Voi non sapete cosa vi perdete a non praticare la controra, rito e delizia dell’ozio pomeridiano estivo. Certo, tante cose si perdono i meridionali che vanno a dormire per un paio d’ore in pieno giorno. Ma quando la calura incombe c’è solo un rimedio che pure somiglia a una resa: stendersi su un letto e cedere al sonno fino a che passa la fase acuta della canicola. Quest’arte di cedere prende il nome di controra, che indica un tempo inverso e sospeso nel cuore del giorno. La controra è uno spreco regale, e un regalo a se stessi che si concedono a metà giornata i suoi devoti, anche più umili. E’ uno dei piaceri ineffabili del sud, di quelli improduttivi che fanno inorridire stakanovisti, calvinisti e turbocapitalisti.
La controra è il filo conduttore per raccontare il sud, per ritrovare la sua magia e i suoi incantesimi arcaici, domestici e pomeridiani. Perché la controra, a cui ho dedicato non pochi scritti, è il vizio e lo splendore del sud; anzi sono convinto che i peggiori vizi del sud coincidano con le sue migliori virtù; ne sono la loro degenerazione, ma in origine avevano un’impronta nobile e felice. Il viaggio nella controra è un ossimoro, perché è come dire muoversi intorno a una stasi, pellegrinaggio nell’inerzia.
Valentino Losito ha pubblicato un libro dedicato alla controra, Zitti zitti piano piano (ed.Secop, p.176, 12 euro) e mi ha chiesto, in veste di antesignano del tema, di scriverne la prefazione. Il libro è un viaggio nel sud, di pomeriggio in pomeriggio, d’estate in estate, con qualche gita a Roma e qualche apporto poetico e letterario di estrazione settentrionale, come i meriggi estivi del triestino Umberto Saba o il meriggiare pallido e assorto del genovese Eugenio Montale. Roma, si sa, è la patria della pennica o pennichella, dell’abbiocco e della cecagna, che da noi in alcune zone del sud si traduce con “appapazzarsi” (dal sostantivo papazza). Saba e Montale invece mostrano che, oltre il sud, l’incanto poetico del meriggio lambisce gli estremi del mare nostrum, mediterraneo, in quelle che paiono le ascelle d’Italia, ligure e giuliana.
Il modo di dire Zitti zitti piano piano è la chiave d’accesso in casa e nelle stanze adibite al riposo, mentre qualcuno sta sognando con gli dei perché è il tempo magico e sospeso della controra. Tutto si fa in silenzio, con calma, cercando di non fare rumore. La controra ci conduce in un mondo di abitudini, liturgie domestiche, allusioni, bisogni che si fanno voluttà, magia, pratiche di vita e di sospensione della medesima, e s’intromette in ambiti che non sono direttamente connessi al suo rito pomeridiano: canzoni, film, liriche, linguaggi.
Chi crede che la controra ci chiuda a chiave nel nostro sud, sbaglia di grosso, perché in altre forme, dalla siesta spagnola e messicana all’inemuri giapponese fino ai pomeriggi oziosi del russo Oblomov, ci sono altre espressioni di abbandono ai demoni meridiani, all’ozio o quantomeno a brevi parentesi oniriche che rimettono al mondo.
Controra è l’ora contraria all’agire. Arriva dopo mezzogiorno, ma il mezzogiorno a sua volta al sud arriva come sempre in ritardo, dopo le due. E si protrae in un pomeriggio infinito che nei suoi apici tocca le cinque e minaccia pure di andare oltre, fino al calar del sole o quando il suo fulgore si fa inoffensivo e spariscono i suoi demoni e le sue empuse. Losito ricorda una variante furba e leggera della controra: il ricorso al divano, per distinguere il sonno della notte dal riposo pomeridiano. Ma io conoscevo e conosco integralisti della controra che il pomeriggio si rimettono il pigiama e vanno a dormire nel letto, altrimenti non è vera controra. Qualcuno dirà che la controra è comunque un privilegio perché non tutti possono permettersi di sospendere due-tre ore del giorno per il riposo pomeridiano. Ma la controra è dei vecchi e dei bambini, costretti alla controra da nonne, zie e madri incantatrici, ma tocca trasversalmente ogni ceto. D’estate si fa controra anche sotto un albero, pausa magari breve ma intensa, dopo aver fatigato duramente.
Pur soffermandosi da pugliese su molti aspetti della controra della sua terra, Losito sostiene che la patria della controra sia la Sicilia. Può darsi, ma la vera differenza è che in Sicilia la controra si è fatta letteratura, è stata per così dire inscenata, come vuole l’indole teatrale dei siculi che si applica anche ai lutti; mentre in Puglia è rimasta muta e casalinga, quasi sommersa, complice segreta della vita quotidiana, per non svegliare chi dorme.
Ricordo i pomeriggi al porto dove i pescatori e soprattutto le loro donne rammendavano le reti. Era un’immagine operosa e calma, al tempo stesso: e l’arte di rammendare evoca la facoltà di rammentare, non solo per assonanza – che da noi è spesso coincidenza perché la t diventa spesso d – rammendando le reti si rammentano le imprese marine a esse legate, i pesci irretiti, le tempeste e le bonacce, la rete del tempo che si sfilaccia e va ricucita dalla memoria delle mani, come una ferita risanata.
Eppure sin da piccoli c’insegnarono che “chi dorme non piglia pesci”; ma poi scoprivamo che il tempo prezioso, da non sprecare, alle volte andava anche ammazzato, per sopprimere i demoni della noia. E andando avanti con la scuola, scoprimmo che l’otium vale molto più del nec-otium, l’ozio classico è più nobile del negozio indaffarato e mercantile, perché la contemplazione è superiore all’azione, secondo la cultura classica e il mondo antico.
“La fretta è del diavolo mentre la lentezza è di Dio” dice un proverbio persiano; e Dio nel nostro sud levantino può davvero definirsi come “il primo motore immobile”, secondo la definizione di Aristotele. Dio mette in moto il mondo ma Lui resta immobile nella divina inoperosità di un’eterna controra. E’ vero, “chi dorme non piglia pesci”, ma “vede gli dei” e abita con loro, seppur nel breve arco della controra.
M, V