“Fiorita di marzo” di Ada Negri: la poesia della giovinezza in fiore…

Quando scrisse i versi di “Fiorita di marzo” Ada Negri aveva quasi quarant’anni. Forse per questo la poesia appare come un rimpianto della giovinezza perduta poichè la poetessa fa una descrizione della primavera, evento dirompente, di osservazione. La stagione “nuova” portata dal mese di marzo diventa una metafora. Il miracolo della primavera si ripete ed è un dolce languore di fiori che sbocciano timidi al primo sole, emanando un profumo inebriante e tuttavia fugace. Il vero tema della poesia di Negri non è l’elogio del trionfo della primavera, ma la fuggevolezza del tempo, come si evince dal primo aggettivo presente nel verso di apertura: “breve”.
La primavera descritta da Ada Negri dura il tempo di una fioritura, è un fragile fiore in boccio insidiato dal primo alito di gelo, proprio come l’innocenza della giovinezza che presto cede il passo a una consapevolezza nuova, a un risveglio amaro che permette un’effettiva presa di coscienza della realtà. Sono versi venati di rimpianto, scritti per celebrare più la giovinezza perduta che il mese di marzo

“Fiorita di marzo” di  Ada Negri:

La fioritura vostra è troppo breve,
o rosei peschi, o gracili albicocchi
nudi sotto i bei petali di neve.

Troppo rapido è il passo con cui tocchi
il suolo—e al tuo passar l’erba germoglia
o Primavera, o gioia de’ miei occhi.

Mentre io contemplo, ferma sulla soglia
dell’orto, il pio miracolo dei fiori
sbocciati sulle rame senza foglia,

essi, ne’ loro tenui colori,
tremano già del vento alla carezza,
volan per l’aria densa di languori;

e se ne va così la tua bellezza
come una nube, e come un sogno muori,
o fiorita di Marzo, o Giovinezza!…

 

 
monet-campo-di-fiori

Claude Monet___ Prato fiorito

La primavera cantata da Ada Negri è connotata da un forte sentimento di perdita: i versi sembrano scorrere attraverso le dita, fluire come acqua, sono inafferrabili, imprendibili, in perpetua fuga. Sembra una sinfonia di passaggio, un interludio. La stagione portata da marzo, il più instabile di tutti i mesi, in effetti è fugace, repentina, la meno stabile di tutte: non ha la lunga permanenza del gelo dell’inverno né il furore accecante ed eterno dell’estate che trascina il mondo in un limbo. La primavera è una stagione di passaggio, di durata breve, dal tempo incerto di nuvole e sole. Per queste ragioni la poetessa la associa alla giovinezza, che è l’età della vita in cui l’essere umano è più fragile, incompleto, incerto, eppure ha in sé tutte le energie per affrontare il futuro, proprio come quei fiori in boccio che si schiudono a fatica sotto la sottile coltre di neve illuminata da una luce timida che ancora non scalda. La metafora governa l’intera poesia, ma solo nel finale ci viene svelata nella sua trionfante verità con un’apostrofe che è anche una personificazione: “o Giovinezza!”. E allora capiamo che quello che l’autrice voleva dirci, in realtà, era un’altra cosa, che nei suoi versi scorreva un pianto che non si vede, le sue parole sono quasi un grido dell’anima, che non tace più. Nei fragili fiori di marzo Ada Negri scorge, dalla soglia della propria età ormai matura, il proprio “tempo perduto”. Un tempo era stata anche lei una jeune fille en fleur, un’ardente e delicata creatura della giovinezza; ma quel momento è passato per sempre, è stato un attimo, tanto che ora lei stenta a credere che sia mai esistito, lo ricorda con i contorni sfocati e indistinti di un sogno. La conclusione difatti è lapidaria: “come un sogno muori”.

fonte Solo Libri.net

Maternità e malinconia nella mostra di Albrecht Dürer a Rovereto.

