Lockdown n. 34 – Bollettini di guerra

L’annuncio della prossima riapertura dopo il lockdown è stato subito accompagnato dalla pubblicizzazione del dossier del Comitato tecnico-scientifico di supporto al governo. E le cifre emerse sono di quelle che distolgono ogni positiva aspettativa. Fra grafici e proiezioni, la previsione che fa rabbrividire è di 151.000 persone destinate a finire contemporaneamente in terapia intensiva in caso di una riapertura totale dal 4 maggio. La relazione indica pure nell’8 giugno il picco massimo della probabile seconda ondata di contagi, se ci fosse l’allentamento delle misure voluto dagli “illuminati” Salvini e Meloni. . Addirittura, entro la fine dell’anno, una fase di eccessiva libertà porterebbe a oltre 430.000 pazienti da intubare per insufficienza respiratoria. Saranno magari il frutto di un’esagerazione mirata a spaventare i colpi di testa di quanti già in questi giorni stanno riassaporando la normalità, ma è indubbio che le cifre degli esperti del governo siano paurose. Ma, se possibile, ancora più sconcertanti sono le previsioni per quanto concerne il lavoro. E qui non siamo di fronte a relazioni tecniche di esperti ma allo stesso Documento di economia e finanza dell’esecutivo. La stima che fa cadere le braccia è che quest’anno la crisi cancellerà mezzo milioni di posti ed il 50% dei dipendenti finirà in cassa integrazione. Il calo del 2,1% degli occupati è un altro tassello che si aggiunge al calvario senza fine del nostro Paese. Poi però ti guardi intorno e ti accorgi che nella tua città non è cambiato quasi niente. La gente non si distanzia né si isola. Porta la mascherina come un souvenir imposto dalla moda e non come un obbligatorio dispositivo di protezione dal covid-19 ancora virulento.

Lockdown n. 33 – Virologi

Una cosa è certa fra lo spaesamento generale: i nuovi opinionmaker sono i virologi, gli infettologi, gli specialisti della rianimazione. Quelli che più contano nell’attuale avveramento della distopia già delineata qualche decennio fa da scrittori di fantascienza e scienziati visionari. Sono loro l’élite chiamata a governare il momento critico guidandoci fuori dal tunnel, per ora senza via d’uscita. Solo che i tempi e le procedure del ceto di sapienti a cui demandiamo il nostro destino sono per loro natura lenti e ripetitivi. Neanche la sicurezza dei dati e la loro elaborazione statistica è di sollievo per loro, presi come sono, da due mesi e più, dallo studio di un virus evidentemente sottostimato, all’inizio, ma poi rivelatosi un’autentica bestia assetata di sangue. Così, mentre è sempre più distopica la condizione dell’umanità, qui ci avviamo alla conclusione della fase 1, in vista di quella successiva, che però nei disegni governativi è piuttosto simile alla precedente (una fase 1 bis). Intanto che i virologi, finiti su di un’album stile figurine Panini in una divertente rielaborazione che circola sul web, a passi sempre prudenti e ponderati, non smettono di dividersi tra i loro laboratori di ricerca e gli studi televisivi, i collegamenti via Skype ed altre ospitate varie. Forse sarà opportuno che non perdano altro tempo, per esercitare con maggiore efficacia il loro potere sulle nostre vite, che al momento sembra solo mediatico.

Lockdown n. 32 – Patogeni

Che dire. I giorni di sospensione esistenziale non si contano più. Il clima patogeno che da febbraio è calato sull’Italia non sembra destinato a finire. Con le istituzioni che si affannano nel tentativo di regolamentare ogni azione e comportamento dei cittadini, inducendo però in loro solo una dose aggiuntiva di sconforto. Perché i provvedimenti presi da Governo e Regioni risultano ancora più deprimenti rispetto alla legittima ambizione di libertà di persone ormai estenuate da mesi di clausura. Mentre altrove la dimensione esistenziale pare già essere tornata inspiegabilmente alla normalità (vedi ad esempio la Germania). Certo, rimane la paura del contagio, per niente diradatosi, ma quest’isolamento associato alle disposizioni di distanziamento sociale, a 2 m. oppure 1 a seconda dei casi, tradotto nel burocratese parlato da chi ci governa, è ancora più pesante da digerire. E siamo ancora a qualche giorno dal fatidico 4 maggio. L’impressione di essere precipitati in un film horror fantascientifico si rafforza, sotto il controllo vigile delle nuove regole securitarie. E poi in tanti sbroccano, dicono corbellerie in televisione o sul web, ma sarebbe pure comprensibile, se a sostenerli non ci fosse il retropensiero di attaccare in qualunque caso il proprio avversario politico. Come se questi tempi patogeni fossero propizi a mettere su una consultazione elettorale. Del resto, da tempo ormai è iniziata la lacerante contrapposizione fra esponenti di rilievo dei diversi schieramenti in lizza. In barba a quelle che sono le più stringenti esigenze della popolazione, in buona parte annichilita dagli effetti devastanti della pandemia.

