Ero davanti alla tv assieme a mio figlio e a mio padre, in attesa della fumata bianca.
Mio figlio stava facendo i compiti per arte/tecnologia, disegnava un albero. È da quel giorno che mi scervello su quale significato possa assumere la circostanza per la quale, mentre il mondo attendeva il nuovo pontefice, lui era indaffarato nel tratteggiare l’emblema della vita, un albero con le sue radici.
Invece di stare in camera sua era venuto in salotto, a portata di televisione, perché voleva partecipare a quell’attesa. I ragazzi la sentono, la vita, ma fanno finta di nulla, hanno già capito che il segreto della felicità è non dare nell’occhio.
La fumata bianca arriva e con essa il nome di Papa Leone XIV, «Robert Francis Prevost» scandisce la voce del commentatore mentre arriva sulla balconata.
In quel preciso istante il mondo si è diviso in due categorie; da un lato tutte le persone serie che hanno iniziato a compulsare google per saperne di più su questo cardinale poco «gettonato» nel toto Conclave. Tutti a ricostruire la sua vita, la sua formazione e l’influsso delle radici agostiniane.
Dall’altro lato del mondo, nella stanza dei cretini, c’ero io col mio inconfessabile segreto: «… è di Chicago – ripetevo fra me e me spulciando in rete – vediamo se tifa per i Cubs o i White Sox».
Facciamola corta, il fatto è che non riesco a farne a meno, ogni volta che qualcuno viene eletto ad una carica importante voglio sapere per chi tifa.
Ho sempre l’impressione che, in qualche modo, la squadra che tifi dica qualcosa di te, soprattutto di te bambino. E se dice qualcosa di te bambino dice la verità. È solo una teoria, devo lavorarci sopra, ma per esempio Papa Bergoglio era perfetto per amare il San Lorenzo a Buenos Aires, non il River, nemmeno il Boca, il San Lorenzo era il suo posto.
Abbiamo tutti un buon motivo per aver scelto la squadra del nostro cuore e lei ne ha uno per essersi fatta trovare. Un motivo nascosto nei vestiti di un padre, negli autobus con una nonna, nei sellini corti della bici di un amico o magari in una manciata di sguardi che (una volta seduti su quegli spalti) ci hanno fatto capire che non tifavamo quel club bensì eravamo quella cosa lì, quella gente; una «comunità di destino» direbbero quelli che sanno parlare.
Qual è quel motivo? Appena lo so ve lo dico.
Credete che sia pazzo, lo capisco, eppure mi sembra di vederli nei loro tinelli i tifosi dei Chicago Cubs (una delle due squadre di baseball di Chicago) anche loro, un pò come a casa mia, radunati davanti alla tv in attesa della fumata bianca. Mi sembra di sentirlo, quell’uomo di mezza età col telecomando in mano e le gambe allungate sul divano; «Vieni Jennifer – grida sgomento richiamando l’attenzione della moglie – hanno fatto un Papa dei White Sox…». (Ah giusto, avete ragione, quando devo ragionare dell’americano medio non so mai dargli un nome, per qualche misterioso motivo invece, nella mia testa, sua moglie si chiama sempre Jennifer. Certo, non è più una ragazzina ma i jeans le stanno ancora bene).
Il cardinale Robert Prevost è nato nei dintorni di Chicago e tifa White Sox. Crosstown Classic, The Windy City Showdown, Chicago Showdown, North–South Showdown, City Series, Crosstown Series, Crosstown Cup, o Crosstown Showdown sono solo alcune delle definizioni della rivalità che coinvolge le due squadre di baseball in città.
I White Sox sono generalmente collocati nella zona sud della città mentre i Cubs (forse in maggioranza) popolano la parte a nord. Volete un’idea che renda efficacemente il polso della loro rivalità? C’è una vecchia canzone dal titolo «The ballad of the south side irish» che dice: se si parla di baseball io tifo per due squadre, i White Sox e chiunque giochi contro i Cubs.
Entrambe le squadre hanno affondato il piede nell’immaginario collettivo di Hollywood, se è vero infatti che uno dei due protagonisti dei Blues Brothers (Elwood) usa l’esatto indirizzo di Wrigly Field, lo stadio dei Cubs (1060 West Addison) per falsificare la sua patente (come scopriranno i tragicomici nazisti dell’Illinois) è altrettanto vero che il cinema non si è scordato dei White Sox.
È toccato a Kevin Costner con «L’uomo dei sogni» reincontrare i protagonisti di una losca vicenda che ha riguardato i White Sox del 1919 e le World Series di quell’anno. Giocavano contro i Cincinnati Reds e passarono alla storia per lo scandalo che coinvolse otto giocatori di Chicago, sospesi a vita dopo che un tribunale stabilì che si erano accordati con due giocatori d’azzardo per perdere intenzionalmente la finale, dietro pagamento di compenso.
Una rivalità che, silenziosamente, ha riguardato anche la Casa Bianca; il presidente Obama infatti è un tifoso dei White Sox, mentre sua moglie Michelle segue i Cubs.
Una spaccatura che, allargando lo specchio alle cosiddette celebrità, vede da un lato (White Sox) simpatizzanti come lo stesso Obama appunto, e poi Michael Jordan, Jenny McCarthy, Snoop Doog, Lonzo Ball, Thomas Lennon ed altri, dall’altro lato (quello Cubs) fanno capolino volti come Bill Murray, Elizabeth Moss, Jim Belushi, Vince Vaughn, John Cusack, Eddie Vedder, Hillary Clinton, Billy Corgan e altri.
Due anime diverse, due storie diverse con alcuni snodi che però sembrano accomunarle. Per esempio le due squadre di Chicago sono entrambe segnate da un destino di lunghissima attesa, di gioie rimandate. Se è vero infatti che i Cubs hanno dovuto attendere ben 108 anni (dal 1908 al 2016) per vincere la loro ultima world series, anche i White Sox, in quanto a pazienza non scherzano. Sono 88 infatti le stagioni nelle quali hanno dovuto attendere il loro ultimo titolo nel 2005 (un’attesa che durava dal 1917).
Di quelle finali del 2005, fra White Sox e Houston, c’è una piccola clip, un video di dieci secondi, nel quale possiamo sentire quel misterioso ronzio del «motivo» di cui parlavamo prima, quella cosa che ti prende il cuore e gli dice questa è casa tua. E tu sei bambino fino alla fine.
A due strike di distanza dalla vittoria di gara 1 per la squadra di Chicago, la regia inquadra la tribuna coi tifosi dei White Sox in trepidante attesa. Un papà rassicura suo figlio piccolo, pietrificato dalla paura: “«due strike – gli dice – due strike e abbiamo vinto». Di fianco a quel bambino c’è un uomo di mezza età, anche lui col cuore in attesa e la speranza di rompere la maledizione dei White Sox.
A guardarlo sembrava un po’ solo ma quella sera è andato a casa felice.
Ecco qualcosa che si avvicina al misterioso motivo di cui parlavamo prima, un posto nel quale lui e altri sconosciuti temono e sperano la stessa cosa e non sono più soli.
Dimenticavo, quell’uomo oggi fa il Papa.
Cristiano Governa
Illustrazione di Salvatore Liberti