Al Mart, dipinti e incisioni di Dürer dialogano con opere di grandi maestri del Novecento italiano, da Morandi a Boccioni  .Mater et Melancholia, mette in risalto alcuni capolavori assoluti di Albrecht Dürer (Norimberga, 1471 – 1528): la Madonna col Bambino, realizzata alla fine del XV secolo durante uno dei viaggi di formazione in Italia, e una serie di incisioni tra le quali spiccano Melencolia I

albrecht-d-rer-madonna-col-bambino-1495-olio-su-tavola

https://www.rainews.it/tgr/trento/video/2023/12/durer-marter-melancholia-mart-rovereto-mostra-vittorio-sgarbi-0a80ec8f-2ea0-42fd-9b15-1ba112fd2eaa.html

Nella Madonna col Bambino, Gesù tiene nella destra un rametto di fragole, come alludere forse al suo martirio, mentre il suo sguardo è rivolto verso la madre, mentre tiene stretta la mano sinistra per non cadere. Intanto sembra preannunciare che la stessa mano sarà perforata dal chiodo della passione. Il Longhi sosteneva che Dürer avesse impaginato il gruppo divino con un taglio belliniano e antonellesco . Se si osserva poi che la cuffia della Vergine, che copre quasi tutta la fronte, si nota il richiamo a stilemi dell’iconografia nordica, che Dürer aveva ripetutamente usato nelle incisioni precedenti il secondo viaggio italiano.

Durer_Melancholia

Melencolia I del 1514 è la più celebre incisione di Dürer. Vi si legge l’immagine alata della stessa, in uno stato di completa inazione, seduta sopra un gradino di pietra. La scena trasmette una sensazione di gelo e solitudine in un luogo scarsamente illuminato dalla luce della luna, come si può ipotizzare dall’ombra della clessidra sul muro. Vicino a lei ci sono un putto immusonito che sta scrivendo qualcosa su di una tegola e un bracco malnutrito. La donna è inattiva non per pigrizia, ma poichè , ai suoi occhi il lavoro ha perso significato ,bloccando l’energia con pensiero negativo . Non siamo di fronte ad una donna demotivata ,ma ad un individuo superiore, le sue ali lo dimostrano ,alla sua intelligenza, alla sua immaginazione, circondata dagli arnesi simboli dello sforzo creativo e della ricerca scientifica. La sua espressione rimanda ad un essere pensante in uno stato di incertezza, concentrata non su un oggetto che non esiste, ma su un problema che non può essere risolto.

 

Ci sono donne…quasi tutte.

 

Le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne. Le donne spesso si vergognano d’avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con bei vestiti e bocche dipinte e un’aria volitiva e sprezzante; ma a me non è mai successo d’incontrare una donna senza scoprire dopo un poco in lei qualcosa di dolente e di pietoso che non c’è negli uomini, un continuo pericolo di cascare in un gran pozzo oscuro, qualcosa che proviene proprio dal temperamento femminile e forse da una secolare tradizione di soggezione e schiavitù e che non sarà tanto facile vincere; m’è successo di scoprire proprio nelle donne più energiche e sprezzanti qualcosa che mi indiceva a commiserarle e che capivo molto bene perché ho anch’io la stessa sofferenza da tanti anni e soltanto da poco tempo ho capito che proviene dal fatto che sono una donna e che mi sarà difficile liberarmene mai. Due donne infatti si capiscono molto bene quando si mettono a parlare del pozzo oscuro in cui cadono e possono scambiarsi molte impressioni sui pozzi e sull’assoluta incapacità di comunicare con gli altri e di combinare qualcosa di serio che si sente allora e sugli annaspamenti per tornare a galla.

Natalia Ginzburg ,Discorso sulle donne, 1948

belive

 Per curiosità ho provato a fare una ricerca su Bing sullo stesso argomento. Ecco cosa mi ha dato.

