Ucraina: la propaganda della Nato è alla corda.

 

Gli obiettivi dichiarati dalla Russia nella sua invasione dell’Ucraina rimangono il cambio di regime a Kiev e la fine della sovranità ucraina in qualsiasi forma essa sopravviva all’attacco russo, nonostante le battute d’arresto dei militari russi e la retorica che allude a una riduzione degli obiettivi della guerra dopo tali sconfitte”. Questo sarebbe il significato delle dichiarazioni rese ieri dal segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolai Patrushev, secondo l’Institute for the Study of War, il think tank dal quale i media mainstream Usa, e a ricasco quelli europei, dipendono per le loro notizie e analisi di guerra.

La nota dell’ISW, fedele al suo obiettivo guerrafondaio, conclude così la sua analisi: “La dichiarazione di Patrushev aumenta notevolmente l’onere per coloro che suggeriscono che sia possibile un cessate il fuoco tramite compromesso o addirittura una pace basata su limitati guadagni territoriali russi, anche se fosse accettabile per l’Ucraina o desiderabile per l’Occidente (e non è questo il caso)”. Così, quindi, il think tank guidato dai noti guerrafondai neocon sotto la guida di Kimberly e Frederick Kagan, Bill Kristol e i loro compagni di merende.

In realtà, alla notizia della conquista di Severodonetsk, Putin ha dichiarato esplicitamente che l’obiettivo della campagna russa è il Donbass (AdnKronos), facendo seguire a tali parole il ritiro da Snake Island, la porta di Odessa, confermando con i fatti le parole.

Ma alla follia neocon non c’è limite, né si riscontra un limite, se non in via eccezionale, nella dipendenza dei media mainstream dalle loro direttive (a proposito di autoritarismi e democrazie).

Si può riscontrare tale dipendenza da un particolare: per mesi i media hanno accusato la Russia di bloccare il grano ucraino nei porti del Mar Nero (con riferimento specifico a quello di Odessa) e, in tal modo, di essere responsabili del dilagare della fame nel mondo.

Dopo il ritiro da Snake Island, cioè la liberazione del porto di Odessa, questo tema è stato semplicemente rimosso dalla narrazione, nulla importando che, nonostante lo sblocco della situazione, nessuna nave ucraina sia partita col suo carico di grano dal porto in questione per sfamare il mondo; né si hanno notizie di uno sminamento da parte degli ucraini delle acque antistanti, che loro stessi hanno disseminato di tali ordigni… Tant’è.

Intanto, la Russia annuncia che ha distrutto due batterie di lanciamissili HIMARS nella regione di Lugansk… La Nato aveva assicurato, tramite politici e media, che tali sistemi d’arma avrebbero ribaltato le sorti del conflitto (vedi ad esempio AdnKrons: “Lanciarazzi Himars in Ucraina: perché possono cambiare la guerra”).

E su tale assunto hanno fondato la necessità di continuare questa guerra che, se invece è persa, sarebbe inutile, anzi controproducente, proseguire (inutile strage, inutili le sofferenze globali causate delle sanzioni, sprecati i soldi dati alle industrie delle armi).

Ad oggi pare siano stati inviati in Ucraina una decina di HIMARS, otto americani e due britannici (almeno stando agli annunci, troppo spesso caotici). Ma alcuni di essi potrebbero non essere ancora arrivati o, se giunti, non ancora pervenuti al fronte, da cui la possibilità che siano distrutti prima ancora di essere usati in battaglia, come capita ad altri armamenti Nato,

D’altronde era ovvio immaginare che, se anche fossero stati risparmiati dal fuoco preventivo, una volta che fossero giunti destinazione e avessero iniziato a sparare venissero subito individuati, diventando così il target più rilevante per i missili russi.

Invano abbiamo cercato la notizia della distruzione di tali armamenti su fonti d’Occidente, essendo stata rilanciata solo dall’ignoto bulgarianmilitary.com.

Tale oblio può essere spiegato facilmente: non si tratta solo di un rovescio sul piano militare, ma del crollo dell’intera narrativa sulle magnifiche sorti e progressive di questa guerra per procura, che gli HIMARS hanno rilanciato.

