Più del virus tornante, più della guerra, più del pianeta surriscaldato, c’è una disgrazia prossima ventura che le riassume tutte e le travalica; ci aspetta al largo, con una data precisa, 25 settembre dell’anno corrente, tra quaranta giorni giusti. Un tornado chiamato Giorgia, con annessi cicloni Matteo e Silvio, scoperchierà i tetti e sconvolgerà le case, le strade, i paesaggi, la vita della gente; colpirà i popoli, le donne, i migranti, i gay, i gatti, la cultura, la Rai, e chi più ne ha più ne metta.
Non c’è giorno che non venga pronosticata la sventura in tutte le sue conseguenze, sul piano economico e sociale, costituzionale e internazionale, e in ogni altro ambito pensabile. Non c’è parola dei suddetti leader che non venga usata a conferma della sciagura che ci aspetta. Ogni loro discorso è una minaccia, un pronunciamento, una prova tecnica di golpe. Usciremo dalla modernità e dalla democrazia, dall’Europa e dalla Nato, dai diritti e dalla costituzione, temo anche dal Coni e dalla Croce rossa. Una svolta che ci porterà in vagoni piombati nella Russia di Putin e nell’Ungheria di Orban, nella Germania di Hitler e nell’Italia di Mussolini di cui, immagino, col prossimo governo si festeggerà in pompa magna il centenario della Marcia su Roma il prossimo 28 ottobre. Sarà trucidato Mattarella, stuprata Liliana Segre, Draghi farà la fine di Galilei, salvo abiurare la sua agenda; una fatwa colpirà i numerosi scrittori, artisti e cineasti che si sono pronunciati contro il centro-destra. I poveri saranno spalmati sull’asfalto e schiacciati senza pietà dalla tassa piatta (flat tax). La carta costituzionale prenderà il posto dei rotoloni regina nei cessi pubblici per farne l’uso più consono. Romperemo con l’Europa e invaderemo la Svizzera, aderiremo fuori tempo massimo al Patto di Varsavia, e anche al Patto d’Acciaio.
Finita l’horror fiction dei pericoli denunciati dalla Cupola politico-mediatica-intellettuale e a breve giudiziaria, proviamo a trasferirci nella realtà, a partire dalla storia recente. Dunque, il centro-destra, con gli stessi ingredienti di oggi, vale a dire la destra con la fiamma venuta dal Msi, la Lega col guerriero, venuta dalla rustica Padania e Berlusconi con le squinzie, venuto dalla tv e dal bunga bunga, ha già governato tre volte in Italia, con maggioranza assoluta e perfino per intere legislature, come è stato nel quinquennio tra il 2001 e il 2006. Avrebbe ripetuto il pieno mandato dopo le elezioni del 2008, se nel 2011 non si fosse abbattuto il mondo su Berlusconi, che da vero tiranno si dimise senza colpo ferire e votò perfino a favore del governo tecnico che ne seguì e della conferma di Napolitano al Quirinale. È successo qualcosa con quei governi destrorsi, c’è stata qualcuna delle disgrazie che vengono puntualmente paventate a ogni vigilia d’elezioni? Siamo tornati al fascismo, alla barbarie, ai nazionalismi e così via? A me pare il contrario: se dovessi imputare una grave colpa a quei governi, direi che sono stati troppo simili a quelli dei loro avversari, troppo allineati, troppo timidi, hanno riformato davvero poco o nulla, hanno mutato poco gli assetti che dicevano di voler modificare. La Costituzione è rimasta intatta, il Sistema è rimasto invariato, il Paese è stato lasciato praticamente identico a prima. Non hanno lasciato danni e ferite, e nemmeno grandi eredità. Sono scivolati via, come acqua che scorre.
Credo che la stessa preoccupazione dovrebbe caratterizzare i pronostici presenti. Se davvero vincerà il centro-destra, se riusciranno a fare il governo, e se perfino la Meloni dovesse andare a Palazzo Chigi, credo che il “rischio” maggiore sarà semmai opposto a quello che viene paventato: è più probabile che non succeda niente, che cambi poco e niente, non ci sia nessuna svolta. Seguiranno, più probabilmente, l’agenda Draghi, con qualche minima variante, riprenderanno qualcuno dei suoi ministri o comunque oligarchi di comprovata fedeltà all’Establishment; magari si autocensureranno, se non saranno censurati a ogni livello, Quirinale in testa. Da una parte il pressing euro-occidentale, la mobilitazione di tutte le oligarchie, le campagne di terrore mediatico, il boicottaggio sistematico di ogni impresa e di ogni tentativo politico e dall’altro la pavidità, l’opportunismo del tirare a campare, l’insicurezza e l’impreparazione, dall’altra la volontà di durare anche a prezzo di rinunciare a ogni vera riforma, produrranno un governo che con più probabilità sarà più somigliante ai precedenti e ossequioso degli assetti vigenti, in ogni campo, fino ad apparire quasi intercambiabile.
Intendiamoci, non è giusto scrivere la trama del prossimo governo prima che venga prodotto e varato il film. E’ prematuro azzardare previsioni anche se poi ognuno nella propria testa si farà i suoi ragionamenti sulla base dei suoi presentimenti, delle esperienze precedenti, della conoscenza dei soggetti in campo, delle situazioni reali e dell’uso di mondo. Ma se dovessimo avventurarci nel calcolo dei rischi, il primo pericolo per il possibile governo meloniano futuro, perlomeno il più probabile, sarebbe la continuità mentre il meno probabile sarebbe il suo contrario, la discontinuità, la svolta radicale. Un ritorno del “nazi-fascismo” sarebbe più inverosimile di un ritorno del comunismo, del terrorismo rosso, dell’impero austroungarico o della teocrazia medievale.
È davvero penoso vedere persone che un tempo reputavamo serie, come lo stesso Letta, immiserirsi a ventilare questi scenari apocalittici in caso di vittoria dello schieramento avverso, ben sapendo che sono del tutto irreali e impraticabili con i ferrei limiti imposti dalle Vecchie Zie (Ue, Nato, tecnocrazia, burocrazia, alte sfere). Il male del nostro quadro politico non è che le forze antagoniste siano radicalmente opposte e refrattarie; semmai sono maledettamente simili o assimilabili appena vanno al governo. Ad essere ottimisti, cambierà poco, e per chi sa accontentarsi, sarà meglio che niente.
MV