cultura dell’Italia, alle comuni radici, ovvero una festa che va “oltre la religione”. Una notizia che, come era prevedibile, ha sollevato un vespaio di polemiche.
“È sconcertante che un istituto accademico, ospitato all’interno di un luogo di culto cattolico, decida di rimuovere il riferimento cristiano dalla celebrazione del Natale. Ed è ancora più inquietante considerando che questa istituzione ha la propria sede nella ‘badia fiesolana’, un luogo dove nel passato sorgeva l’oratorio dedicato ai santi Pietro e Romolo (patrono di Fiesole). Questa decisione sembra completamente fuori luogo e dimostra una mancanza di rispetto per le tradizioni italiane e per il significato profondo che il Natale ha per tantissime persone – ha dichiarato il consigliere metropolitano di Fratelli d’Italia, Alessandra Gallego -. Annullare queste tradizioni e sottrarre il Natale dalla sua autentica essenza religiosa significa svilire il suo significato profondo e minare le radici culturali della nostra società”.

Christian Campigli, IL TEMPO

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Ambientaliste che confondono il verde della bandiera di Hamas col green…

 

donne di Gaza

La condizione delle donne nella Striscia di Gaza è lontanissima da quella delle civiltà occidentali, ma questo non sembra avere un peso in chi sostiene la causa di Gaza

Ma precisamente che cosa attira tutte queste Grete alla causa di Gaza? Le ambientaliste confondono il verde della bandiera di Hamas col verde dei prati svizzeri, dei boschi svedesi? Le attira forse l’aspetto bucolico-zootecnico della Sura della Vacca, quella che recita “Le vostre spose per voi sono un campo da arare”? O l’obbligo di velo che consente di risparmiare sullo shampoo inquinante? Oppure la comune centralità del venerdì, per i maomettani giorno di preghiera collettiva e per loro dei raduni Fridays for Future? Dubito che siano affascinate dalla poligamia, forma di matrimonio che nella Striscia pur non essendo maggioritaria è perfettamente legale e praticata. Sarà magari l’obbligo, recentemente imposto da Hamas alle donne che intendono viaggiare, di avere il permesso ufficiale del padre o del marito? In effetti i viaggi hanno un impatto ambientale negativo, osteggiarli ha il suo perché, starsene tutto il giorno in casa fra talamo e fornelli è molto più green.