Lockdown n. 31 – Covid governo ladro

È bastata l’ennesima conferenza stampa “epocale” del premier Conte, per scatenare i più reconditi sentimenti anti-governativi presenti nella massa. Rivitalizzata ogni tipo di opposizione, delle destre e dei renziani che pur sono nell’esecutivo, è scoppiata una nuova epidemia di “dagli addosso” a quel signore azzimato, ritrovatosi dalla sera alla mattina a dover gestire la sciagura del Covid-19 ed i problemi associati, che ora sembrano esser divenuti ancora più drammatici. Complice l’andamento decrescente del virus in quasi tutt’Italia, s’è aperta la bagarre della “fase 2”. Che non sarà di eccessivo allentamento delle misure restrittive, per ovvi motivi di opportunità. Tuttavia, in gran numero sono apparsi liberali, liberisti, libertari e libertini, tutti a gridare alla dittatura, alla privazione dei diritti fondamentali della persona, alla negazione dei principi costituzionali. Uno sproporzionato fuoco di fila polemico che di colpo ha dimenticato le cifre ancora tragiche della pandemia. Il pericolo dell’attesa seconda ondata di contagi, l’ancora precaria situazione degli ospedali pubblici sotto pressione. Certo, il premier azzimato che dissimula conoscenze e competenze per lui impossibili, come al solito non è stato chiaro e preciso nell’esposizione, preferendo la retorica giurisprudenziale e qualche divagazione suggerita magari dal proprio spin doctor Rocco Casalino. Va bene che ci vuole ancora una settimana di lockdown quasi totale, ma davanti ai giornalisti e alle tv avrebbe dovuto fornire informazioni più comprensibili. Eppure le sue erano le anticipazioni del nuovo decreto del presidente del Consiglio, da oggi in circolazione. Ma ormai il cittadino medio si sta abituando all’incertezza, nella speranza che non si verifichino altri disastri nelle settimane a venire.

Lockdown n. 30 – Fuori

Ci siamo, ormai. Anche se a scaglioni, a settori lavorativi diversificati e con interventi assai dispendiosi, che ancora non s’intravedono in verità, ci avviamo alla lenta ripresa della normalità. Riapriranno bar, non si sa come, negozi e ristoranti, mentre già le pizze da asporto sono ricominciate a circolare dentro le nostre case. Fortini non più blindati. Il trend del contagio sembra essersi stabilizzato su valori confortanti, sebbene il suo contributo di morte continui ad essere rilevante. C’è però la richiesta urgente del mondo dell’economia, che prospetta scenari di povertà per il Paese, ad imporre il passaggio alla fase 2. Che spaventa ancora di più. Intanto, prepariamoci alle nuove regolamentazioni. Ai comportamenti che dovremo osservare. In Campania, il governatore-caudillo ha già contingentato i tempi delle uscite. Un’ora al mattino, senza allontanarsi troppo, e un po’ di tempo in più dalle ore 19 di sera. Il mastodontico impianto securitario, che ha finora accompagnato la clausura con le considerevoli spese per forze dell’ordine, droni ed elicotteri, sembra destinato a rimanere in funzione. Perché, al di là del senso di responsabilità dei cittadini, resterà valido il modello di militarizzazione della lotta al virus, in cui incappano ogni tanto manifestazioni non autorizzate perseguite con durezza o funerali vietati solo con multe non condivise. La sensazione è che con l’allentamento del lockdown sarà possibile precipitare nel caos, buono per un virus spietato come il Covid-19, che attende di riprendere la sua azione letale.

