Perché l’Intelligenza Artificiale non genera mostri. ( Il mio scetticismo)

 

 Da LA STAMPA di Licia Troisi

Il nostro cervello non inventa: rielabora però dispone sempre di un punto di vista. Algoritmi e robot non hanno opinioni ed è per questo che restano strumenti  .Ce l’ha insegnato la fantascienza: i robot sono il male. O vengono tenuti sotto controllo con qualche sistema autolimitante, il più famoso dei quali – giustamente – sono le tre leggi della robotica di Asimov, o si rivolteranno contro di noi, come ci hanno mostrato Terminator e Battlestar Galactica. Del resto, di recente ci si sono messi anche gli scienzati: Stephen Hawking, negli ultimi anni della sua vita, disse che l’Ia, l’Intelligenza Artificiale, se fosse diventata cosciente, avrebbe potuto distruggerci.

Forse è per questo che ha fatto così tanto scalpore l’apparizione di software che sembrano in grado di riprodurre le più alte forme della creatività umana: immagini e storie.

Il campo si è immediatamente diviso in due: c’è chi vede in Midjourney e ChatGpt (due esempi di questo tipo di tecnologia) le macchine che lasceranno a casa scrittori e artisti visuali, e chi è convinto che ci troviamo di fronte a un salto quantico nei rapporti uomo-macchina – e magari anche nella creazione di una vera e propria auto-coscienza artificiale. Ora, lasciamo da parte l’elefante nella stanza, ossia la questione dei diritti sulle opere con cui questi software vengono addestrati (vedremo subito che significa) e di quelle che essi producono, e proviamo a proiettarci nel futuro: chi ha ragione, gli apocalittici o gli integrati, per dirla alla Umberto Eco?Non avendo la palla di vetro, possiamo solo affidarci a una serie di considerazioni. Innanzitutto, come funzionano questi software: sono in genere reti neurali, che, nonostante il nome, non sono esattamente cervelli artificiali, ma, attraverso un sistema di nodi, cercano di imitare alcune caratteristiche dei neuroni. Una di queste è l’apprendimento: la rete viene addestrata su un set di dati, a partire dal quale produce poi, nel caso che stiamo considerando, immagini o testi scritti. Va da sé che il software non può realizzare nulla che esuli dalle informazioni fornite nel set iniziale, ma, quando il set è sufficientemente ampio, le combinazioni sono infinite. In questo, l’Ia funziona un po’ come il nostro cervello: anche noi non “inventiamo” tecnicamente niente. I libri, i dipinti, le statue, sono rielaborazioni di ciò che vediamo intorno a noi. Il nostro cervello riceve degli input, che poi combina in qualcosa di differente, anche quando inventiamo mondi fantastici: si tratta comunque di lacerti del nostro, scomposti e rimescolati. Prova ne sia che, se vi chiedo di immaginare visivamente uno spazio a quattro dimensioni, di cui i nostri sensi non hanno diretta esperienza, voi non ne siete in grado. Fin qui, quindi, sembrerebbe che l’Ia sia in grado di duplicare in tutto e per tutto i processi creativi umani; più complessa è la questione della coscienza, che abbiamo difficoltà a definire univocamente e i cui meccanismi di produzione da parte del cervello ci sono per lo più ignoti. Niente macchine senzienti, dunque, ma la cosa non ci rassicura: un computer che sa creare arte, in forma scritta o di dipinto, è ugualmente inquietante. Ma davvero è così? Davvero quelli come me, gli scrittori, hanno i giorni contati? Le versioni dei software attualmente rilasciate non sono in grado di scrivere qualcosa di simile all’Orlando Furioso o a un romanzo. Sono state prodotte delle favole per bambini e dei libri illustrati, ma nulla di più. Questo però non significa niente: un anno fa, Dall-E, che genera immagini, produceva cose inguardabili, oggi si fa francamente fatica a distinguere l’opera di un software da quella di un essere umano. I progressi in questo campo sono continui, e fatichiamo a stare al passo. C’è però qualcosa che mi induce a credere che non sarà mai possibile sostituire del tutto un essere umano nelle faccende creative. I testi prodotti dalle Ia, così come le illustrazioni, risultano quasi sempre appiattiti su un’estetica comune e “media”: non potrebbe essere altrimenti, visto che mediano all’interno di dataset sconfinati e, nel caso di quelle testuali, hanno una serie di limitazioni che cercano di farle apparire meno offensive possibile. Le immagini di Midjourney sono quasi tutte laccate e presentano personaggi per lo più di bell’aspetto, i testi di ChatGpt sono piatti riassunti di informazioni pescate in giro, per lo più vere, a volte goffamente inventate. Cosa manca? Non tanto l’estro creativo, la “scintilla umana”, quanto ciò che rende un libro più interessante di un altro, un dipinto immortale rispetto a tutta la produzione coeva: il punto di vista. Una storia può essere raccontata in molti modi: partendo dalla fine, coi flashback, o in semplice ordine cronologico. Anche un articolo come questo può essere redatto in molti modi differenti: scegliendo da dove partire nella discussione, ad esempio, con una citazione o meno, portando avanti il discorso seguendo un certo filo piuttosto che un altro. Scelte del genere, al momento, sono del tutto al di fuori della portata della Ia, perché quella che si chiama “voce” in letteratura non è frutto solo del “set di dati” con cui il nostro cervello è stato “addestrato”, ma anche della sua struttura neurologica, del nostro vissuto, della nostra psicologia. In mancanza di ciò, il risultato sono, appunto, opere medie, che non aggiungono nulla a quanto detto, e la situazione rimarrà questa finché il funzionamento della Ia sarà quello descritto – e al momento non si vede perché dovrebbe cambiare. E quindi, a che servono? Sono ausili, per chi saprà usarli con intelligenza. Un software che ti fa una ricerca su un determinato argomento, e ti redige un testo di massima sul quale poi interviene lo stile dell’autore è indubbiamente utilissimo: la ricerca è sempre la parte più noiosa della redazione di un testo. Un ChatGpt che genera una trama che poi l’autore modifica in base al proprio gusto è sicuramente un ottimo aiuto. E lo stesso dicasi per le immagini: possono essere una base, da correggere o da modificare secondo la sensibilità dell’artista. Ce lo diciamo spesso, ma forse non ci crediamo fino in fondo: la tecnologia è uno strumento. Il segreto è farne buon uso, senza facili entusiasmi né previsioni apocalittiche. Per il resto, il tempo stabilirà verso dove evolverà il rapporto tra uomo e macchina.