Camillo  Langone   ,  IL FOGLIO

L’Occidente è il peggior nemico di se stesso…

I massacri di Hamas in Israele e l’invasione dell’Ucraina sono stati letti come un attacco all’occidente che impone agli occidentali di schierarsi. Si tratta in realtà di due casi diversi: se l’attacco di Hamas ha una valenza ostile anche nei confronti dell’Occidente, l’invasione russa dell’Ucraina non era rivolta contro l’Europa ma mirava al più a ripristinare l’area d’influenza russa, come ai tempi degli Zar e dell’Urss ed evitare basi Nato ai confini russi.
Ma in entrambi i casi sale l’appello a difendere l’Occidente e a schierarsi di conseguenza.
È inutile negarlo ma nel mondo “conservatore” riaffiora un bivio ineludibile tra chi si schiera sempre e comunque dalla parte dell’Occidente, in primis degli Usa, e chi non si riconosce in un Occidente che rinnega le sue identità e le sue stesse matrici; la sua storia, il suo pensiero, la sua tradizione, la sua fede, le sue comunità naturali e corre verso una deriva postumana e nichilista. Si gira intorno a questa divaricazione ma non possiamo eluderla. È facile schierarsi con l’Occidente e con tutto ciò che esso esprime, se si riconosce senza indugi il suo modello economico e sociale come il non plus ultra; i suoi interessi, il suoi fluidi stili di vita e la sua prevalente ideologia, come la rappresentazione del bene, della libertà, della democrazia, dei diritti, del progresso e del benessere. E viceversa, è facile schierarsi contro l’Occidente se si è nemici del modello capitalista, del consumismo sfrenato, del colonialismo passato oppure se si vive con vergogna e senso di colpa l’eredità storica, civile e religiosa dell’Occidente e del suo “imperialismo”.
Ma diventa più difficile schierarsi di qua o di là se da un verso si ama la civiltà da cui proveniamo e dall’altro si detesta la sua decadenza e il suo rinnegamento; e il primato dell’individualismo, dell’economia, della tecnica, l’assenza di valori salvo i codici ideologici woke, black o politicamente corretti. Se sei sempre e comunque dalla parte dell’Occidente, ti appiattisci nella difesa di questo Occidente che rinnega la sua civiltà, le sua identità e le sue radici greche, romane e cristiane. Alla fine difendi solo il suo livello di benessere e la sua potenza, rinunciando a tutto il resto, mettendo a rischio pure la libertà e la democrazia. Se viceversa ti opponi all’Occidente, rischi di lavorare per i carnefici o per i nemici, dal fanatismo islamico alla dittatura cinese e di sostenere regimi e paesi che negano la libertà, i diritti e la democrazia. Non ci piace questo Occidente, e la supremazia americana, ma potremmo mai schierarci con i paesi del Brics e i loro nuovi alleati, ben sapendo stiamo comunque nel campo avverso? Ci si può schierare dalla parte di Putin, degli ayatollah o di Xi jinping perché si detesta questo Occidente? Bisogna andare oltre gli apocalittici e gli integrati.
Sul piano culturale o dei principi, si può trovare un punto di coerenza, abbracciando la civiltà e criticando alcuni aspetti della civilizzazione, amando e sostenendo la nostra identità nazionale, europea e mediterranea, civile e religiosa, e rigettando il modello globale uniforme e alienante promosso dal tecnocapitalismo. Attivando la capacità di distinguere sul piano internazionale (es. l’India è un interlocutore preferibile rispetto alla Cina).
Ma quando la storia ti costringe a scegliere di qua o di là del campo, e in tempi rapidi e cruenti; quando c’è una guerra in corso, o uno sterminio, che fai, resti nel mezzo, ti chiudi nella torre, scegli l’uno o l’altro sapendo comunque di tradire una parte essenziale del tuo essere europeo? C’è chi risolve tutto agitando senza indugi le bandierine del momento, quella ucraina, quella israeliana, come fa il presente governo; accetta l’elementare manicheismo dei media e dei soggetti più forti d’Occidente, non si pone domande critiche, non riconosce i precedenti e i presupposti, non vede le cose da più punti d’osservazione, non calcola gli effetti a lungo raggio, i dolori e i risentimenti di rivalsa che suscita. Divide in assoluto tra vittime e carnefici, senza porsi il problema se i carnefici di oggi sono le vittime di ieri e viceversa; è più facile il messaggio e magari è più vantaggioso, anche sul piano personale. Ma per chi ama la realtà e la verità e ha a cuore alcuni principi, non c’è una soluzione così semplice e unilaterale. Non resta che attenersi al senso della realtà, al primato del bene o dove non è possibile, alla preferenza del male minore, alla distinzione dei piani, dei tempi e delle priorità, all’equilibrio, nella considerazione dei diversi punti di interesse e di osservazione. Per fare un esempio a caldo sul presente, sconfiggere il terrorismo di Hamas è una priorità da condividere, ma il programma non può essere solo la salvaguardia di Israele, sacrosanta, senza considerare la necessità di garantire la vita al popolo palestinese e dar loro uno stato e un territorio. Le frustrazioni e i diritti elementari negati armano gli estremismi e minano il futuro assai più delle trattative e dei negoziati.
Enormi questioni premono sullo sfondo e richiamano il tema della cristianità al tramonto, la questione della tecnica che tutto pervade, l’accettazione o meno del capitalismo come orizzonte insuperabile, correggibile o superabile. E poi il rapporto tra Europa e Stati Uniti, e tra l’Europa e il resto del mondo. L’Occidente non è un blocco compatto, dire occidente significa designare almeno tre mondi irriducibili tra loro, anzi spesso divergenti: gli Stati Uniti, l’America latina e l’Europa. Una ragione in più per accantonare l’idea di Occidente come un corpo unico e parlare da un verso di Europa o di arcipelago delle patrie, e dall’altro di Multiverso, cioè di un mondo plurale con più aree di coesione.
Proprio il realismo dovrebbe imporci di partire da una considerazione: l’Occidente non è il mondo intero né il paradigma dell’universo ma è ormai una realtà minoritaria, destinata ad essere sempre meno centrale, se non soccombente, in molte sfide e tanti ambiti. Un Occidente che per giunta si vergogna di sé stesso, della sua identità, della sua storia e della sua cultura, tradizione e religione. All’interno dell’Occidente le priorità e gli interessi europei non coincidono con quelli atlantici. La conseguenza è accettare l’idea di un mondo multipolare, considerare l’Europa una di queste aree e superare la pretesa che gli Usa possano continuare ad essere gli arbitri supremi del pianeta. Quanto questa posizione si allontani o si incontri con si tratta di destra o di sinistra. Si tratta di difendere la realtà, il buon senso, l’eququella del presente governo ci interessa poco: qui non ilibrio, cercare pezzi di verità nel poligono della vita, difendere la civiltà e l’umanità, a partire da chi ti è più vicino.