L’insicurezza femminile è un tema molto importante e complesso. Ci sono molte cause che possono contribuire all’insicurezza femminile come fattori culturali e biologici³. L’insicurezza femminile può influire sulla libertà delle donne e sulla loro capacità di vivere la vita al massimo¹.

Ci sono molte risorse disponibili per aiutare le donne ad affrontare l’insicurezza femminile. Ad esempio, il libro “La città delle donne” di Bianca Fusco si focalizza sul concetto di sicurezza come scelta prospettica per guardare a chi ha il diritto di vivere la città e come².

Spero che queste informazioni ti siano state utili.

Origine: conversazione con Bing, 26/5/2023
(1) Le cause dell’insicurezza femminile – Nuova Mente – Psicologo Bologna. http://www.nuova-mente.it/cause-insicurezza-femminile/.
(2) Per una critica di genere all’idea di sicurezza – OpenEdition Journals. https://journals.openedition.org/qds/710.
(3) La città delle donne. Sicurezza, spazio pubblico e … – DWF. https://www.dwf.it/recensioni/la-citta-delle-donne-sicurezza-spazio-pubblico-e-strumentalizzazione-del-corpo-femminile-nel-contesto-urbano-una-prospettiva-di-genere-bianca-fusco-redstarpress-2021/.

Ci sono molte cause culturali che possono contribuire all’insicurezza femminile. Ad esempio, la società può creare aspettative irrealistiche per le donne riguardo al loro aspetto fisico e al loro comportamento². Inoltre, la cultura può promuovere stereotipi di genere che possono influire sulla percezione delle donne di se stesse e degli altri¹.

Spero che queste informazioni ti siano state utili.

Origine: conversazione con Bing, 26/5/2023
(1) Le cause dell’insicurezza femminile – Nuova Mente – Psicologo Bologna. http://www.nuova-mente.it/cause-insicurezza-femminile/.
(2) 7 cause comuni di insicurezza – tandempsicologia.it. https://tandempsicologia.it/why-insecure/.
(3) Le cause più comuni di insicurezza – La Mente è Meravigliosa. https://lamenteemeravigliosa.it/le-cause-piu-comuni-di-insicurezza/.
(4) Insicurezza – IPSICO, Firenze. https://www.ipsico.it/sintomi-cura/insicurezza/.

 Cosa vi piace di più, farvi una cultura leggendo autori che vi ispirano o affidarvi a Chat GBT?

Non c’è solo malinconia, come dice il Censis, gli italiani vivono ben altro…

 

Secondo il Censis pare che gli Italiani siano preda della malinconia, che si è impossessata di quasi tutti, grandi e piccoli, di ogni categoria sociale, una specie di epidemia, che, secondo alcuni non è ancora esplosa del tutto. Pare che sia tuttora allo stato latente in attesa di toccare l’apice. Le cause, il dopo Covid, la difficile ripresa per molti, la guerra in Ucraina , che pare senza fine e che ci vede economicamente allo stremo, forse più le famiglie col caro energia che le imprese, poichè sono proprio queste che scaricano sul consumo finale i forti rincari necessari per mandare avanti le industrie. Non solo galoppa l’inflazione, ma spesso i negozi sono anche sprovvisti di merci, che non sono mai mancate nel dopoguerra. La malinconia sociologica, farebbe un po’ le veci della depressione. Uno stato di rassegnazione al peggio, all’idea che le cose non potranno che andar male o, mantenersi in una condizione d’infelice tollerabilità, che nega il senso della vita, spegne il sorriso, demotiva la voglia di fare ,sopprimendo la speranza. Ma si parla di uno stato d’animo diverso dalla tristezza, perchè la malinconia non ha una motivazione precisa come la tristezza ,non deriva da una mancanza specifica. Ci si sente strani, senza sapere quasi perchè, forse quella demotivazione che precede la depressione. A mio avviso il Censis non ha voluto fare un rapporto che spaventasse, addolcendo la pillola vera, che ha un nome diverso. E’ l’angoscia di non potere più andare avanti, l’obbligo alla rinuncia di tante cose, che, se non erano lussi veri e propri , erano benessere , quel benessere, che vede sempre più avvicinarsi la povertà. I pochi soldi che rimangono sono divorati dall’inflazione, che gli stipendi da soli non reggono, e la cosa più terribile la grande incertezza per un futuro, che immaginiamo pessimo. La malinconia del Censis è politica, la diagnosi per un popolo destabilizzato dalle varie crisi, senza spaventarlo con paroloni come angoscia e depressione. La malinconia in genere è un po’ caratteriale, non scaccia del tutto la speranza e questo è quanto importa ad un organismo statale. Gli italiani però, se è vero che sono abituati alle bugie di Stato, non sono tutti stupidi.