Se vera la notizia (e tale sembra), c’è da inventarsi un’altra narrativa sulla vittoria ucraina, ma dopo mesi passati a contrabbandare quella legata all’invio dei magici lanciarazzi, è davvero arduo.

Così trattare col nemico resta l’unica via per evitare un’inutile ulteriore distruzione dell’Ucraina e che la frustrazione di neocon e compagni spinga la Nato a interventi più diretti e incisivi, cioè all’escalation. Non si tratta di essere pacifisti a oltranza, ma semplicemente realisti, come nel caso di Henry Kissinger.

Ucraina: la realtà oltre la propaganda.

 

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La guerra in Ucraina inizia ad affacciarsi nella sua cruda realtà, al di là cioè delle fantasie dei media, che in questi 100 giorni hanno descritto un conflitto virtuale. Così Pat Buchanan, in un pezzo su American Conservative, spiega come l’America abbia interessi divergenti rispetto a Kiev, che invano ha tentato di trascinare gli Stati Uniti in un conflitto diretto contro la Russia. Un pezzo lungo e articolato il suo, del quale riferiamo l’ultima parte, che prende spunto dall’invio di nuovi e più sofisticati missili a Kiev: “Il Cremlino ha avvertito che qualsiasi nazione che invii armi avanzate in Ucraina dovrà affrontare dure ripercussioni. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha accusato l’Occidente di aver dichiarato una ‘guerra totale’ alla Russia”. “Ciò che questo suggerisce è che la guerra sta ora generando rischi e pericoli maggiori per gli Stati Uniti rispetto a qualsiasi guadagno che potrebbero realizzare dall”indebolimento’ della Russia prolungando i combattimenti. Potrebbe essere il momento di dire a Zelensky non solo ciò che forniremo e non forniremo, ma anche quelli che riteniamo siano i termini accettabili per una tregua“.

Di interesse il cenno finale anche perché l’idea di una tregua lascia in sospeso le controversie territoriali, cioè il ritiro o meno dei russi, di difficile, forse impossibile soluzione, anche perché Mosca sta ormai offrendo la propria cittadinanza ai cittadini del Donbass e non tornerà certo indietro. Peraltro, come scrive Buchanan, tali controversie non interessano affatto agli Stati Uniti (come implicito nel discorso di Biden), i quali non combattono per l’Ucraina, ma per i propri interessi nazionali. Brutale, quanto veritiero.

Più articolato un articolo di William Moloney su The Hill. che spiega la realtà oltre la propaganda, che cioè l’idea di Putin di prendere il controllo del Donbass “non appare più così irreale, come riferito in precedenza”. E come l’opinione pubblica americana ed europea inizi a interpellarsi sulla guerra e ad assumere posizioni critiche verso la propaganda politico-mediatica. Non solo la guerra sul campo di battaglia, anche la guerra economica va diversamente di come avevano sognato le cancellerie occidentali: “Un altro elemento della convinzione comune che sta crollando è l’idea che le sanzioni paralizzanti imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea avrebbero presto messo in ginocchio l’economia russa”. “Invece, ci sono prove che potrebbe accadere il contrario, con sanzioni che fanno più danni alle economie occidentali che a quelle russe. Lungi dal registrare le ‘macerie’ previste dal presidente Biden, il rublo a maggio ha toccato il massimo da due anni e le esportazioni russe di energia e agricoltura hanno prodotto ricavi record, perché l’Europa e gran parte del resto del mondo non possono farne a meno” (sul punto rimandiamo a un più dettagliato articolo di Larry Elliot sul Guardian, dal titolo: “La Russia sta vincendo la guerra economica – e Putin non è più vicino al ritiro delle truppe”).“Collegato a tali fenomeni – aggiunge Moloney  – è l’assoluta irrealtà del mito fondamentale di questa guerra, vale a dire che gli Stati Uniti hanno radunato quasi il mondo intero contro la Russia, ormai quasi totalmente isolata. In verità, su 195 paesi del mondo, solo 65 hanno accettato di aderire al regime sanzionatorio americano, il che significa che 130 hanno rifiutato, tra i quali Cina, India, Brasile, Messico, Indonesia, la maggior parte dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, paesi che insieme costituiscono il stragrande maggioranza della popolazione mondiale”.“[…] Un esempio lampante del rifiuto dell’assunto del dominio degli Stati Uniti si è avuto nel corso” del recente G-20. Infatti, “quando la delegazione statunitense ha abbandonato la sala durante l’intervento del delegato russo, solo tre delle 19 delegazioni presenti l’hanno seguita. Ciò dice a qualsiasi osservatore obiettivo che non è la Russia la superpotenza più isolata al mondo, ma forse gli stessi Stati Uniti”.