Marcello  Veneziani     

Non è guerra ma sterminio ..

No, non chiamatela guerra. Non è una guerra quella che è in corso in Israele. Guerre ne abbiamo viste tante, una è in corso in Ucraina. Ma questa non è una guerra. Questo è uno sterminio. Iniziato o esploso una settimana fa, covava da decenni e affiorava periodicamente ma episodicamente. Poi qualche giorno fa, è diventato uno sterminio, esteso alle popolazioni civili.
Non mi infilo nella spirale astiosa delle accuse su chi ha cominciato, nella matrioska delle persecuzioni, un popolo assediato e circondato da paesi ostili che ne assedia e ne circonda un altro. Anzi, uso il meno possibile il riferimento ai due popoli, israeliani o palestinesi. Chi uccide un bambino uccide un bambino; non un israeliano, non un palestinese, un ebreo. Un bambino, solo un bambino.
Se per punire uno Stato tu colpisci un popolo e sgozzi innocenti, tu non fai la guerra, ma compi uno sterminio. Se per punire un terrorista tu uccidi la sua famiglia, tu non fai la guerra né fai giustizia, compi uno sterminio. Se uccidi gente nelle case, mentre dorme, mangia, inerme e spaventata, tu non fai la guerra, fai uno sterminio. Se li fai morire come topi in gabbia, per asfissia o togliendo loro tutto ciò di cui vivono, costringendoli ad uscire per poi massacrarli, tu non stai combattendo una guerra, tu li stai sterminando. Lo sterminio è il grado peggiore dell’odio e della violenza, più della guerra, perché non combatte contro un nemico ma elimina tutta l’umanità che si muove all’interno dell’obbiettivo. Non vuole batterlo, ma cancellarlo. Col sottinteso che il nemico faccia altrettanto. E se elimina pure i bambini vuol dire che vuole sradicarlo, ne vuole impedire la ripopolazione futura. La guerra ha le sue regole, qui l’unica regola è portare al massimo livello di estensione e crudeltà il male che si vuol fare.
L’idea stessa che spinge gli sterminatori non è vincere la guerra, ma espiantare ed eliminare un popolo. Nello sterminio o nella fuga, disperdendolo altrove.
Il peggio, si sa, è il terrorismo, che è guerra ad personam senza confini né regole, col paradosso che le persone non contano, solo solo bersagli, simboli, categorie; ma non lo chiamerei male assoluto, come fanno in tanti, perché neanche nel male l’uomo può farsi assoluto. Il terrorismo è male radicale, forse il male peggiore che ci possa essere. Anche se la guerra, muovendo stati e armamenti poderosi può fare assai più devastazioni di un atto terroristico pur cruento. Poi resta da stabilire fin dove e a chi si possa estendere la definizione di terrorista, e se possa riguardare anche stati ed eserciti, come si sostiene da qualche tempo. Sul piano umano e personale anche il peggior male ha magari alle sue origini una giustificazione umana, il dolore e la disperazione per i tuoi cari sterminati davanti ai tuoi occhi. Nell’inferno dello sterminio, la vendetta è l’ultima traccia di umanità che resta, perché muove da una motivazione in origine comprensibile; la vendetta segna il passaggio dall’umanità alla ferocia, è il sentimento che precede e motiva quel diventare disumani.
Quanto al pericolo che si scateni una nuova guerra mondiale, e al fatto che ci stiamo andando assai vicini, la penso diversamente.
Ci siamo andati vicini nei primi anni novanta, ai tempi della Guerra del Golfo e poi dell’attacco all’Iraq. Ci arrivammo ancora più vicini al tempo delle due torri e di quel che ne seguì tra guerre e terrore. Abbiamo sfiorato il conflitto mondiale pochi mesi fa, tra la Russia e l’Occidente. Anche in questo caso, ci stiamo avvicinando a una guerra mondiale per quel che succede in Medio Oriente, che resta comunque la prima polveriera del mondo da più di mezzo secolo.
Ma la guerra sarà guerra mondiale, catastrofe globale, quando coinvolgerà direttamente i giganti della terra. E’ una minaccia che serpeggia; la vera sorpresa non è che ora siamo alle porte di una guerra, ma che lo siamo periodicamente da svariati decenni e non varchiamo mai quella soglia terribile; grazie a Dio, alla fortuna, agli uomini o agli eventi.
Ma lasciamo sullo sfondo il pericolo della guerra e vediamo quel che c’è davanti a noi, lo sterminio. A volte ti capita per un momento di sentirti lì dentro l’incubo, per le strade d’Israele o di Gaza, senza avere alcuna colpa se non quella di appartenere a quel popolo, di essere nato là e di abitarvi. Appena ti cali in quel luogo ti manca il respiro, ti senti soffocare, vorresti scappare e non si sa da dove verso dove. Poi ti sorge quel filo di umanissima viltà, e ti senti graziato o fortunato perché abiti in un’altra parte della terra, piena di problemi, ma un paradiso rispetto a quell’inferno. Ma non ti basta scamparla, ti insorge comunque il dubbio che possa capitare anche a te e ai tuoi cari, e comunque c’è qualcosa che è dentro di te che ti fa sentire partecipe, consorte, solidale a quel destino, da cui non puoi chiamarti del tutto fuori. E sorge un sentimento doloroso d’impotenza, in cui l’unico alibi per uscirne è che siamo troppo piccoli, fragili e passeggeri per caricarci di tutte le tragedie del mondo. Non servirebbe a nulla, sprofonderebbe solo noi stessi.
Ma l’orrore c’è, resta negli occhi e pure dentro, basta affacciarsi alla finestra, in forma di video, per rendercene conto. Poi pensi ad altro, capisci che nel mondo ci sono mille altre cose e noi abitiamo tanti mondi, con la memoria, con la fantasia, con la natura, con la speranza, con l’amore per la vita e per l’eterno. C’è vita oltre lo sterminio ed è più grande del male.