Lockdown n. 29 – Liberazione

Oggi, 25 aprile, Festa della Liberazione, è paradossale che proprio gli appuntamenti celebrativi delle lotte partigiane e, in occasione del prossimo 1 maggio, di quelle dei lavoratori, siano stati quasi del tutto azzerati dalla tirannia del coronavirus. Con l’impossibilità di svolgere le manifestazioni di piazza, per gioire insieme, che da sempre  caratterizzavano la solennità delle due feste. Una considerazione, però, è doverosa. A parte gli eccessivi effluvi di retorica, che emanano dai media, in questa giornata in cui tutti si riscoprono democratici, liberali, partigiani e, con un po’ più di prudenza, addirittura socialisti o comunisti, e viene dato spazio a persone e principi durante il resto dell’anno dimenticati dalle cronache, c’è da dire che nella mia città dell’entroterra meridionale non c’è mai stata una grande cultura del 25 aprile. Man mano diradatasi con l’affievolirsi dell’impegno e della partecipazione politica. In passato, piuttosto, era una buona occasione per andare al mare. I comizi e gli appuntamenti pubblici sono andati riducendosi progressivamente fino a sparire. Mentre oggi, dietro gli schermi dei social, tutti mostrano la loro indomita fede nel sol dell’avvenire. Per poi votare diversamente alle elezioni. Del resto, se fosse veramente sentita la Festa della Liberazione dai nazi-fascisti non ci ritroveremmo i politici che abbiamo, oppure la Lega come primo partito nei sondaggi. Buon 25 aprile.

Lockdown n. 28 – Lo stigma del sesssantenne

Mentre nelle nostre contrade si distribuiscono confezioni di gelati in scadenza e mascherine usa e getta non per tutti, si trascina l’interminabile stagione dell’isolamento che scava nella mente dei cittadini, provocando effetti preoccupanti. Da qualche giorno, tuttavia, l’attenzione sembra essersi spostata dalla guerra ancora in corso con il coronavirus al dopo. Alla ripresa, alla riapertura, al lento, perché tale dovrà essere, ritorno alla normalità che non sarà davvero normale. E tra i dibattiti ed i processi mediatici che caratterizzano il momento di lieve pausa dal contagio, il problema fondamentale sembra essere diventato l’anziano. Quello che secondo la psicologia del ciclo di vita ha più di 60 anni. Anzi la nuova emergenza riguarda proprio i sessantenni. Esclusi da ogni attività, fino a ritenerli inidonei al lavoro, se non si sottoporranno ai test sierologici previsti ma non disponibili, in regioni come la Lombardia addirittura vietati. Si può immaginare quale sia lo sconcerto fra questa fetta così numerosa della popolazione italiana, divenuta di colpo a rischio. Dopo che nel recente passato veniva considerata abile, “diversamente giovane”, dentro un Paese in cui la speranza di vita ha raggiunto ormai quasi gli 85 anni e l’età media i 45. Resta il fatto che più di 15 milioni di italiani, a pochi giorni dal fatidico 4 maggio, data della prima apertura del lockdown, non sanno che fare. Perché trovare un somministratore di esami per attestare eventuali positività è destinato a diventare un pensiero fisso. Altrimenti, in età non ancora pensionabile (è a 67 anni), si potrebbe finire fuori dal lavoro, costretti a rimanere ancora in clausura, assieme alle persone più vecchie di loro. Almeno ci fosse un piano nazionale valido per tutti.

Lockdown n. 27 – Una app da paura

Mentre il presidio anti malattie infettive del “Cotugno” di Napoli smentisce l’allarme dei presunti contagiati all’Ospedale “Moscati”: due medici e sei infermieri, entrati in contatto con il virus, risultati negativi ai test; è da qualche giorno in primo piano il dibattito sull’app del feldmaresciallo all’emergenza Domenico Arcuri. Il dispositivo, denominato “Immuni”, che promette di assicurare il tracciamento di quanti sono stati intercettati dal Covid-19, riconoscendoli quando entrano in contatto con gli altri. Finora, la versione all’italiana del monitoraggio secondo il modello coreano, oggi è costretto a fare i conti con la seconda ondata della pandemia, è stata presentata dal commissario del governo Conte come obbligatoria per tutti. Anche se sulla carta resta volontaria. Tuttavia, si dice che se non sarà raggiunto il 70-80% di adesioni fra la popolazione, l’app non potrà essere tecnicamente attivata. Dopo il rude aut-aut di Arcuri: o l’app oppure il prolungato confinamento domestico. E subito si sono formati due  schieramenti contrapposti: da una parte, quelli che si sono riscoperti “liberali puri”, che non tollerano intromissioni nella privacy dei cittadini, già ampiamente spiati attraverso una miriade di altri dispositivi di controllo; dall’altra, quelli che, appunto perché siamo tutti spiati dalle nuove tecnologie, giustificano un’ulteriore invasione nella nostra libertà in nome della salute pubblica, derogando ai sacrosanti diritti individuali. C’è da dire, che, accantonata ogni motivazione ideologica, non si può far finta che l’app da installare sugli smartphone sia qualcosa di totalmente innocuo e rivolto solamente a tutelare la salute dei cittadini-utenti. Troppi rimangono gli interrogativi ed i dubbi. Uno su tutti: chi gestirà i milioni di dati  provenienti dai nostri cellulari. Allora, invece di spendere energie e giga telefoniche, non sarebbe più opportuno che, al saldo delle più di 600 persone, arruolate nei comitati scientifici allestiti a Palazzo Chigi, si potenzino le strutture sanitarie del territorio e si mettano in campo tutte le risorse per il graduale ritorno alla normalità, dopo due mesi di buio?