Dismessi i feroci accenti propagandistici della prima ora, continua Moloney, – l’idea di assassinare Putin, il regime-change a Mosca etc – “gli Stati Uniti e i loro alleati sembrano aver assunto una posizione diversa e sembrano barcamenarsi per trovare un percorso accettabile verso un compromesso che ponga fine alla guerra”. “Con quasi tutte le nazioni occidentali che stanno affrontando lo spettro di una crisi economica più o meno profonda e il governo degli Stati Uniti sull’orlo di un massiccio rigetto da parte degli americani” – per i quali, come dicono i sondaggi, “la massima priorità è mettere a posto l’economia Usa e ripristinare il sogno americano” in rapida consunzione – “il mondo sta cambiando in modi inaspettati e profondi”. Non si tratta di esaltare le magnifiche e progressive sorti della Russia, che comunque uscirà ferita da questo avventurismo. Solo registrare che certe derive propagandistiche iniziano a mostrare la corda. E che nonostante i falchi continuino a alimentare una narrativa farneticante e a spingere per un approccio solo muscolare al conflitto, tanti iniziano ad abbracciare una posizione più realista, l’unica che possa chiudere questa maledetta guerra. Se ne parlerà sicuramente al Bilderberg, una sede decisionale alta dell’Occidente, che non a caso stavolta si è riunito a Washington. Presente anche Kissinger, che ha espresso posizioni più che realiste sul tema.

Infine, da registrare, di ieri, la visita del presidente dell’Unione africana, il presidente del Senegal Macy Sall, in Russia per tentare di sbloccare la crisi del grano che sta affamando il mondo. Putin ha ribadito la sua disponibilità ad aprire un corridoio sicuro nel Mar Nero per il transito di tale risorsa (Associated Press). Ma sul punto si attende la visita di Lavrov In Turchia che potrebbe aprire prospettive concrete (Anadolu). Vedremo.

Ragioni e sragioni della guerra.

 

 

La questione Ucraina non è un capitolo dell’eterno conflitto tra libertà e oppressione. Questa rappresentazione ideologica e moralistica esclude la questione centrale che è di natura geopolitica con i suoi corollari storici, economici e sociali. Il problema è che l’Ucraina non è Occidente, per natura, cultura, storia e religione ma lo è solo rispetto alla Russia. Anche se il mercato globale e le oligarchie locali spingono verso ovest. Ma la Russia non può essere assediata dall’Occidente, ha bisogno di zone franche.

Collochiamo la storia dell’Ucraina nel suo destino geopolitico: essendo una terra di frontiera, border line, come dice il suo stesso nome, l’Ucraina ha vissuto sulla linea di confine tra oriente e occidente, esposta all’impero ottomano, ai mongoli, alla Polonia, e alla grande Russia. L’Ucraina è stata nazione diversa dalla Russia ma unita alla Russia, non solo dal legame religioso ortodosso. Del resto Rus si chiamava anche la nazione di Kiev già mille anni fa, all’ombra della chiesa di Costantinopoli-Bisanzio. Per secoli l’impero russo dominò sull’Ucraina, e nel suo periodo estremo gli zar cercarono di russificarla. I russi furono e sono una corposa minoranza nel Paese, anche se l’Urss impose come lingua ufficiale il russo anzichè l’ucraino. Poi dopo le turbolenze seguite alla Rivoluzione bolscevica, cent’anni fa, Lenin impose la repubblica socialista sovietica ucraina. E dopo alcuni decenni Kruscev impose di donare all’Ucraina la Crimea che mal sopportava l’annessione sentendosi pienamente russa. E’ per questo che alcuni anni fa la Crimea riuscì a liberarsi della Ucraina e tornò russa. Nel ’90 l’Ucraina si affrancò dall’Urss in caduta, dopo aver vissuto la tragedia di Cernobyl del 1986. I fatti recenti sono noti.