Marcello Veneziani 

Quanto durerà la tregua tra governo ed establishment?

Cos’è lo spread? No, non è il differenziale di rendimento ecc. Spread vuol dire in sigla Scusa Per Rovesciare Esecutivi Antipatici Destrorsi. Lo spread è un fantasma che si manifesta solo in presenza di governi eletti dal popolo ma disprezzati dalla Cappa. E poi sparisce. Un tempo investì Berlusconi, e lo mandò fuori strada, propiziando l’avvento dei tecnici col protettorato della sinistra; ora accenna a investire la Meloni e il suo governo ma chi lo dice è complottista e si inventa nemici a scopo preventivo. Il razzismo dello spread si chiama rating, e il tribunale della razza che decreta l’espulsione per indegnità sono le agenzie apposite chiamate a valutare la purezza del sangue, che nell’era mercantile coincide coi flussi finanziari. Nell’era finanziaria il colpo di stato coincide col colpo di spread. Il motivo è sempre lo stesso ma pesa solo su alcuni governi: il debito sovrano.
La variante principale allo spread è giudiziaria: quando non puoi inguaiarli con l’economia, li incrimini sul piano giudiziario. C’è un’internazionale giudiziaria che colpisce puntualmente su basi pregiudiziali e ideologiche, chi nel proprio Paese non sia allineato alla cordata radical-liberal-progressista. Non c’è governo Antipatico Destrorso che non sia passato da queste forche caudine, dall’una o dall’altra, meglio se da ambedue. Lo stiamo vedendo da noi, e non solo, sulla questione migranti.
Ora, si possono arguire due teorie opposte: in ogni parte del mondo, dagli Usa al Brasile, dall’Europa all’Oriente, la destra è sempre guidata da incapaci, criminali o demagoghi; oppure a giudicarli in questo modo sono alcune sette finanziarie, giudiziarie, mediatiche che non accettano i loro governi anche se votati in libere e democratiche elezioni dalla maggioranza del popolo sovrano. Se è valida la prima ipotesi, si può dedurre una teoria razzista che decreta l’inferiorità etnica della destra, ovunque guidata da gente inferiore per moralità, intelligenza, senso della legalità. Se è valida invece la seconda ipotesi, si può dedurre che c’è una pregiudiziale ideologica che diventa antropologica contro di loro, e si scatena ogni volta che vanno al governo. A voi la scelta.
Naturalmente essere nel mirino finanziario-giudiziario non può fungere da alibi per i propri errori e le proprie incapacità. E restarne vittime non è necessariamente una decorazione al merito, ma può esserci anche demerito.
Però resta l’anomalia di questa legge politico-giudiziaria-finanziaria che perverte le democrazie e sovverte governi ed esiti elettorali. Vari sono gli esempi di questa clamorosa divergenza tra i due piani. È il caso di Donald Trump, incriminato come se fosse il più Grande Delinquente d’America, e allo stesso tempo il più gradito dal popolo sovrano alla guida degli Stati Uniti. Come spiegare questa divergenza? Anche qui due tesi opposte: 1) il popolo preferisce i peggiori, chi promette soluzioni semplificate; dunque va guidato e corretto, la democrazia così com’è non funziona, va messa sotto tutela. 2) le oligarchie mediatico-politico-giudiziarie, e vasti settori della finanza hanno interessi divergenti anzi opposti rispetto a quelli popolari e vogliono imporre la loro volontà, servendosi anche di alibi ideologico-umanitari.
