Ci trascuriamo e manipolarci è facile, lo certificano le parole del 2022 L’Oxford Dictionary elegge «Goblin mode», l’atteggiamento di chi si rintana in casa imbruttendosi. In America spopola «gaslighting»: due termini che evidenziano una relazione difficile con il reale

Le parole degli anni passati sono state selfie, emergenza climatica e vax. Direi che vale la pena di fidarsi della lungimiranza dell’Oxford English Dictionary e del criterio selettivo che lo anima. Dunque deponiamo lo stupore e prepariamoci ad avere a che fare con l’espressione “Goblin mode”, nata su Twitter e vincitrice per il 2022 davanti a “Metaverso” e “#IStandWith”.

I Goblin, molto diffusi nei videogiochi, sono creature basse e maligne, col naso adunco, verdognole e quasi sempre avversarie degli eroi, così nei romanzi di Tolkien e anche nella saga di Harry Potter. In Italia poco diffusi (si attesta soltanto una piccola comunità alle pendici dell’Etna), sono un po’ come le zucche di Halloween: non ci riguardano e dunque ci riguarderanno. Nel frattempo, suggerisco di usare una traduzione italiana, coniata da un’amica in occasione di una di queste défaillance: abblattarsi. Da blatta, non devo spiegarvi perché.

L’abblattamento, o Goblin mode, consiste in una serie di comportamenti spregevoli che adottiamo quando, ridotti in casa troppo a lungo, ci abbrutiamo. Non ci pettiniamo, non ci laviamo e godiamo nell’indossare tutto ciò che di infeltrito si trovi a portata di mano. È un rifiuto per la patinatura che sconfina però nella schifoseria. Amori finiti, febbriciattole, il freddo fuori dalla finestra, un generale disgusto per il mondo possono esserne vettori. Così ridotti, secondo le regole dei social, ovviamente ci fotografiamo dando fiato all’ennesima gara dell’abiezione. Ma è importante ricordare che si tratta di momenti: quando l’abblattamento passa torniamo a essere decenti, per quanto possibile.

La parola dell’anno dell’Oxford English Dictionary è quindi l’equivalente di una diserzione, una rivolta, il prepotente emergere dello scarafaggio che è in noi. Non è difficile immaginare quanto abbia influito la pandemia e la conseguente frenetica frequentazione di divano e piumone con tale rigetto per la liturgia del comportarsi a modo. Ma non è solo la paura della malattia. Ormai ci si abblatta anche quando tutto là fuori è perfetto e fila veloce, proprio perché fila veloce e non siamo capaci di tenere il tempo. Abituati come siamo a dividere le nostre vite a metà, quello che siamo e quello che gli altri si aspettano, e il mondo in vittime e carnefici. Noi, vittime per antonomasia, ci abblattiamo per non dover competere e per galleggiare, orribili e puzzolenti, in una reclusione auto-imposta. Di questa nostra resa non è difficile approfittare, di questi insetti/Goblin in cui ci trasformiamo, chiunque può fare macello.

Per questo colpisce che secondo la Merriam-Webster, società editrice americana di dizionari in lingua inglese, la parola del 2022 sia “gaslighting”. Pare che le ricerche di questo termine sul loro sito siano aumentate del 1.740 per cento in un anno. Per “gaslighting” si intende quella pratica per cui, per esempio, tu scoppi a ridere quando dicono che è la nipote di Mubarak, ma poiché una schiera compatta lo afferma con sicurezza e ripetutamente, tutti pian piano cominciano a fissarti con imbarazzo e tu smetti di ridere, poi taci e alla fine ti convinci che sì, forse è la nipote di Mubarak. Proprio come accade a Ingrid Bergman nell’omonimo film di George Cukor (a sua volta ispirato a un’opera teatrale). La povera donna viene manipolata dal marito a caccia della sua eredità, fino a al punto in cui smarrisce il confine tra vero e falso e impazzisce.

Difficile da tradurre in italiano, è un’espressione che si usa soprattutto nei confronti di quegli uomini usi a distruggere l’autostima delle donne in modo subdolo, è una pratica diffusa nel patriarcato e un modo efficace per liberarsi di mogli obsolete. Ma se vogliamo, più in generale riguarda il modo paranoico e ossessivo col quale ci rapportiamo, talvolta, a chi ci sta intorno. Da cui la sfiducia nei confronti della realtà e una inspiegabile facilità a gettarsi tra le braccia del complotto e del fittizio, dell’inventato e del mortificante. Chi compie gaslighting sa che alcuni accorgimenti consentono di forzare la nevrosi, e che la nevrosi è la cimosa del buon senso. Via i fatti, entrino le opinioni. Non è un buon viatico per il nostro viaggio nel virtuale, in quel Metaverso che non a caso stenta a trovare cittadini. Per quale ragione dovremmo infatti trasferirci in massa in uno spazio non fisico, se da quella virtualità non ci deriva altro che un surplus di paranoia? Che ci vado a fare nel paradiso di Zuckerberg se poi devo fotografarmi con il mollettone nei capelli e i calzini di spugna per dimostrare che mi dissocio?

Per carità, stiamo solo parlando delle parole dell’anno. Cioè delle parole che hanno trionfato in rete, sono diventate argomento di conversazione, hanno occupato le pagine dei giornali: niente che sia vero, insomma. Se chiedete in giro vi diranno che la parola più usata nel 2022 è stata piuttosto “bolletta”, o “guerra”, o “Brufen”. Sarà forse come agli exit poll, quando tutti mentono perché si vergognano di dire chi hanno votato davvero?

Sarà che la questione per tutti sono state le chiusure in casa vestiti da Goblin o quel modo odioso di rivolgersi a noi facendoci sentire pazze, oppure quando ci mettiamo in rete a giocherellare neanche ci accorgiamo di quello che cerchiamo, di dove andiamo, di cosa stiamo facendo diventare di tendenza per il solo fatto che seguiamo la pista, come cani da caccia? Chi diavolo siamo lì, in quell’anticamera del Metaverso in cui perdiamo tempo? Pensa che ridere se nel 2023 vincesse una parola vera, pensa che ridere se ci mettessimo tutti a cercare una parola bella e la facessimo vincere. Tipo “mare”.

Elena Stancanelli

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