IArtif

 

Da lettrice vorrei aggiungere che l’uomo, è l’ha ampiamento dimostrato, non si è mai fermato all’uso benefico delle scoperte. Sicuramente madame Curìe, quando scopri come usare la radioattività degli isotopi di diversi minerali per uso diagnostico non immaginava gli sviluppi potenzialmente catastrofici del malo uso della sua scoperta. Allo stesso modo come essere certi che l’Ia  non possa apprendere ad identificarsi con ideologie distruttive della coscienza umana ed essere programmata proprio per avere un mondo di individui ubbidienti a coloro che avessero interesse a questo. Basta tornare indietro di poco tempo per rendersi conto , ora che in molti si è tornati a ragionare con mente lucida, come il Covid possa essere stato un esperimento per testare la percentuale di ubbidienza, che si può ottenere colla paura e il panico.

 

Per alcuni l’intelligenza artificiale è il massimo, per me è un pericoloso nemico dell’intelligenza umana.

Non abbiate timore dell’intelligenza artificiale, ci rassicura il filosofo Maurizio Ferraris dalle colonne del Corriere della sera. Il bersaglio non esplicitato siamo noi conservatori, ritenuti apocalittici, antitecnologici, un po’ heideggeriani e tanto stupidi. “Temere che una macchina possa prendere il potere – replica Ferraris – agitare lo spettro della intelligenza artificiale onnipotente, è soltanto rivelare una nativa mancanza di intelligenza naturale. ”. Dietro il Genio Imbecille, ci saremmo dunque, noi stupidi senza talento .Insomma, ci sono domande, sensibilità, ambiti in cui nessuna macchina potrà mai sostituire l’uomo. Le macchine tendono a portare via lavoro agli uomini? “Niente di male, se un lavoro può essere automatizzato in genere è indegno di un umano”. Semmai, conclude Ferraris, concentriamoci su questi problemi e lasciamo perdere tutti i timori e le vane fantasie sul Golem che prenderà il potere.
Rassicurati come uomini e mortificati come dementi sul fatto che le macchine ruberanno il posto agli umani ma non prenderanno mai il potere, ci resta però la preoccupazione. Nessuno pensa che un bel giorno l’Intelligenza artificiale farà un colpo di Stato o instaurerà un regime schiavista e totalitario. Non amiamo i film di fantascienza, non siamo rimasti all’infanzia delle fiabe e non crediamo all’orco cattivo. Ma più sensatamente osserviamo la realtà presente nel suo contesto. Dunque, da una parte l’Intelligenza Artificiale viene impiegata in ambiti diversi e anche inquietanti; ad esempio per generare, come denuncia il filosofo Byong-Chul Han in Infocrazia, un regime di sorveglianza; trasformandosi da Intelligenza in Intelligence. Dall’altra, ci spiegano, ad esempio Cingolani e Metta, ai vertici dell’Istituto Tecnologico, che in virtù dell’intelligenza artificiale avremo “robot in grado di comunicare tra loro e con gli umani, usando lo stesso linguaggio (verbale e gestuale), capaci di comprendere le situazioni fondamentali e persino di prendere piccole decisioni”, possedendo tra i loro requisiti “autonomia”, capacità di “cooperazione”, “socialità”, sorveglianza, sostegno, guida “compagnia, addestramento, educazione e training” e “sostituzione degli umani in ambienti ostili o per lavori gravosi”.(Umani e umanoidi. Vivere con i robot, Il Mulino). Grazie all’intelligenza artificiale e all’uso delle cellule staminali, ci spiegano Lovelock e Boncinelli arriveremo all’autogeneratività, fino a costruire ”organismi perfettamente efficienti”; siamo ben oltre l’eugenetica. Orizzonti sposati dal filosofo Salvatore Natoli, nel suo recente libro Il posto dell’uomo nel mondo (Feltrinelli), che nota “l’estensione del dominio dell’artificiale sulle regioni della mente” fino “a modificare gli schemi cognitivi”.
Non è l’Intelligenza artificiale in sé che ci spaventa ma l’umana idiozia, il delirio di onnipotenza tecnologica, che ne è complice entusiasta. Qual è il pericolo dell’intelligenza artificiale? La sostituzione del mondo reale, delle identità e della natura, con una grande bolla in cui sparisce la realtà e tutto ciò che la costituisce: la storia, il pensiero, la vita, la presenza, i corpi, la natura per entrare in questo universo virtuale e funzionale. Ne è un segnale, ad esempio, il metaverso, come nota il filosofo Eugenio Mazzarella (Contro metaverso).