Il meccanismo avviene più o meno così in tutto il mondo. Nei rari casi in cui si verifica un cortocircuito in campo avverso, la riabilitazione avviene senza colpo ferire: prendete il caso del pregiudicato Lula in Brasile. Per lui dopo le gravi condanne, c’è stata assoluzione senza ombre; ha piena legittimità a governare, le accuse e condanne passate vengono smacchiate in modo indelebile.
Ma la questione assume anche altri risvolti. Per esempio nel nostro Paese Giorgio Napolitano è stato celebrato in modo unanime dalle Istituzioni, i media, papi e politici, come uno statista d’eccezione e un Grande Padre della patria (non sovietica o ungherese ma proprio italiana). Sui social, invece, lo stesso Napolitano è stato vituperato e criticato in modo radicale, offensivo. Funerali di Stato, non di popolo; tanti vip, poca gente; beatificato dal mondo di sopra, condannato dal mondo di sotto. Anche qui una clamorosa divaricazione tra i due piani. Da una parte la Cappa (in questo caso si è aggiunto anche il governo Meloni), dall’altra il popolo. Gli scontenti. Buon senso vorrebbe che si cercasse perlomeno una via di equilibrio tra gli opposti, senza panegirici né contumelie, con realismo e senso storico.
Il meccanismo è sempre lo stesso. Rivince in Slovacchia Robert Fico (non è parente dell’omonimo neo-melodico grillino napoletano), e viene massacrato dai media perché non è allineato alla Cappa euro-atlantica; però, piccolo particolare trascurabile, la gente lo preferisce ai suoi avversari, lo vota. Si voterà in Polonia e poi in Ungheria? E tu vedi già schierati i media sinistri (per es. il tg3) con i loro peana trionfali per le opposizioni di sinistra che dai loro reportage, sembrano lì finalmente a un passo dalla vittoria, pronte a liberare il paese dall’oppressione e dalla depressione. Poi leggi le intenzioni di voto del popolo sovrano polacco o ungherese, e noti che è l’opposto, stravincono i governi di destra; evidentemente non si sentono né oppressi né depressi da Morawiecki, Duda e Orban. Un divorzio totale, vistoso, tra la rappresentazione e la realtà, e sempre nello stesso senso: la rappresentazione va a sinistra e paraggi, la rappresentanza del reale va a destra e dintorni…
C’è chi fa notare che la Rai e in buona parte Mediaset sono oggi filo-governativi. Dunque non c’è questa egemonia radical nell’informazione. È vero nei tg, nelle nomine e negli spazi politici lottizzati. Ma l’orientamento, le inchieste, la fattura e l’ispirazione di fondo sono in realtà allineati al mainstream e ai suoi santuari. E tali restano oltre l’ossequio ai governanti di turno.
Quanto potrà durare questa biforcazione così drastica? Si arriverà a una resa dei conti, con l’eliminazione o la sconfitta di uno dei due antagonisti, o si arriverà infine a un compromesso, a una tregua?
Nel mezzo veleggia la barchetta Italia, e ancora non sappiamo se si andrà allo showdown o se è rinviato a una prossima occasione per avverse condizioni atmosferiche. In ogni caso è solo questione di tempo…

Marcello Veneziani 

Una perla di saggezza non ha tempo…

 

Quando tutto il mondo fu cittadino romano, Roma non ebbe più cittadini; e quando cittadino romano fu lo stesso che cosmopolita, non si amò né Roma né il mondo: l’amor patrio di Roma divenuto cosmopolita, divenne indifferente, inattivo e nullo: e quando Roma fu lo stesso che il mondo, non fu più patria di nessuno, e i cittadini romani, avendo per patria il mondo, non ebbero nessuna patria, e lo mostrarono col fatto.

-Giacomo Leopardi, Zibaldone, 24 dicembre 1820

 

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