malinconia

 

Riflessioni sulla malinconia…

 

La malinconia è un albero ombroso che ti succhia linfa ma a volte dà frutti deliziosi: opere, poesie e a volte perfino trattati sulla malinconia medesima. Ho davanti a me due libri, uno poderoso e ponderoso, uscito pochi mesi fa in Italia e l’altro smilzo e acuto uscito invece tanti anni fa.

Il primo è L’inchiostro della malinconia di Jean Starobinski, medico, saggista e letterato. È un compendio filosofico-sanitario, una storia e fenomenologia psico-letteraria della malinconia, delle sue origini soprannaturali o patologiche e poi degli effetti sentimentali e caratteriali.

Una volta era localizzata nella bile nera o nella milza, e la religione la considerava peccato di accidia: l’acedia è un torpore, un’assenza d’iniziativa, una disperazione totale, senza scampo, acuita dalla solitudine, che produce mutismo, anzi «afonia spirituale»; quella che Marsilio Ficino indicava come perdita eccessiva dello spirito sottile. La voce dell’anima non parla più. Il rimedio classico era viaggiare.

L’espressione spirituale della malinconia è la letteratura della nostalgia, la passione del ricordo. Kant ritiene che il nostalgico non desidera in realtà i luoghi della giovinezza, ma lo stato della giovinezza, la propria infanzia legata a un mondo anteriore. Per Starobinski la nostalgia è una malattia morale.

La malinconia a volte si combina col sarcasmo e si mimetizza nel grottesco. Proverbiale è il riso di Democrito. Nell’ironia c’è lo sfogo, la terapia e forse la salvezza, lo notava già Søren Kierkegaard nel Concetto dell’angoscia. E poi la descrive nel Diario dicendo che è un Giano bifronte, con un volto rido e con l’altro piango, unendo il comico e il tragico.

Il malinconico è ritenuto per un verso posseduto dal demonio, ma per un altro è baciato dagli angeli o sorretto da Saturno che dispensa i doni della malinconia. Ma per cogliere quei doni sono necessari due ingredienti, il talento, se non il genio, e l’amor di gloria, se non il narcisismo. Il sacrificio della vita in nome dell’opera è il culmine del narcisismo, nota Starobinski, ma nasce dalla melanconica considerazione che la consolazione per la propria fine è la consacrazione esclusiva alla scrittura (o all’arte).

Si disse che il genio è malinconico, ma non tutti i melanconici sono geniali. A volte ci sono anche i cretini depressi. Quando la malinconia è diffusa si chiama depressione di massa, ed è quella che intride il nostro tempo. Il depresso non è necessariamente uno spirito sensibile, ma la malinconia si accompagna sovente a un’acuta sensibilità. Il depresso di solito è prigioniero del presente; il malinconico, invece, si strugge per il passato e il futuro. Non lo tormenta il presente o la presenza ma l’assente o l’assenza.

C’è pure la voluttà della malinconia, e perfino la civetteria di dirsi malinconici, figurandosi come l’artista geniale o il bambino triste che vuole attenzioni. La malinconia può essere innata o sopraggiunta, suscitata dagli eventi; c’è persino quella ereditaria, e talvolta quella etnica, attribuita come indole ad alcuni popoli (la saudade portoghese, la tetraggine russa, la murria spagnola, il cafard francese che è poi lo scarafaggio, lo spleen inglese che è poi la milza).