Cambiamo scenario. La Russia non è più come ai tempi dell’Unione sovietica un impero mondiale alla pari degli Stati Uniti, ma non è nemmeno solo una potenza regionale, periferica o una potenza in disfacimento come prima di Putin; si dovrebbe riconoscere un’area circostante di rispetto in cui evitare di stringere la Russia in assedio da tutte le parti. E invece, oltre a prefigurare l’entrata dell’Ucraina nell’Unione europea, importante per loro dal punto di vista economico-commerciale, significa già entrare come altri paesi ex sovietici, sotto l’influenza dell’Alleanza Atlantica; ma ora si stavano bruciando le tappe per collocare la basi militari della Nato in Ucraina.

Vi ricordate che successe a parti invertite quando a Cuba l’Unione Sovietica stava puntando i suoi missili contro gli Stati Uniti? Come sempre fu il “pacifista”, umanitario e democratico Kennedy che usò la forza e sfiorando il conflitto mondiale evitò quella minaccia contrapponendone un’altra. E vi ricordate gli interventi militari in Kosovo, le bombe umanitarie di Clinton, la Libia, l’Iraq, la Siria? Perché non dovrebbe fare la stessa cosa Putin? Certo, Putin non è un simpatico liberal-democratico, la sua è un’autocrazia con tratti illiberali, inquieta il suo curriculum, il suo modo di comportarsi, la guerra.

La soluzione ideale sarebbe stata: la Nato rinuncia alle basi in Ucraina, il processo d’integrazione europea non può prevedere una rapida integrazione ucraina. E la Russia rinuncia a invadere l’Ucraina e sottometterla al diktat russo, limitandosi a chiedere rispetto mondiale per una potenza di area così importante e garanzie per la minoranza filorussa e il Donbass. Le diplomazie sono complesse ma si può trovare un punto d’equilibrio se c’è questa volontà. Ma se si parte dalla pretesa che il mio allargamento è nel nome della Libertà e del Progresso e il tuo è solo aggressivo e regressivo, non si raggiunge nessun accordo. Che direbbero gli Usa se il Messico schierasse davanti a loro basi russe?

La follia di questa situazione è che le sanzioni colpiscono poco la Russia e molto l’Europa; e l’Unione europea, per fedeltà all’alleanza atlantica, dovrebbe accettare di perdere una sponda fondamentale ad oriente, perdere affari, energie, gas, solo per assecondare lo spirito pio dei democratici e del loro malfermo fantoccio, Joe Biden.

Il danno aggiuntivo è quello di spingere la Russia nelle braccia della Cina, comunista e colonialista, un nuovo impero in espansione che ormai dilaga dappertutto, in Europa come in Africa e in Asia. E la Cina mostra di ritenere (giustamente) inefficaci le sanzioni pur ritenendo deplorevole la minaccia di Putin e guarda come va la situazione perché freme dalla voglia di occupare Taiwan. Mai le sanzioni, a mia memoria, hanno migliorato le situazioni; hanno inacidito i rapporti, inasprito le relazioni, legato i popoli ai regimi sanzionati. E hanno prodotto alla fine ciò che dicevano di evitare: guerre, invasioni, attacchi terroristici, bombardamenti anche sulle popolazioni civili come l’infame embargo ai medicinali in Iraq e in Medio Oriente.

So che in Italia tutti hanno paura di non dire in premessa che sono zelanti e proni all’Alleanza Atlantica, capeggiati dal più zelante e guerrafondaio Pd; ma si tratta di avere il coraggio, almeno accennato da francesi e tedeschi, di non mettersi contro se stessi, contro la realtà geopolitica per far piacere agli Stati Uniti, dando pure vantaggi insperati alla Cina. Draghi è sempre angloamericano, allineato, gli altri sono al seguito, Mattarella non si è ancora ripreso dalla rielezione, il ministro degli esteri Di Maio gioca ai soldatini e i tutori non vogliono che vada in Russia. Si dovrebbe andare in altra direzione, ridiscutere la Nato come delega agli Usa della sovranità mondiale, far valere sul serio le sovranità, i patti e le unioni europee. E invece andiamo alla chiamata alle armi americane tirando il freno e sorridendo alla Russia, per cercare di salvare il salvabile. Ma ora è troppo tardi, è già tempo di guerra.

MV,(25 febbraio 2022)