Ma tutto quel che abbiamo fin qui detto potrebbe rientrare nel rischio consapevole dell’avventura umana, nella scommessa dell’intelligenza umana, nella capacità di cavalcare la tigre della tecnica. Ma se consideriamo il contesto in cui avviene questa scommessa, allora lo spirito critico nei confronti dell’Intelligenza Artificiale esonda nell’angoscia. La crescita rapida ed espansiva dell’Intelligenza Artificiale coincide infatti con la decrescita altrettanto rapida ed espansiva dell’Intelligenza umana, delle sue connessioni vitali e mentali con la storia, con la tradizione, con il linguaggio, con la capacità di progettare il futuro e governare i cambiamenti, la regressione del pensiero, oltre che della religione, col declino dell’arte e l’atrofizzazione progressiva, come una paralisi, delle facoltà naturali, socievoli e intellettuali dell’uomo e con un calo progressivo e allarmante del Quoziente Intellettivo. Si realizza appieno quel “dislivello prometeico”, di cui scriveva Gunther Anders ne l’Uomo è antiquato: ossia cresce la tecnica e decresce la cultura, cresce l’artificiale e sparisce il naturale, cresce il robot e declina l’uomo. Si ingigantisce cioè la forbice tra tecnica e sapere, il mondo artificiale si espande mentre si contrae la nostra capacità di conoscerlo, di capirlo e dunque di governare gli effetti.
Il pericolo, caro Ferraris, non è dunque il golpe delle macchine, l’autogoverno dell’Intelligenza Artificiale; ma la complice stupidità umana unita all’infatuazione per le macchine, alla perdita dell’umanità e al fatalismo tecnologico secondo cui non si può fermare o frenare né cambiare il corso. Se il procedere è automatico e inarrestabile, non c’è più libertà, intelligenza e dignità umana. Non è l’Intelligenza Artificiale in sé il pericolo ma la disumanizzazione radicale che si attua tramite essa. È una preoccupazione stupida? Se lo è preferisco restare uno stupido umano, anziché un idiota servitore e collaborazionista del robot..

MV

A Indianapolis è già futuro…

Indianapolis, sulla griglia di partenza due monoposto aspettano di scatenare tutti i loro cavalli all’accensione del semaforo verde. Una scena consueta, cristallizzata da numerosi film e videogiochi ambientati nel celebre autodromo americano.

Ma il 23 ottobre tutto sarà diverso dal consueto: per la Indy Autonomous Challenge i piloti saranno sostituiti da un’intelligenza artificiale che guiderà al posto loro una monoposto sfidandosi in una gara testa a testa su 20 giri per un primo premio di un milione di dollari. La Indy Autonomous Challenge, organizzata dal circuito di Indianapolis e da Energy Systems Network, porterà in pista delle Dallara IL-15 di Indy Lights, opportunamente modificate per ospitare sistemi di guida autonoma. Una gara senza piloti in carne e ossa e con un ricco montepremi, da 1,5 milioni di dollari.

A partecipare saranno squadre universitarie provenienti dai migliori istituti Tech negli Stati Uniti e nel mondo, e comincerà a tutti gli effetti con un test di qualificazione a maggio. Cioè nello stesso periodo nel quale si troveranno a Indy anche i veri piloti della Indycar per la 500 Miglia tradizionale. Più di 500 studenti universitari, laureati e ricercatori, esperti nello studio e nella progettazione dei software di intelligenza artificiale, hanno risposto alla sfida, rappresentando 39 università in 11 paesi su quattro continenti e 14 stati degli Stati Uniti.

Il telaio Dallara modificato sarà dotato di un computer di bordo ad hoc, che consentirà le comunicazioni tra veicoli, e di sensori per regolare la posizione in pista rispetto alle altre vetture. i controlli drive-by-wire e la gestione dell’intelligenza artificiale saranno elementi fondamentali per vincere la corsa

.Il circuito di Indianapolis ha presentato la gara in una conferenza tenuta nell’ambito del Consumer Electronics Show 2021, nel quale è intervenuto anche Giampaolo Dallara. Il quale ha detto che questa nuova sfida “combina la sua passione per l’automobilismo da corsa e quella per l’innovazione” e che le auto a guida autonoma “saranno qualcosa di normale nel futuro della mobilità“.

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