Lockdown n. 26 – Più panico

Sono ormai quasi due mesi che gli italiani sono chiusi in casa a proteggersi dal nemico feroce e invisibile costituito dal Covid-19. Dal propagarsi della pandemia fino ad oggi poco o niente è cambiato. Le prime raccomandazioni sono diventate avvertenze obbligatorie: lavarsi di continuo le mani, non toccarsi viso, occhi e naso, e, soprattutto, non uscire, restare tra le quattro mura. E qui si è diffusa tutta la retorica ad esaltare i lati positivi della riscoperta della vita domestica, con la sua cucina, le sue pulizie, le letture anche di libri dimenticati e le repliche in tv. Naturalmente, anche se non ancora per tutti, ci sono le mascherine da indossare, magari i guanti monouso e tutti gli altri dispositivi di protezione attualmente sul mercato: quelli muniti di visiera in plastica sono la nuova tendenza in espansione. In tutta questa passività forzata, c’è però chi, durante la pandemia, sta contribuendo in maniera determinante a generare sconforto tra i milioni di persone costrette alla clausura. Sempre pronto ad aumentare il panico e a rimandare, ogni volta, i tempi per il possibile ritorno alla normalità. È la figura del virologo, dell’infettologo o specialista che dir si voglia. Una presenza costante nelle trasmissioni televisive e nei social, fra tg e talk di approfondimento, dove non manca mai di infondere sfiducia negli spettatori, che invece vorrebbero l’esatto contrario. Dai primi giorni dell’emergenza sanitaria, nessuna considerazione né previsione ottimistica sul futuro, ma, piuttosto, quasi un accanimento terapeutico a smontare sistematicamente qualsiasi pensiero positivo. Ad oggi, non sono ancora in grado di darci qualche certezza, dopo essersi frettolosamente corretti sull’ipotesi iniziale che il Coronavirus fosse paragonabile ad una semplice influenza, solo un po’ più pericolosa per anziani e persone con patologie pregresse. Ogni volta provoca un effetto sconfortante ascoltare le valutazioni approssimative dei nostri esperti, le loro incertezze e “non si sa” poco adatte a dei ricercatori scientifici. Purtroppo finiti nella spettacolarizzazione mediatica dell’epidemia da cui nessuno sembra trovare la via d’uscita.

Lockdown n. 25 – La normalità che ritorna

Il pericolo di questi giorni di prolungata chiusura è quello di non riuscire a ritrovare una condizione di normalità. Assuefatti all’emergenza. Convinti che quando finirà il lockdown cominceremo a fare i conti con un nuovo calendario, suddiviso tra prima e dopo il virus, e che nulla sarà come nel periodo precedente. Certamente, non avremmo mai dovuto affrontare un sistema di difesa dall’epidemia così invasivo per la nostra vita, nell’imposizione generalizzata di restare a casa, non uscire, se non per procurarsi le scorte di cibo necessario a resistere all’assedio di un nemico invisibile. Poi, però, attraverso lo specchio sul mondo costituito dalla rete, ci accorgiamo che non è cambiato proprio niente. Con il sindaco che vuole fare il commissario all’emergenza e meno male che si è fermato qui. Il presidente dell’amministrazione provinciale che si fa beccare con la fascia tricolore mentre ossequia l’amico defunto, tanto che fa. E poi il provveditore agli Studi che esprime tutte le sue incertezze sulla riapertura delle scuole in presenza, a causa dell’inadeguatezza degli istituti di ogni ordine e grado. Insomma, riemerge la normalità di un ceto dirigente sospeso tra mancanza di responsabilità e disorientamento. Lo stesso che sarà chiamato a guidarci nella ripresa che prima o poi sarà anche da queste parti. Con il rischio di vedere vanificato ogni nostro sforzo e sacrificio. Ma con l’unica sicurezza che solo chi, durante l’isolamento, avrà fatto lavorare il cervello, leggendo e studiando, potrà affrontare nel migliore dei modi la nuova fase che ci attende.