A ragione Starobinski ritiene che la costituzione congenita pesi più dell’influenza esterna. Il malinconico vive il tormento di non passare dalla conoscenza all’atto e di non aderire alla realtà esterna; qualcosa lo allontana o lo rende inadeguato.

La malinconia è una vedovanza ma può essere anche un vuotarsi per ricevere la visita divina.

E qui ritrovo l’altro libro che citavo senza citare. È Ritratto della malinconia di Romano Guardini, filosofo, presbitero e teologo veronese vissuto in Germania (Morcelliana, pagg. 80). Un testo breve ma acuto e intenso. Per Guardini la malinconia è troppo dolorosa e tocca troppo le radici del nostro essere per abbandonarla nelle mani degli psichiatri. Appartiene a un ordine di natura spirituale. La sua nostalgia divorante si unisce a un bruciante ardore spirituale.

La malinconia per lui consiste in un’oppressione dello spirito, un peso che grava su di noi e ci schiaccia mentre i nostri sensi e impulsi si paralizzano. L’uomo malinconico non padroneggia più la vita. Avverte un vuoto metafisico. La vita per Guardini è dominata da due impulsi opposti. Una volontà di esistere, affermarsi ed elevarsi e una volontà di sparire, di sottrarsi.

Il baratro ci attrae mentre ci fa paura. Un’indole malinconica, a suo parere, è molto sensibile ai valori più alti, ma patisce la tendenza all’autodistruzione. È la grande tristezza di cui parla Dante, la nostalgia di evadere dalla dissipazione, raccogliersi nel tutto, e «ricoverarsi nel mistero delle cause ultime, la nostalgia dei grandi malinconici verso la notte e le Madri».

Malinconia è connettersi al fondo oscuro dell’essere. Guardini acutamente distingue tenebre da oscurità: la tenebra è cattiva, nemica della luce, l’oscurità invece appartiene alla luce, è la sua ombra. Verso l’oscurità tende nostalgicamente la malinconia. Il malinconico è in rapporto profondo con la pienezza dionisiaca dell’esistenza.

Ma il cuore della malinconia è Eros, il desiderio d’amore e di bellezza. Da qui Guardini coglie lo spunto per l’ascesa mistica verso Dio, amore e bellezza assoluta. La malinconia gli appare il prezzo della nascita dell’eterno nell’uomo, nel paragone con la vanità del tutto. L’uomo, scrive Guardini, è un confine e sperimenta il mistero di una vita di confine, non è decisamente di là o di qua, vive nella terra mediana dell’inquietudine, dove riconosciamo anche la nostra inquietudine.

Chiudo i due libri e gli occhi e rivedo davanti a me la Melencolia ritratta da Dürer e il cielo apocalittico di Melancholia , il film di Lars von Trier dove il disastro torna al suo significato originale, astrale: Melancholia è un pianeta che distruggerà la terra e s’accompagna alla malinconia degli ultimi abitanti nei loro ultimi istanti sulla terra prima della collisione. Byung-Chul Han dedica sagaci pagine al film e alla gioia estrema sull’orlo della catastrofe (Eros in agonia , edizioni Nottetempo, pagg. 96).

Il narcisismo aveva cancellato il mondo per vedere solo l’immagine di sé. Dopo una vita senza mondo verrà il mondo senza vita. La malinconia è la collisione dolorosa di passato e futuro, nostalgia per ciò che si perde e angoscia per ciò che finirà. Chi aderisce al presente non è malinconico; la malinconia è sempre un disagio, un presagio e un lutto.

Il malinconico non sa vivere solo di presente e di realtà, ha la tentazione della vita ulteriore e dello sguardo oltre il visibile. La malinconia è occhi pensanti.

M.V.

 

malinconia